Gianni Stigliano, di Gorla Maggiore, è una sorta di Iron Man varesino che ama la sabbia, le rocce e le dune del deserto del Sahara, Scenario estremo affrontato prima in sella della sua moto durante la Dakar e poi a piedi, sfidando temperature elevate e scarsità d’acqua nel corso della famosa gara podistica Marathon des Sables: 250 chilometri in 7 giorni, praticamente in solitaria
Sabbia, dune, caldo. Tanto caldo e poca acqua. È l’epica Marathon des Sables: 250 chilometri nel deserto del Sahara in 7 giorni e in solitaria o quasi. Una gara podistica, per chi riesce a correre a temperature folli e per chilometri e chilometri nel nulla, per veri Iron Man. Uomini d’acciaio nel fisico e soprattutto nella testa perché, come racconta Gianni Stigliano, “quando i muscoli sono sul punto di abbandonarti è la mente che ti aiuta a tirar fuori energie che uno nemmeno immagina di avere dentro”. Gorla Maggiore, la più piccola delle “sorelle” della Valle Olona, è distante anni luce dal deserto del Sahara. Eppure, Gianni Stigliano, che a Gorla ci abita, “sente” il deserto come una dimensione familiare. Rocce, sabbia, alte temperature, poca acqua e punti di riferimento invisibili all’occhio “urbanizzato”. Elementi ostici per molti. Non per Gianni che nel Sahara, ma anche in altri deserti, ha corso in moto. Nella storia sportiva di Stigliano, infatti, ci sono i rally, tra cui la Dakar a cavallo di una moto. “È la mia passione – racconta –. Il deserto mi ha rapito fin dalla prima volta che ci sono stato. È quasi il mio habitat naturale. A molti appare un luogo desolato, ma quando inizi a conoscerlo, capisci che sa anche trasmettere serenità e pace, qualcosa che qui da noi in città, spesso, si fa fatica a trovare”.
Gianni Stigliano nella vita “umana” ha un lavoro e una famiglia. Ma nel tempo libero ha una fissazione: misurarsi sportivamente e provare ogni volta a superare i propri limiti, alzando l’asticella sempre un po’ più in su. Correre la Dakar, infatti, è per il gorlese un sogno ormai diventato realtà, ma che ora, a causa di un brutto incidente, è tornato ad essere un obiettivo da riconquistare. Ed è stato proprio un momento di forte fragilità a tirar fuori, ancor più forte, in Gianni la voglia di non arrendersi. E siccome il percorso di riabilitazione post infortunio l’avrebbe tenuto a lungo lontano dalla moto, Stigliano ha messo nel mirino il Sahara, ma questa volta da attraversare a piedi e di corsa. “Prima però ho dovuto recuperare e per farlo ho dovuto nuotare tantissimo – racconta Stigliano –. Così tanto al punto che a completamento dell’allenamento in acqua, ho attraversato lo stretto di Messina a nuoto”. Insomma, gli spazi chiusi, piccoli e sicuri non fanno per lui. Dopo di che è iniziata la preparazione per la Marathon des Sables, una corsa leggendaria che si snoda nel Sahara marocchino. In solitaria di fatto, poiché il serpentone colorato degli oltre 1.200 partecipanti provenienti da tutto il mondo rimane compatto per ben pochi chilometri e la selezione, fin dalla prima tappa, è durissima.
Stigliano ha concluso la maratona nella “parte sinistra” della graduatoria generale, poiché si è piazzato attorno al 450esimo posto, il che significa ben sopra la metà classifica: “La Marathon è un viaggio, direi quasi mistico, alla scoperta di se stessi”
Ma Stigliano il deserto lo conosce: “Certo – spiega – un conto è attraversarlo in moto, un altro è farlo di corsa. Ma non ho impiegato molto a ritrovare una serie di punti di riferimento che aiutano a orientarsi e capire dove ci si trova”. In quel mare di sabbia e roccia, il nulla è solo apparente. E l’Iron Man di Gorla Maggiore, che ha preparato e vissuto questa avventura con l’amico Luca Saporiti di Besnate, ha macinato chilometri riuscendo a raggiungere nei tempi stabiliti il campo base di giornata. Ma non solo. “Era per me un esordio – racconta Stigliano tornando con la mente alla Marathon – quindi mi sono posto obiettivi giorno dopo giorno. Ovvero finire la tappa che stavo per affrontare. La classifica l’ho guardata solo alla fine perché arrivare al campo di giornata era già una grande soddisfazione”. Gioia che è cresciuta all’arrivo: Stigliano ha concluso la maratona nella “parte sinistra” della graduatoria generale, poiché si è piazzato attorno al 450esimo posto, il che significa ben sopra la metà classifica. “Un risultato che mi ha fatto piacere, che però è passato in secondo piano. La Marathon è un viaggio, direi quasi mistico, alla scoperta di se stessi”.
L’atleta poi rivela alcuni aneddoti che ben spiegano cosa significhi correre nel deserto per molti chilometri al giorno e per una serie di giorni consecutivi: “Partivamo prima del sorgere del sole per evitare il più possibile le alte temperature. Nel corso della tappa però si arrivava anche a picchi di 56 gradi”. E poi le distanze: “Una tappa poteva durare anche 8 ore. Con il tappone da 92 chilometri. Ho camminato per quasi 24 ore. In pratica mi sono giocato il giorno di riposo perché il calendario mi dava l’opportunità di percorrere la tappa nell’arco di 36 ore”. E poi il fidato amico: lo zaino. “Il contenuto l’ho studiato a lungo prima di partire, anche perché con me avevo il cibo che doveva durare tutta la Marathon. Eppure, una volta in gara mi sono accorto di aver portato troppe cose e così ho regalato quasi tutto a chi incontravo lungo la strada. Tutto tranne il cibo, ovviamente, razionato tra i vari giorni della gara”. E ora? “Ho un conto aperto con la Dakar – conclude Stigliano –. Ne ho fatte due, ma non sono mai arrivato alla fine. Certo non abbandono la corsa perché ormai è un’attività che mi è entrata dentro, ma ho quel tassello da sistemare e sto lavorando per metterlo a posto”.