Formazione-4.0-a-che-punto-siamo

Da una parte l’importanza percepita dalle imprese. Dall’altra gli effettivi investimenti già messi in cantiere e programmati. Nei sistemi produttivi di Varese e Como c’è un gap da colmare sul fronte delle competenze necessarie allo sviluppo dell’industria 4.0. La fotografia e gli sviluppi in una ricerca della LIUC Business School 

In uno scenario industriale in forte cambiamento “il capitale umano, quindi le capacità e le competenze di ogni individuo, dall’operatore con le più semplici mansioni fino al manager chiamato a coordinare l’azienda, assumono un’importanza cruciale”. Ma quali sono gli skill necessari alle imprese per affrontare la navigazione nel mare aperto che le sta traghettando verso i porti dell’industria 4.0? A cercare di dare una risposta, quanto più scientifica, alla domanda è la recente ricerca “Analisi del fabbisogno manageriale delle imprese dei territori di Varese e Como rispetto alla digitalizzazione”. Uno studio svolto dai ricercatori della LIUC Business School in collaborazione con Univa Servizi (la società di servizi alle imprese dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese) ed Enfapi Como.

La ricerca è stata finanziata da Fondirigenti, il più grande Fondo per la formazione dei dirigenti in Italia, con 14mila imprese aderenti per 80mila manager, che nel solo 2017 ha stanziato complessivamente circa 2,7 milioni di euro, per la realizzazione di oltre 20 progetti di ricerca e sperimentazione sui temi delle competenze manageriali per Industria 4.0, della modellizzazione dei Digital Innovation Hub, dell’educazione professionalizzante di alto livello, delle politiche attive necessarie allo sviluppo.

         
         

Nello specifico i risultati dell’indagine realizzata dalla LIUC Business School, sulle imprese dei territori di Varese e Como, hanno individuato quelli che potremmo definire gli “skill 4.0” necessari alle imprese di due territori tra i più manifatturieri d’Italia.
Critical thinking, problem solving and decision making, creativity, comunication and collaboration, technical, information management: ecco le capacità e le competenze di cui ha bisogno il capitale umano in tempi di industria 4.0, il nuovo paradigma organizzativo, e non solo tecnologico, che mira a trasformare i sistemi di produzione ricorrendo al digitale attraverso l’utilizzo sempre più intensivo dei Big Data, dell’Internet of Things, dei Cyber-Physical Systems, dell’Artificial Intelligence, del Cloud Computing e dell’Additive Manufacturing. 

“Per tutti i pilastri dell’industria 4.0 - si legge nelle conclusioni della ricerca - emerge una buona consapevolezza da parte delle imprese sulla necessità di pianificare e programmare investimenti con un orizzonte di medio periodo”. Tuttavia, dal sondaggio svolto su un campione composto per il 64% da imprese della provincia di Varese e per il 16% da aziende della provincia di Como, emerge una sorta di divario, tra l’importanza percepita e gli investimenti già programmati per centrare questo obiettivo. Il risultato, secondo i ricercatori della LIUC Business School, è un delta medio del 36%.

Un dato che però ha varie sfumature. Sul fronte del cloud e dei robot autonomi, ad esempio, lo spread è più ridotto, pari al 20%. Più marcato il divario alle voci Internet of Things (che registra un divario del 58%) e sistemi di simulazione (che registra uno scarto del 53%). “Complessivamente - si legge nello studio - questi due risultano essere, tra i pilastri su cui si fonda l’industria 4.0, quelli più critici, con investimenti al di sotto della media, nonostante la loro rilevanza sia percepita da più del 70% delle imprese del campione”. Le competenze più critiche secondo le aziende riguardano la capacità di raccogliere ed elaborare informazioni (il cosiddetto critical thinking) e di problem solving. Secondo i ricercatori, emerge inoltre la necessità “di un rafforzamento mirato anche rispetto alle altre competenze, in particolare la capacità di sviluppare idee creative”.

         

I ricercatori della LIUC Business School hanno anche svolto delle interviste vis-à-vis e telefoniche per indagare, insieme a imprenditori e top manager, su quali leve le imprese stiano facendo forza nei loro processi di trasformazione digitale. “Il quadro complessivo che ne emerge rivela un campione variegato caratterizzato da modelli gestionali tipici della piccola e media impresa, il cui fulcro è la figura dell’imprenditore e nei quali le competenze individuali, la professionalità e il senso di responsabilità dei collaboratori sono ancora il fondamento del successo, prevalendo su strumenti più formalizzati”. Usando una metafora calcistica potremmo dire che le imprese di Varese e Como, per affrontare la partita con l’industria 4.0, così come avvenuto in passato con altri big match della storia industriale di questi territori, puntano più che sul modulo, sulla capacità dei propri fantasisti.

La ricerca della LIUC Business School non offre solo la fotografia dell’esistente. Avanza anche la proposta di un modello formativo in grado di sostenere le aziende nello sviluppo delle competenze per l’implementazione dell’industria 4.0. Un modello che faccia ampio uso dello strumento degli i-FAB. “Quest’ultimo - spiegano i ricercatori - simula il funzionamento di una fabbrica organizzata secondo logiche lean e utilizza molti degli strumenti propri del paradigma industria 4.0”. Un dispositivo formativo che nasce dalla convinzione che l’imparare facendo sia l’unica strada da intraprendere per innovare i modelli organizzativi delle aziende. Uno strumento quello proposto dalla ricerca, ampiamente sperimentato sul territorio, proprio attraverso l’i-FAB della LIUC – Università Cattaneo. “Questo modello di formazione esperienziale - spiegano dalla LIUC Business School - consente di stimolare la riflessione critica e il raggiungimento di livelli più elevati di consapevolezza per attivare processi di change management efficaci”. 

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