Sguardo fisso sull’obiettivo di lungo periodo: quello di implementare l’industria 4.0 in azienda. Ma capacità di cambiare nel breve tattiche, strategie e investimenti. È in questa (solo apparente) contraddizione che si muovono le imprese sul fronte della manifattura digitale. A raccontarne e a studiarne le dinamiche è l’ultimo libro firmato dai ricercatori della LIUC Business School

L’implementazione dell’industria 4.0 all’interno delle imprese è un po’ come intraprendere un viaggio Milano-Palermo. “Devi sapere bene quale sia la tua meta, quella non deve cambiare. Ma occorre essere pronti a modificare in qualsiasi momento i mezzi per arrivarci. Puoi partire pensando che sia l’auto il mezzo più veloce. Ma poi di fronte ad un intoppo in autostrada devi essere pronto a uscire e a cambiare percorso. Oppure fermarti, parcheggiare e prendere un treno, se ciò risulta più efficiente”. Raffaele Secchi è il Dean della LIUC Business School e Professore Associato di Economia e Gestione delle imprese alla LIUC – Università Cattaneo. In mano ha il suo ultimo libro “Fabbriche 4.0 - Percorsi di trasformazione digitale della manifattura italiana”, firmato insieme a Tommaso Rossi che nella stessa LIUC è Professore Associato di Impianti Industriali Meccanici. Per arrivare al punto della questione sfoglia il volume andando direttamente alle conclusioni. Pagina 218: “Rispetto al recente passato - si legge - è tale la velocità con cui si sviluppano nuove soluzioni tecnologiche e tale la pervasività delle loro applicazioni che lo sviluppo di un piano pluriennale rischia di apparire un mero esercizio”. È di fronte a questa (solo apparente) contraddizione che si scontrano tutte quelle aziende che in questi anni stanno investendo nell’implementazione del paradigma Industry 4.0 e nella digitalizzazione dei propri processi manifatturieri. “Una grandissima opportunità - come si legge nella quarta di copertina - per il nostro sistema industriale, che potrebbe fare un salto di qualità e recuperare quel gap di competitività che viene sempre evocato quando si fanno confronti su scala internazionale”.

Gli investimenti richiesti, però, sono importanti. La strategia deve guardare per forza al lungo periodo, ad una strada di crescita duratura e miglioramento, che però non può essere percorsa lentamente, ma che necessita di costanti cambi di velocità. Dunque, qual è il suggerimento alle imprese? “In primo luogo - recita il libro - è opportuno adottare approcci agili, ovvero procedere attraverso fasi di sviluppo basate su numerosi momenti di check&go in modo da validare velocemente le soluzioni di volta in volta realizzate e segnalare immediatamente la necessità di eventuali modifiche o integrazioni rispetto a quanto già sviluppato”. È a questa conclusione che i professori Secchi e Rossi arrivano attraverso lo studio di otto casi concreti di aziende che si trovano a diversi stadi di implementazione della fabbrica digitale. Tra queste, due sono legate al tessuto industriale che fa riferimento al Varesotto: la Goglio (packaging, soprattutto alimentare) e la Pietro Carnaghi Spa (costruzione macchine utensili).

Le tesi e le conclusioni sono il frutto di un’analisi comparata di otto casi concreti di implementazione di progetti Industry 4.0 in altrettante aziende. Tra queste, due realtà del territorio: Goglio Spa e Pietro Carnaghi Spa

“I casi analizzati evidenziano approcci meno strutturati, più flessibili, in grado di riconsiderare velocemente le priorità e reindirizzare le attività in funzione delle reali necessità”. Rapidità e flessibilità sono le parole chiave. Bisogna avere un piano, ma allo stesso tempo occorre essere pronti a cambiarlo in ogni momento. “Probabilmente - spiega Raffaele Secchi - bisogna abbandonare il concetto della strategia deliberata e studiata a tavolino a cui le imprese sono state abituate per anni e sterzare verso quella che potremmo definire una strategia incrementale. Una roadmap serve sempre, ma bisogna anche tenere aperte le porte della contaminazione, inglobando strategie emergenti e apprendendo da altri ciò che funziona”. In questo, continua il direttore della Business School della LIUC, “la classica impresa familiare italiana è il terreno perfetto in cui piantare il seme della digitalizzazione, perché le brevi catene di comando permettono di reagire al contesto e agli stimoli molto più velocemente delle grandi imprese e delle multinazionali”.

Certo, occorre, però, essere aperti e disposti a farsi contagiare. Spesso, infatti, i percorsi verso tecnologie di produzione 4.0 cominciano ad essere intrapresi dietro uno stimolo esterno, più che da un’intuizione interna. A volte sono clienti e fornitori a spingere le aziende verso la direzione digitale. “Di particolare interesse l’esperienza di Goglio che, sulla base di uno stimolo arrivato da un importante cliente, ha trasformato la tradizionale vendita della linea di packaging in un contratto di service”. Da semplice industria, ad azienda che dopo aver prodotto il bene, garantisce un servizio post vendita per il funzionamento e la soluzione dei problemi. “In Pietro Carnaghi - si legge invece più avanti nel volume di Secchi e Rossi - un fattore fondamentale per l’implementazione del paradigma Industry 4.0 è stata la collaborazione con aziende operanti nel settore militare, da sempre molto orientate all’adozione delle nuove tecnologie”. Queste le micce che fanno scattare l’interesse per la fabbrica digitale e la sua implementazione. Un passo per volta, però. L’innovazione 4.0 si può fare anche senza puntare tutto e subito su grandi investimenti.

Casi come Goglio, Pietro Carnaghi e gli altri analizzati dalla ricerca empirica dei due professori della LIUC Business School sono importanti perché mettono in risalto anche “soluzioni incrementali” che permettono di contrastare il “diffuso messaggio, a volte fuorviante, secondo cui le imprese devono necessariamente compiere un salto tecnologico radicale” per avvantaggiarsi della trasformazione digitale della produzione. E invece no: “I casi evidenziati mostrano come sia possibile procedere anche in modo graduale, applicando la necessaria sensoristica a macchinari non di ultima generazione e iniziando ‘semplicemente’ a estrarre dati elementari già in possesso dell’azienda”. Il moto, Einstein insegna, non è un concetto valido in assoluto. Così è, dunque, anche per la velocità con cui le imprese devono arrivare ad essere 4.0. Non c’è una legge precisa. O meglio, vige la formula della relatività. 

Per saperne di più: Formazione 4.0 a che punto siamo?



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