Non portò a casa la maglia rosa solo perché a quei tempi non esisteva. Ma l’albo d’oro della gara a tappe organizzata, allora come oggi, dalla Gazzetta dello Sport inizia con il nome di Luigi Ganna di Induno Olona. Un’impresa passata giocoforza alla storia. Come protagonista, un uomo che per anni si allenò facendo il muratore pendolare in bicicletta. Da e per Milano, tutti i giorni

Il recente trionfo di un giovane corridore di Verbania ai Mondiali di ciclismo di Imola (nella cronometro individuale) ha riportato alla ribalta un cognome che, nella storia del pedale, è di quelli che valgono un monumento: Ganna Filippo. Il ragazzo in questione non è però parente di quel Luigi di cui parliamo in queste righe, un’autentica leggenda per ogni appassionato. Il motivo principale è semplice: quando si legge l’albo d’oro del Giro d’Italia, il primo nome che si incontra è proprio quello, Luigi Ganna. Era il 1909 e la corsa rosa, che rosa non era ancora, visto che la maglia di leader entrò in vigore nel 1931, si disputava per la prima volta suddivisa in 8 frazioni, con partenza e arrivo a Milano. E proprio lì, nella celebre cornice dell’Arena Civica, “Luisìn” (o “Luisòn”) pronunciò la frase più famosa della sua carriera. Alla domanda rivoltagli da un giornalista, su come si sentisse subito dopo aver vinto il Giro, il Ganna rispose in dialetto con la massima sincerità possibile: “Me brüsa ‘l cü”. Il nostro non era nuovo a quei panorami meneghini: il suo primo mestiere era, infatti, quello di muratore e Milano era il luogo in cui Ganna lavorava. Ogni mattina il futuro campione partiva in bici dalla sua Induno Olona, il luogo dove viveva e dove era nato il 1° dicembre del 1883 e raggiungeva la grande città, pedalata dopo pedalata. E lo stesso accadeva al ritorno.

Al momento di vincere il Giro d’Italia, però, Ganna aveva già smesso di armeggiare con mattoni e cazzuole: il suo nome iniziò a circolare sugli ordini d’arrivo delle gare ciclistiche fin dal 1904 e nel fatidico 1909 era senza dubbio uno degli uomini più attesi. Quello fu anche l’anno dell’altro suo grande trionfo, la vittoria nella “Milano-Sanremo” conquistata alla media (record) dei 30 all’ora, staccando di 3 minuti il francese Georget e di oltre un quarto d’ora il tortonese Cuniolo. Ancor più lontani il belga Van Houwaert e il mitologico “Diavolo Rosso”, Giovanni Gerbi. “I giganti della strada dominati da Ganna”, strillava in prima pagina la Gazzetta dello Sport del 5 aprile 1909, quasi un presagio di ciò che avvenne poi a fine maggio. Al Giro, Ganna era segnalato come tesserato dell’Unione Sportiva Varesina, ma largo spazio veniva dato anche alla sua attrezzatura: “macchina Atala” e “pneumatici Dunlop” è la scritta che campeggia sulla Gazzetta accanto al nome del vincitore e a un dato numerico clamoroso: “500mila persone salutano l’ingresso dei trionfatori a Milano”. Già, la sua Atala: la bicicletta utilizzata da Ganna pesava circa 15 chili, aveva un solo rapporto che, dicono le cronache, sviluppava poco più di 5 metri a pedalata e aveva il pignone fisso che costringeva a pedalare anche in discesa. Chissà se questi particolari, che rendevano ancor più eroico un ciclismo già sufficientemente duro (tra strade sterrate e tappe di lunghezza mostruosa), influirono nella scelta di Ganna di diventare costruttore di biciclette, vincenti e ben più moderne, nella seconda parte della sua vita. In quell’edizione del Giro, il possente corridore varesino primeggiò in 3 tappe su 8, quelle con arrivo a Roma (quarta), Firenze (quinta) e Torino (settima). Alla fine, vinse con 25 punti (la classifica per tempi sarebbe entrata in vigore solo nel 1914), 2 in più del milanese Carlo Galetti che ebbe modo di rifarsi negli anni seguenti.

Nell’edizione 1909 del Giro d’Italia, il possente corridore varesino primeggiò in 3 tappe su 8, quelle con arrivo a Roma (quarta), Firenze (quinta) e Torino (settima): alla fine, vinse con 25 punti (la classifica a tempo venne introdotta solo più tardi)

“Come forma, Ganna, ha dimostrato di essere l’uomo più completo e meglio preparato”, racconta ancora il quotidiano sportivo milanese, che a quei tempi dedicava al ciclismo l’intera prima pagina (e come oggi, organizzava la corsa). Per centrare il successo finale, il campione varesino dovette superare più di una difficoltà personale, ma nella tappa conclusiva poté finalmente godere di un colpo di fortuna. Attardato per una foratura, Ganna riuscì a tornare sul gruppo dei migliori a causa di un passaggio a livello chiuso, li raggiunse e arrivò con loro all’Arena in mezzo a una folla oceanica. La volata fu altrettanto epica: vinse il romano Beni, secondo Galetti, Ganna ottenne il terzo posto sufficiente a garantire il successo nel Giro mentre lo sfortunato Rossignoli venne travolto da un cavallo imbizzarrito dei Lancieri di Novara, agghindato da parata.

La meravigliosa vittoria al Giro 1909 cambiò la vita di Ganna che si sposò, si trasferì a Varese e aprì un’officina, il primo nucleo della sua azienda. Non smise subito di correre: sfiorò il trionfo nel Giro di Lombardia, centrò altre tappe al Giro e portò il nome “Ganna” in gruppo, anche sulle maglie e sui telai. Le bici e il marchio di Ganna vissero a loro volta giornate gloriose: 2 vittorie a Sanremo, la prima con il belga Jef Demuysere nel 1934, la seconda con il toscano Cesare Del Cancia nel 1937. Quest’ultimo regalò al buon “Luisòn” altri risultati storici: in maglia Ganna vinse sia la Tre Valli del ‘36, sia la tappa del Giro del ‘38 con arrivo a Varese. Ma l’impresa delle imprese per il Ganna costruttore risale al 1951, quando Fiorenzo Magni gli diede la vittoria al Giro d’Italia. Luigi Ganna morì pochi anni dopo, nel 1957 e ancor oggi è ricordato a Varese grazie all’intitolazione del velodromo di Masnago.

Luigi Ganna al Giro d’Italia del 1909. Foto tratta da Wikipedia



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