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Ha affrontato sfide a dir poco rischiose, percorso a piedi i più remoti e pericolosi angoli del pianeta, segnando record mai raggiunti prima. Uno spirito di avventura, quello dell’esploratrice e documentarista Carla Perrotti, forgiato nella casa di villeggiatura dei suoi genitori a Marzio, dove ancora oggi passa i suoi momenti di relax insieme alla famiglia. Ecco la storia di una traversata lunga una vita 

Se vi capitasse in questo periodo di passare dalle parti di Marzio, un piccolo comune della provincia di Varese di appena 300 abitanti, potreste imbattervi in Carla Perrotti, una donna decisamente fuori dal comune. Esploratrice, documentarista e parte del club che annovera i migliori atleti del mondo (“Sector No Limits Team”), Perrotti è attualmente l’unica persona al mondo ad aver attraversato un deserto per ogni continente, compreso il temibile Taklamakan cinese, che prima di lei nessuno era riuscito a valicare. Ma cosa ha spinto uno spirito avventuroso e libero a scegliere un paesino come Marzio per i propri momenti di relax e di stop? Ecco la risposta. 

Cosa l’ha portata in questo paese di montagna così poco conosciuto?
La mia famiglia ha sempre avuto un legame molto forte con Marzio sin dagli anni ‘50, quando mio padre, milanese d’adozione, cercando un luogo di villeggiatura in cui trascorrere l’estate con la famiglia acquistò la foresteria della villa Bonomi e Bolchini, ai margini del paese nei pressi del bosco. Forse proprio qui ho forgiato il mio spirito d’avventura, arrampicandomi sugli alberi e accompagnando i pastori, tutti i giorni, quando portavano le bestie al pascolo. Così, anche dopo la morte dei miei genitori, né io né mio fratello abbiamo mai pensato di vendere questa casa e ci siamo sempre venuti qualche giorno in estate. Quando la moglie di mio figlio, nata in America, ha manifestato il desiderio di andarsene da Milano e venire a vivere qui per far crescere i suoi figli in mezzo alla natura, io e mio fratello siamo stati felici di cederle la casa. Il mio ruolo di nonna e i ricordi d’infanzia, hanno fatto il resto, ecco il motivo per il quale trascorro sempre più tempo a Marzio.

Ci può raccontare qualcosa in più della sua vita e di questa passione per il deserto?
Io e mio marito Oscar, di professione medico, siamo sempre stati appassionati di viaggi e di avventure, tanto da farlo diventare un lavoro a tempo pieno, quando abbiamo cominciato a realizzare dei veri e propri documentari per Canale 5. Lui faceva le fotografie e i video, mentre io mi occupavo dei testi e del montaggio dei film. In quanto al deserto: una volta eravamo in Niger per girare un documentario, quando ci siamo imbattuti in una carovana del sale che stava attraversando il deserto con 200 cammelli al seguito. Ne siamo rimasti folgorati e abbiamo pensato che sarebbe stato interessante realizzare un servizio a tema: mio marito avrebbe seguito la carovana da lontano, scattando qualche foto e girando alcune riprese e io avrei provato ad aggregarmi a loro, raccontando questa esperienza dal di dentro. Grazie ad un amico che aveva delle conoscenze nel paese, siamo riusciti a contattare il capo carovana, che, dopo un’iniziale titubanza, si è reso disponibile a farmi aggregare al gruppo, a patto che, se non ce l’avessi fatta, sarei stata abbandonata al mio destino senza alcun aiuto. 

Com’è stata quella prima esperienza? Quanto è durato il viaggio?
Il viaggio è durato 9 giorni. Mai e poi mai mi sarei aspettata un percorso così duro: si camminava dalle 7.00 del mattino alle 10.00 di sera ininterrottamente, con brevi periodi in sella al cammello, anzi in groppa al cammello (le selle non c’erano, visto che i cammelli erano caricati con il sale). Mi era permesso di salire sul cammello solo quando lo decideva il capo carovana, solitamente durante le ore più calde del giorno, quando le temperature superavano i 50 gradi e al calar del sole, perché temevano che altrimenti mi sarei persa. I primi giorni sono stati quelli più duri, talmente duri che pensavo di non farcela. Più di una volta mi sono ritrovata a piangere silenziosamente nella mia tendina bianca pensando di mollare il colpo, pur ritenendomi una donna forte, con trascorsi da atleta: quello che ho provato in quella prima occasione nel deserto non è descrivibile. Da quel caldo insopportabile durante il giorno, al freddo della notte, alle vesciche dolorosissime sotto ai piedi, al mal di schiena causato dall’andare a dorso di cammello senza sella. Miracolosamente, sono riuscita ad arrivare in fondo a quell’avventura e a guadagnarmi il rispetto dei Tuareg, come unica donna ad aver attraversato il deserto al seguito di una carovana del sale.

E il secondo deserto quale è stato?
Quello in Bolivia a 3.600 metri di altezza, il Salar de Uyuni, la più grande distesa salata del mondo. L’ho attraversato in 6 giorni trainando un carretto che pesava 130 chili. Non avevo con me la radio e mi orientavo usando una bussola e tenendo come riferimento le montagne. Il vero pericolo di questo viaggio sono stati gli “occhi del salar”, dei buchi circolari nella crosta di sale solitamente molto spessa, che, quando meno te lo aspetti, possono inghiottirti.  

È con questa impresa che è diventata “Sector No limits”?
Sì, dopo aver attraversato con la carovana del sale il deserto, si sono interessati a me e mi hanno sostenuto nelle mie imprese. Ma i miei viaggi hanno sempre avuto come fine la conoscenza di me stessa, più che la grande impresa e di volta in volta ho spostato i miei limiti più avanti. È così che è nata l’idea di attraversare un deserto per ogni continente.

La meta successiva?
La meta successiva è stata il deserto del Kalahari tra Sud Africa e Botswana. In questo viaggio ho voluto provare un’esperienza nuova, ovvero partire senza viveri al seguito per nutrirmi solo di quello che mi offriva la natura, come bacche e radici, grazie all’aiuto di un guerriero Boscimane. Un’esperienza durissima durata 15 giorni, in cui percepivo il mio corpo andare in autoconsunzione.

E poi è arrivato il deserto della Cina, quello che prima di lei nessuno era riuscito ad attraversare vivo: non aveva paura?
No, non so perché, ma ero certa che ce l’avrei fatta. Il viaggio è durato 24 giorni. Mi facevo lasciare delle taniche d’acqua ogni 25 chilometri, che ritrovavo grazie alle coordinate che mi venivano inviate sul telefono satellitare. 

Quinto ed ultimo deserto, quello australiano: quali difficoltà ha riscontrato? 
Il deserto australiano è stato il più pericoloso, non tanto per le difficoltà del viaggio in se stesso (ormai ero temprata), ma soprattutto per la pericolosità degli animali che si possono incontrare lungo il tragitto, spesso mortali. Nei 15 giorni che ho impiegato ad attraversarlo, quindi, non mi sono mai rilassata. 

Cosa ha provato pensando che, di lì a poco, la sua esperienza con i deserti sarebbe terminata?
Avevo iniziato a pensare alla fine del ciclo di questi viaggi avventurosi mentre attraversavo il deserto del Taklamakan in Cina. Un giorno, mentre camminavo su di un terreno non troppo accidentato, ho provato a chiudere gli occhi, chiedendomi cosa potesse provare una persona non vedente affrontando un’esperienza come quella. Così, dopo aver concluso con successo la mia missione nei cinque continenti, ho cominciato a condividere le mie esperienze con altri. Il primo viaggio è stato proprio con una persona a cui mancava la vista, Fabio Pasinetti, con cui ho attraversato il Deserto Bianco in Egitto. All’inizio Fabio, appassionato di maratone, affrontava il viaggio solo dal punto di vista sportivo, ma pian piano ha cominciato a viverlo in modo diverso e più profondo. Sono stati proprio i cambiamenti che ho visto in lui a darmi l’idea di organizzare dei percorsi per persone comuni, da affrontare come una sorta di Desert Therapy, una terapia del deserto. E da allora sono passati ben 13 anni, senza contare gli ultimi due di pandemia, ovviamente. Ogni viaggio mi riserva sorprese incredibili: non potete immaginare la gioia nel vedere persone, alla partenza, cariche di problemi emotivi, che riescono, durante il percorso, a ritrovare un equilibrio interiore.

Ha mai pensato di proporre la Desert Therapy nel mondo del lavoro, per esempio, a imprenditori e manager?
È una di quelle attività che mi piacerebbe approfondire, non solo andando a parlare nelle aziende, ma organizzando dei viaggi in cui poter insegnare a queste persone come affrontare positivamente i momenti di difficoltà e come superare lo stress lavorativo. 



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