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Dalle prime tracce di panificazione, che risalgono al 12.000 a.C. in Giordania, ad oggi, la professione del panificatore si è evoluta, attraversando cambiamenti (a volte epocali) e grandi sfide. Quella attuale è di resistere alla modernità e ad un mondo del lavoro che cambia soprattutto nelle nuove generazioni. Il racconto, per immagini e testimonianze, di chi da anni vive tra forno e farine, con tanta passione, dedizione e spirito di sacrificio

Le più antiche tracce di panificazione risalgono al 12.000 a.C. in Giordania. La preparazione del pane a quei tempi era molto semplice. Venivano macinati i cereali tra due pietre, impastati con acqua e poi cotti su ciottoli roventi. Bisognerà aspettare il 3.000 a.C. e gli egizi per avere un pane più raffinato, nel quale verrà introdotto il lievito. Oggi di tipi di pane ce ne sono una gran varietà e vengono realizzati con le farine più disparate. Segno dei tempi e dei gusti in profonda trasformazione. Così come l’approccio dei giovani verso un mestiere duro, dagli orari impossibili e che lentamente rischia di scomparire. Sul territorio uno dei suoi custodi è sicuramente Davide Pigionatti, titolare di uno dei panifici storici di Varese, dove questo lavoro si tramanda di padre in figlio da ormai tre generazioni.

C’è ancora chi intraprende da zero il lavoro di panettiere o i pochi che ancora lo fanno sono figli d’arte?
Qualcuno ancora c’è, ma siamo sempre meno. Questo è di sicuro un lavoro estremamente impegnativo, una sorta di missione, si ha poco tempo per se stessi e per la famiglia.  

Nel suo caso, è stata una scelta obbligata oppure una sua decisione seguire le orme di famiglia?
È stata una mia decisione. Mio padre non ha mai fatto pressione in tal senso, sapeva quanto sacrificio richieda questo mestiere, ma poi quando ho fatto questa scelta ne è stato contento. All’inizio non pensavo neppure io di svolgere questo lavoro, avevo studiato ragioneria e avevo fatto anche un tirocinio in uno studio di commercialista, ma dopo poco tempo ho capito che quella professione non faceva per me, così ho continuato ad aiutare mio padre sempre più, fino a quando le parti si sono invertite e ho preso io le redini dell’attività. Nel tempo ho imparato ad apprezzare tanti aspetti di questo mestiere, in cui si parte dalla materia prima per arrivare al prodotto finito. È un lavoro che richiede sensibilità ed esperienza per essere svolto nel migliore dei modi. Ogni giorno è diverso dall’altro e si devono prendere molte scelte, differenti a seconda delle condizioni atmosferiche e delle stagioni dell’anno.

Sono cambiati i gusti dei consumatori nel tempo?
Sono sicuramente cambiati, anche perché sono mutate le abitudini familiari: molte persone, oggigiorno, pranzano fuori casa a mezzogiorno e la produzione di un certo tipo di pane vuoto all’interno è andata diminuendo, perché andrebbe mangiato non troppe ore dopo essere stato cotto. Oggi si privilegiano invece i pani pieni, che durano più nel tempo e che si prestano ad essere congelati, come le pagnotte o il grano duro. Si sono poi diffusi molto di più pani integrali, anche la segale e il Kamut. Per non parlare poi delle mode del momento: un po’ di tempo fa, ad esempio, c’è stato il boom del pane alla soia e al carbone, ma non sono durati a lungo.

E lei ha mai inventato qualche tipo di pane?
Sì, ho inventato un pane di segale con il sesamo al suo interno. È un pane che piace anche a chi non ama l’integrale, perché toglie il gusto amarognolo della segale. Faccio poi del pane stagionale come quello con la zucca, non utilizzando come fanno in tanti la polvere, ma facendo cuocere le zucche e mettendo nell’impasto del pane la polpa. 

Quello che ha imparato glielo ha insegnato solo suo padre oppure ha anche frequentato una scuola?
Gran parte del lavoro me lo ha insegnato mio padre, ma parecchie produzioni speciali le ho imparate ai corsi di aggiornamento per panificatori. Ho partecipato a diversi corsi per la produzione di pani regionali, come il “Ferrarese”. Sono poi stati organizzati numerosi scambi culturali con panificatori di altre nazioni, una bellissima esperienza. Sono venuti dalla Francia maestri del mestiere, che ci hanno portato la loro esperienza nella realizzazione della baguette e dei croissant o dalla Germania, per la preparazione del pane nero. Noi, a nostra volta, siamo andati nei loro paesi a far conoscere alcune nostre produzioni tipiche.

E per quanto riguarda le materie prime e i loro recenti rincari cosa mi dice, come avete fronteggiato la crisi?
Sul discorso dei rincari sicuramente la guerra in Ucraina ha influito, ma c’è stata anche una grossa speculazione. Non si spiega ad esempio il rincaro della farina Manitoba, una farina americana ricca di glutine che noi utilizziamo per la realizzazione delle veneziane e dei panettoni. Noi, comunque, come politica abbiamo cercato di non ritoccare i prezzi se non dove assolutamente necessario.

Dove vi servite per acquistare le materie prime?
Ci forniamo da sempre da due mulini di fiducia, uno a Tortona e uno a Voghera, dove compriamo oltre a delle farine di importazione, anche delle farine a filiera corta di produzione locale, su cui c’è un certo controllo di qualità. Sono farine povere di glutine, non particolarmente pregiate, ma che vanno bene per specifiche lavorazioni.

Come è la giornata tipo di un panificatore artigianale?
La lavorazione del pane è fatta da diverse fasi: la preparazione dell’impasto, la lievitazione, la formatura e la cottura. Si comincia alle 18.00 di sera con l’impasto per i pani a lenta lievitazione, come il francese. Un pane lievitato lentamente ha tutto un altro sapore, è come se respirasse l’aria che lo circonda. Poi verso le 2.00 di notte si torna al forno e si preparano i prodotti il cui impasto non necessita di una lunga lievitazione e possono essere cotti dopo poco tempo. Verso le 4.00 si riprendono gli impasti preparati la sera prima, si lavorano, si lasciano riposare un po’ e poi si cuociono. Con la cottura si finisce verso le 10.30 del mattino con le focacce e le pizze, ma si lascia sempre pronta qualche teglia in caso di ordini improvvisi. Verso le 12.30 il lavoro si può considerare concluso, si va a casa a mangiare e poi si va a dormire fino alle 18.00 del pomeriggio. L’unico giorno libero è la domenica.

Dovesse tornare indietro, sceglierebbe ancora questo mestiere così duro?
Non ho alcun dubbio a riguardo e ora capisco, dopo tanti anni di lavoro, perché sia mio padre che mio nonno non avrebbero mai cambiato mestiere. Pensi che loro non avevano neppure un giorno di riposo settimanale, lavoravano sempre. Forse se avessi potuto tornare indietro, avrei fatto qualche esperienza in più all’estero e mi sarei organizzato diversamente per avere un po’ più di vita di famiglia. 

Quando smetterà, c’è qualcuno dei suoi figli che porterà avanti l’attività?
Purtroppo, no. Ma li capisco. Fare il panettiere richiede troppi sacrifici, specialmente in gioventù. Quando ero più giovane tante volte mi è mancato non poter mai fare baldoria fino a tardi con gli amici o la fidanzata. Mia figlia Valentina sarebbe stata anche portata per la pasticceria, ma saggiamente ha scelto di fare la fisioterapista, mio figlio Paolo invece si è dedicato a tutt’altro, studia Economia e Management. Ormai è quasi impossibile trovare dei giovani disposti a fare questo lavoro. Ciò mi rincresce molto, ma i tempi cambiano, e con ogni probabilità quando io smetterò, saranno anche cambiati i gusti delle persone; il piacere di mangiare il pane è più legato a chi ha la mia età o è più vecchio, i giovani hanno altri gusti ed esigenze e quindi non mi meraviglierei se in un prossimo futuro la produzione del pane venisse fatta solo a livello industriale.  



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