La-nuova-via-dell’arte

Anni di lavoro, studio, meticolosa cura di ogni dettaglio. E, ora, il coronamento di un sogno. Apre a Varese la Fondazione Marcello Morandini. La nuova perla artistica della città è incastonata all’interno della ristrutturata Villa Zanotti che si affaccia in via Francesco del Cairo, ora pedonale e impreziosita dal nuovo disegno geometrico donato dallo stesso artista, padrone e interprete incontrastato del bianco e nero: “I valori su cui si fonda questo progetto sono quelli dell’accessibilità, dell’inclusione, dell’innovazione sociale”   

Dopo una gestazione durata anni di scrupolosa preparazione e intenso lavoro, è aperta al pubblico la bella sede della Fondazione Marcello Morandini. L’atteso evento corona un sogno. Quello di uno spazio, collocato nel cuore della città, affacciato sulla via dedicata a Francesco Cairo, al numero 41, dove si possa avvicinare e cogliere nel suo divenire il cammino di una vita dedicata all’arte. Ma anche promuovere l’Arte Concreta e Costruttivista Internazionale attraverso programmi espositivi, nonché pubblicazioni e conferenze. La Fondazione, nata nel 2016 per volontà dello stesso artista e grazie al contributo di due importanti collezionisti, prese avvio nel 2017 proprio con i lavori di ristrutturazione di Villa Zanotti, i cui spazi sono ancora in fase di completamento.  

Immersa nel verde, un tempo villa di delizia (1907) abitata con amore dalla famiglia Milanese Zanotti, oggi è rinata nella sua quieta bellezza grazie a perfetti lavori di restauro su quattro piani. Ma soprattutto - non sfuggirà ai visitatori avveduti - ha il grande pregio di incentrare in sé la summa dell’arte e della creatività contemporanea. Perché proprio nell’opera di un artista come Morandini, nel bianco e nero delle sue creature, si trova l’esempio di un’intuizione che nasce e spazia dal mondo del fare per eccellenza, quello dell’industria, dove l’artista mosse i primi passi, al libero universo del bello. Così che passato e presente, utilità e sublimazione artistica si fondono armoniosamente, rincorrendosi da un piano all’altro dell’edificio, tra stanza e stanza, tra opera e opera. Siano opere d’arte, di design, o progetti di architettura. È il cammino completo di un maestro, meticoloso e testardo, una ricerca ‘calvinista,’ come l’interessato ama dire: dove nulla è stato ignorato o sottovalutato, così che tutto si ritrova e ha un suo significato. Nella storia individuale che è parte della storia di tutti.  

“I valori su cui si fonda la fondazione - sottolinea l’artista - sono quelli dell’accessibilità, dell’inclusione e dell’innovazione sociale”. Il progetto è infatti un dono importante anche e soprattutto per Varese, la città che Morandini, di radici mantovane, scelse come luogo definitivo di lavoro e della sua vita familiare. A conferma che è spesso la provincia il miglior luogo per nascere e godere della possibilità di sviluppare i personali talenti. Come è già stato dimostrato in campo artistico, nel nostro territorio, da Lucio Fontana, Vittorio Tavernari e Renato Guttuso, che produssero, il primo nella casa-studio di Comabbio, i secondi rispettivamente a Barasso e nel buen retiro velatese, molte tra le loro più importanti opere. E, prima ancora, dal Grande Lodovico Pogliaghi (1857-1950), artista milanese eclettico come Morandini, di alto lignaggio, che scelse definitivamente il borgo sacromontino per lavorare e vivere. Personaggi la cui presenza è conferma anche dell’internazionalità in campo artistico della nostra città. L’antica internazionalità varesina era esplosa peraltro già negli anni a cavallo tra fine Ottocento e primi del Novecento in campo turistico, così come avverrà poi anche nel settore industriale. 

Con la Fondazione Morandini Varese viene ulteriormente proiettata in una dimensione che non conosce confini territoriali, perseguendo e rafforzando quella fama già conquistatale da Villa Litta Panza, proprietà del Fai. Visitare le sale in cui si sviluppa il percorso artistico di Morandini significa passare dalle sue prime prove di designer, ai più intriganti lavori, divertissement d’artista dove geometria e arte si danno la mano con felici esiti. Per arrivare a quegli oggetti di arredo, che sono sempre capolavori di tecnica e arte, come i tavoli, il famoso Spider concepito come un grosso ragno, o le divertenti, elegantissime librerie optical, o le fragili porcellane della Rosenthal o la prediletta lampada Bianera, progettata nel 1983, e messa ora in produzione da Forma e Funzione. Fu, questo della Rosenthal e della Thomas, un altro marchio di fabbrica al quale si lega il nome del designer Morandini, un capitolo importante della sua vita, che gli permise non solo di farsi conoscere come padre di oggetti ricercatissimi, tuttora presenti nelle migliori vetrine di case e negozi, ma gli aprì le porte a una collaborazione fondamentale: la realizzazione di imponenti edifici, gli stabilimenti delle due ditte, che restano nella storia dell’architettura internazionale assieme a nuovi progetti di architettura e di edifici, seguiti ai primi due, in altri paesi. Se fu a suo tempo artista espatriato (con orgoglio) dopo le contestazioni della XXXIV biennale Internazionale d’Arte di Venezia, quel suo lavorare, creare e insegnare ‘in esilio’ fu proficuo. E carico di soddisfazioni il ritorno.

Va il merito anche alla città di Varese di avere capito l’importanza del luogo, la necessità di renderla visibile ai turisti che sempre più spesso, in transito da Malpensa incontriamo in centro città. Dove le dimensioni di un capoluogo a misura di uomo, apprezzate come un privilegio da chi vive le distanze della grande città, si sposano armoniosamente all’eleganza delle case, dei vecchi portici, della piazza Monte Grappa, quella disegnata dal Loreti, dove la mano dello stesso Morandini ha contribuito a rafforzarne le geometrie solide e durature con gli arredi e la pavimentazione. Così la Via del Cairo è diventata, e sempre più lo sarà, una delle vie centrali del cuore e del salotto buono di Varese, grazie al prezioso disegno geometrico della stessa, donato alla città da Morandini, alle panchine solide, al verde e ad alcune presenze scultoree. Insomma, una via importante, la via dell’Arte per eccellenza, che chi vorrà potrà cercare, per sostare, godere, vivere. Altri progetti della Fondazione dovranno trovare ora ultimazione: come la foresteria e l’ascensore, che sarebbe a sua volta una opera d’arte. Ma intanto la casa si fa scrigno di altre opere rare, che l’artista è andato addirittura a riacquistare, perché sia completo il tracciato di un percorso: quello già in mostra al terzo piano, in un’antologica che, in occasione dell’apertura, ripercorre le varie fasi artistiche morandiniane.    

C’è una storia infine che riguarda il giardino. L’artista lo aveva visto nella sua selvaggia, verdeggiante bellezza. Ma per salvare i palmizi dall’insidia dell’edera era necessario tagliare il superfluo. Così i giardinieri si erano messi all’opera. L’effetto finale ha raccontato la moglie di Morandini, Teresa Barisi, artista a sua volta, che con lui ha seguito la Fondazione passo passo, aveva sconvolto Marcello. Difficile accettare quei lunghi fusti liberati dai rampicanti, isolati nel nitore dei 3400 mq del parco ripulito. Gli parevano contraddire l’idea romantica dell’antica casa. Poi un raggio di sole è corso al tramonto del parco, illuminando il verde del prato e quelle piante in colloquio tra loro e con la villa. Teresa gli ha inviato una foto. E un nuovo progetto è nato. Un progetto di arte ambientale: “Una storia d’amore.” Dove ogni albero è circondato da un anello bianco in metallo scatolato verniciato a polvere. Gli anelli sono di diverse dimensioni, e rappresentano un vincolo indissolubile con la villa, quasi un matrimonio d’amore. Chi vorrà potrà adottare un albero, legando per sempre il proprio nome a quello della Fondazione.  Che non sarà però un luogo di pura contemplazione, avverte Morandini: “Deve esserlo soprattutto di studio e di ricerca, al fine di favorire la nuova produzione”.  

 



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