La-battaglia-dimenticata-di-Cheren

Per l’Italia rappresenta una delle pagine più tragiche della Seconda Guerra Mondiale. Eppure nessuno ha memoria di questo confronto con le truppe inglesi che avrebbe potuto cambiare le sorti del conflitto, almeno in Africa e che il romanzo storico “P.O.W.” racconta con gli occhi di un varesotto di adozione: Guido Olivato, per anni prigioniero nei campi di concentramento di “Sua Maestà”

‘‘Guido è morto. Dopo la messa, nella cappella stracolma di gente, le spoglie vengono portate sulle spalle dai colleghi che si muovono con passo cadenzato all’interno della Ugo Mara, la caserma dove Guido ha prestato servizio dal 1956 e dove ha abitato per sedici anni.
Molti colleghi di Busto Arsizio partecipano al funerale per sincera ammirazione e per rispetto verso un sottufficiale che ha vissuto sempre il senso del dovere fino all’ultimo respiro. Ma anche per stare vicino alla moglie di 44 anni e ai quattro figli rispettivamente di 22, 19, 16 e 10 anni. È una giornata di lutto, anche il cielo è nero di pece. Il feretro attraversa il viale alberato della caserma, dove i pioppi, in questo giorno di autunno, al suo passaggio sembrano ritti sull’attenti”. 

Questo l’incipit del romanzo storico di Tito Olivato, figlio di Guido. Sottufficiale della Caserma di Solbiate Olona, la cui vita è segnata, prima di farsi adottare dal Varesotto, da una vicenda dimenticata della Seconda Guerra Mondiale: la battaglia di Cheren, in Africa Orientale.
Guido e gli altri militari come lui coinvolti e sopravvissuti al conflitto africano, si sono resi protagonisti di una pagina della storia andata perduta nella memoria del Paese nel corso degli anni, la cui eco è si è fermata nella valle di Cheren nel 1941 quando la battaglia tra inglesi e italiani impazzava in Eritrea. Prima dell’inizio del conflitto Guido parte volontario per Addis Abeba dove vive la serena quotidianità in una terra che fa parte dell’Impero d’Italia fino a quando, il 10 giugno 1940, Mussolini annuncia la dichiarazione di guerra. Da questo momento in poi la vita di Guido e dei venticinquemila militari italiani dislocati in Africa Orientale è contro gli inglesi e l’esistenza diventa dura, drammatica, al limite della sopportazione. Il momento peggiore e più significativo per gli schieramenti è a Cheren, dove migliaia di britannici continuano a bombardare le postazioni degli italiani superstiti che oppongono una strenua e quanto mai sofferta resistenza.

Dopo molti scontri, anche corpo a corpo, giunge inesorabile la vittoria delle forze anglo-sudanesi. Guido e gli altri vengono deportati nei campi di concentramento prima in Africa e poi in India

Dopo molti scontri, anche corpo a corpo, giunge inesorabile la vittoria delle forze anglo-sudanesi. Guido e gli altri vengono deportati nei campi di concentramento prima in Africa e poi in India. Vivono in condizioni disumane, subiscono violenze, patiscono la fame e contraggono il colera che miete numerose vittime. La ferocia degli inglesi non ha limite e per i nostri tutto sembra ormai irrimediabilmente perduto.  Ma il forte senso della patria ancora vivo nei cuori dei pochi superstiti, il valore della famiglia che ciascuno sente presente nel proprio animo e l’amore per la vita, si rivelano gli ingredienti per tenere duro e sopravvivere anche con pochissimo cibo, anche sotto le frustate e i calci di fucile inflitti nel costato dalle guardie anglo-sudanesi all’interno del campo di concentramento.

Sopravvivere oltre l’anonimato, quando viene cancellato il nome di battesimo per sostituirvi un numero, oltre il colera che impazza a Massaua e annienta decine di persone, oltre la solitudine e la distanza che rendono inumani gli uomini che vivono per cinque anni tra pidocchi e piattole, speranze e disperazioni. I campi di concentramento simili a tanti in quel periodo: terra battuta delimitata da filo spinato, agli angoli garitte presidiate dalle guardie pronte a far fuoco se i P.O.W. (prisoners of war) insorgessero. L’estate africana a Massaua, a Wad-Madani e a Ghinda, raggiunge temperature disumane, così come lo sono le condizioni di vita dei P.O.W. che devono camminare obbligatoriamente scalzi sulla sabbia ardente per centinaia di metri allineati e coperti, a raccogliere l’acqua del Nilo nei bidoni di latta della Shell. Acqua nella quale emergono carogne di animali vicino a molti militari che si stanno lavando. Quell’acqua servirà ai P.O.W. per abbeverarsi e per le attività di pulizia quotidiana all’interno del campo di concentramento.

Con il sole cocente i prigionieri di guerra sono obbligati a stare fuori, quando piove, sono spinti con il calcio del fucile all’interno delle baracche sudicie e calde come un forno. Per i P.O.W. non c’è possibilità di ristoro.  Guido è l’uomo che vede e subisce le violenze psico-fisiche degli inglesi e anche lui, come buona parte dei suoi compagni, contrae il colera e vede la morte in faccia. Il colera strazia i corpi già in parte ridotti a lumicino. Triste per la morte dei suoi amici e preoccupato per le proprie condizioni di salute, Guido, nel campo di concentramento, trova una pianta di limone selvatico e mangia tutto, foglie comprese. Progressivamente giorno dopo giorno, le condizioni di Guido migliorano ma intorno a lui le fosse piene di liquami accolgono i militari defunti che vengono ricoperti con qualche badilata di terra. Latrine a cielo aperto che si trasformano in un cimitero. 

Le canzoni degli anni Trenta si espandono nella vallata di Cheren, così pensa l’Inghilterra, assegnando il compito alla BBC, sarà possibile fiaccare gli animi dei militari arroccati sulle cime

Ma il romanzo, come recita il sottotitolo, corre, corre senza sosta da un capitolo a un altro, da una situazione a un’altra senza una sosta. La lettura procede concitata, quasi in affanno, come se Guido avesse una telecamera sulla fronte e facesse vedere in presa diretta quello che vive. Tutto il romanzo tende rapidamente all’epilogo, quasi in modo spasmodico verso la vita, che è l’altra protagonista oltre a Guido che scrive riportando tutto ciò che vede e che sente su fogli di carta igienica che gli inglesi razionavano quotidianamente. La vita che lo fa resistere alle atrocità, alla solitudine, alla prigionia e gli parla di ritorno a casa dalla sua famiglia, la vera ancora di salvezza nella tempesta infernale dei campi di concentramento. La vita che ha visto rubata a molti giovani, che ha visto vilipesa e calpestata, quella stessa vita gli fa conservare un cuore ancora disposto ad amare e a unirsi a una giovane ragazza di Massa, con cui darà inizio a una sua famiglia.

Si intrecciano anche quadri d’autore, personaggi, affetti e musiche. Le canzoni degli anni Trenta si espandono nella vallata di Cheren, così pensa l’Inghilterra, assegnando il compito alla BBC, sarà possibile fiaccare gli animi dei militari arroccati sulle cime Forcuta, Sanchil e Dologorodoc. Un attacco psicologico che si alterna a quello bellico tout court. Un romanzo che mette in luce lo sforzo e l’eroismo di molti italiani in uno degli episodi più drammatici e più dimenticati dai libri scolastici: la battaglia di Cheren e i campi di concentramento inglesi. Il libro contiene un’interessante e preziosa appendice tratta dal diario di guerra di Guido scritta con dell’inchiostro o del materiale di fortuna, pezzi di matita e di grafite, che dopo settantadue anni sono stati sottratti all’oblio e portati alla luce per fare memoria della nostra storia. 



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