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Lo chef Giorgio Locatelli della celebre Locanda Locatelli nella capitale d’Oltremanica, giudice di Masterchef, si confessa a Varesefocus: “Punto sul lavoro, non mi fido della notorietà”

Annovera tra i suoi clienti Kate ed Harry d’Inghilterra, è un brillante imprenditore e si è scoperto da poco personaggio televisivo dall’infallibile sex-appeal. Giorgio Locatelli, 56 anni, di Corgeno di Vergiate, brizzolato titolare della Locanda Locatelli dell’hotel Hyatt Regency di Londra, è uno chef che piace alle donne. “Qui a Londra mi chiamano ‘italian stallion’ – ammette compiaciuto –. Ma diffido della facile popolarità e sto coi piedi per terra. Il successo in tv è volatile, ho lavorato anche con la Bbc e ho imparato a non lasciarmi travolgere dalla notorietà. Quello che conta è il lavoro, ciò che ho saputo costruire in tanti anni di sacrifici. Però venire a Milano a fare Masterchef è stata una piacevolissima esperienza e una grande soddisfazione professionale”.

Locatelli è un emigrante varesino di successo, carriera scintillante, da classico self-made man. Gli inizi a pelar patate nelle cucine dei ristoranti svizzeri, il debutto ai fornelli prima a Parigi e poi a Londra, la svolta imprenditoriale, i libri gastronomici “divorati” dai lettori inglesi e infine la scoperta di essere un volto che funziona anche in tv, bello, bravo e simpatico quanto basta per alzare l’audience. “Contento? In realtà temevo il ritorno in Italia, è stato un banco di prova e mia moglie lo sa – confessa –. Avevo più dubbi di chi mi ha chiamato a Milano, invece è andato tutto bene. Purtroppo, i problemi oggi sono altri. Ho 71 dipendenti e 2 locali a Dubai e Cipro. Ero in procinto di aprirne un quarto in Montenegro, ma l’imprevedibile Covid-19 ha bloccato i progetti. Siamo chiusi dai primi di marzo, mi ritrovo sbarrato in casa a Camden Town con mia moglie Plaxy e mia figlia Margherita, non usciamo neppure per sgranchirci le gambe al parco. Il problema più importante è capire fino a quando potremo sostenere finanziariamente la forza lavoro inutilizzata”.

Locatelli è un emigrante varesino di successo, con una carriera scintillante, da classico self-made man. Dagli inizi nelle cucine dei ristoranti svizzeri, al debutto ai fornelli prima a Parigi e poi a Londra, fino alla tv in qualità di giudice di Masterchef

Il successo è una parola che Locatelli tratta con cautela: “Penso che sia dovuto a una combinazione di cose: sei un bravo chef quando fai da mangiare con 25 coperti e i clienti escono dal locale soddisfatti. Ma diventa un mestiere diverso quando coordini decine di persone che lavorano per te. E pensare che da bambino a Corgeno mangiavo pochissimo. Invidiavo gli amici che ingurgitavano corn flakes e rifiutavo il minestrone della nonna, che oggi ricordo con nostalgia. Andavo a dare una mano allo zio Alfio nel ristorante La Cinzianella a Vergiate. Fu là che imparai i segreti della gestione familiare e ho poi cercato di applicarla in proprio. Per me il personale è come una famiglia”. A Vergiate è rimasta la mamma Pinuccia, 84 anni, che Giorgio sente tutte le sere al telefono.

E non scorda Varese, terra di grandi cuochi. Grazie alle sue scuole alberghiere, la provincia vanta una gloriosa tradizione nella formazione di chef partiti alla conquista del mondo. Il piu celebre è Bartolomeo Scappi, dumentino, che visse quando le scuole di cucina come le intendiamo oggi non esistevano ancora. Emigrò a Roma, servì alla mensa di quattro papi in Vaticano e scrisse il trattato di culinaria forse più famoso del ‘500: “Opera dell’arte di cucinare”. “So bene chi è Scappi – s’illumina Locatelli –. Il mio primo manager Giovanni Baldino era di Dumenza, come lui. Posseggo una bella riproduzione ottocentesca del libro dell’arte di cucinare e quando è possibile mi piace riproporre ricette storiche italiane. Per esempio, ho imparato da Scappi la salsa di pane con le noci. Ma posso prepararla solo quando mia figlia Margherita è assente perchè se mangia le noci rischia uno choc anafilattico. È allergica. Ha 22 anni ed è vegana. L’altro mio figlio, Jack, 30 anni, mangia di tutto”. Proprio la cucina senza allergeni e la “fusion” fra la tradizione inglese e quella italiana sono diventati i punti di forza della Locanda Locatelli che serve piatti come la lepre dello Yorkshire con la liquirizia di Rossano Calabro, le capesante irlandesi al Prosecco di Valdobbiadene e le linguine aglio, olio e peperoncino con i “velvet crabs”, i granchi dalla pancia vellutata pescati sulle coste britanniche.

“Andavo a dare una mano allo zio Alfio nel ristorante La Cinzianella a Vergiate. Fu là che imparai i segreti della gestione familiare e ho poi cercato di applicarla in proprio”

Non figurano in menù le ghiottonerie prealpine che infiammano i dibattiti sul piatto tipico di Varese, il risotto col pesce persico, i bruscitti di Busto, la faraona alla creta e le costine grigliate come le fanno a Somma Lombardo. Ma c’è una ragione: “Il pesce d’acqua dolce è difficile da trovare oltre manica – spiega –. Il persico arriva 2 volte su 10 dai laghi italiani, le altre dal Nilo e non è la stessa cosa. Mi affido spesso comunque alla gastronomia di lago, cucino il luccioperca e il carpione caldo, magari applicando la tecnica ad altri pesci anziché al lavarello. La cucina è legata alla qualità degli ingredienti. Mi diverto a vedere banchieri e finanzieri della City che a mezzogiorno si siedono a gustare un piatto di pizzoccheri della Valtellina”. C’è qualche problema anche per avere a Londra i vini Igt di Varese: “Mio cugino di Vergiate è stato campione italiano di sommellerie e mi parla spesso dei Nebbiolo di Angera e Azzate, dei Merlot di Golasecca e Morazzone. Ma no, non li ho in lista. È difficile trovarli. Lavoriamo invece con gli ottimi Merlot del Canton Ticino”.

Lo chef-rubacuori non scarta l’ipotesi di aprire un giorno un ristorante a Varese. “Non escludo niente – conferma –. L’Italia resta un sogno, magari un locale in riva al lago di Comabbio, a Monate o a Varese città. Dove peraltro ho già fatto gavetta da ragazzo come lavapiatti al ristorante Il Passatore. Di cosa sono orgoglioso? Di aver elevato l’immagine della ristorazione italiana a Londra portandola al livello di quella francese, sono stato il primo a ottenere una stella Michelin all’interno di un hotel cinque stelle. Non era mai successo prima. Nei grandi alberghi c’erano solo ristoranti gestiti dai cugini d’Oltralpe. Grazie a me e cambiata la tendenza, e il mio piccolo contributo all’Italia e ne vado fiero”.



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