Floriano Bodini, Ritratto dell’Industriale, 1975, bronzo, collezione privata (2).jpg

La parallela ricerca artistica e umana di Floriano Bodini e dell’amico pittore Giuseppe Guerreschi in mostra a Gemonio 

‘‘Io non so ritrarre chi non conosco. Ho bisogno di sapere veramente com’è l’uomo che mi sta davanti, com’è dentro, sotto la pelle. La pannocchia un po’ sgranocchiata è la vita consumata a metà, l’edera indica un carattere pervicace, e poi c’è qui, sulla schiena, l’evoluzione di un grande insetto dal sonno della larva alla vita, e poi pezzi di tessuto connettivo... e non è compiacimento macabro: l’anatomia del corpo umano è anch’essa un brandello di vita”. Così si raccontava lo scultore di Gemonio Floriano Bodini (1933-2005) a Giulia Borgese - era il 1967- che lo intervistava per il Corriere di Informazione. Il ritratto in bronzo descritto da Bodini nei particolari è quello di Enzo Fabiani, scrittore e poeta. Uno dei tanti realizzati dallo scultore, ora in mostra nella rassegna di Gemonio dedicata allo stesso Bodini e all’amico e collega pittore Giuseppe Guerreschi. Sono due sale di sculture e pitture, opere importanti e particolari, per lo più inedite, in parte provenienti da collezioni private. 

L’appuntamento rappresenta la seconda tappa del progetto che guarda al Realismo Esistenziale e alla Nuova Figurazione, dopo quella dedicata a Renato Galbusera, Mino Ceretti e Piero Leddi.  Curata da Luca Pietro Nicoletti e Caroline Vezzani, sostenuta da Fondazione Comunitaria del Varesotto Onlus, la mostra prende in esame il periodo tra il 1951 e il 1975, partendo dalle comuni esperienze dei due nel movimento di Realismo Esistenziale prima di approdare alla personale ricerca. Che li consacrerà come artisti votati a una produzione di altissimo linguaggio e contenuto. Interessante è dunque questo raffronto tra la pittura di Guerreschi e la scultura di Bodini, artisti dai cammini paralleli, amici nella vita e in arte. “Confrontare i rispettivi risultati in questo campo aiuta - sottolineano i curatori - a mettere a fuoco con più chiarezza le ricerche di entrambi, facendo emergere i punti di contatto, i rimandi, le citazioni, di motivi iconografici che migrano dalla scultura alla pittura e viceversa... Come, ad esempio, rivelano i motivi nati nel modello tridimensionale che trovano esplicita citazione sulla tela”. Ecco perché il percorso delle sale dedicate, al piano terra del museo, è un continuo e stretto raffronto tra la mano e la testa dei due. “Entrambi gli artisti - sottolinea Vezzani - sono nel ritratto soprattutto interessati a far emergere il non visto: di volta in volta elementi psicologici, intimi, fisiologici, ma anche archetipici e sociali”. 

Alcune opere di Bodini sono realizzate basandosi sugli scatti di Pepi Merisio. Tese, proprio come le istantanee del noto fotografo, “alla ricerca dell’uomo, del simbolo, dell’idea e dell’ideologia del proprio tempo in forme perentorie e al tempo stesso ambigue”. Oltre al magnifico ritratto dedicato a Fabiani, si veda anche quello di Virgilio Cortese (Ritratto dell’industriale), dove la personalità del soggetto è espressa sì, dalla fisiognomica complessivamente possente, ma soprattutto dai dettagli, le mani operose grassocce, le dita che stringono la moneta. E poi ci sono i ritratti dedicati alla famiglia: quello del padre, del fratello Arturo, dell’amatissima madre.  Un tema caro anche a Guerreschi, che ricordava in una sua lettera a un amico: “Per me, ad esempio, la famiglia ha un particolare peso ed importanza. Cioè aldilà dell’ovvia atmosfera di calore, della sentimentale continuazione di noi stessi, del quotidiano estrinsecarsi di atti d’amore, la famiglia per me rappresenta una sorta di trampolino per meglio conoscere anche gli altri. È nei suoi vari aspetti, la vita a portata di mano, in scala ridotta (ma fedele), che continuamente si ripropone e sottopone”. 

Giuseppe Guerreschi (Milano, 1929) esordisce alla Galleria San Fedele nel 1953.  È considerato il capostipite del “Realismo Esistenziale milanese”. Nel 1955 è la sua prima Quadriennale romana, mentre inizia un’interessante collaborazione col gallerista statunitense C. Feingarten. Nel 1958 partecipa alla Biennale di Venezia, dove allestirà poi una sala personale di incisioni, con grande successo di critica e pubblico. E ancora tornerà a Venezia nel ‘64 e nel ’72. Si trasferisce infine vicino a Sanremo, dove inizia la sua produzione di grandi cicli grafici e pittorici, ricordiamo Jydaica, I Profeti, Vietnam Suite. La particolarità della maestria descrittiva di Guerreschi è ben raccontata in mostra da “Ritratto di Max (all’età di 11anni) e Markus (oggi)”, opera di grandi dimensioni iniziata nel 1967 a Milano col titolo “Ragazzo che canta”. L’idea iniziale era di farne forse un arazzo. Porterà anni dopo l’opera in Liguria, a Caponero, costa di Ponente. E racconta in proposito: “A volte ignote presenze ci prendono. Congegno delicato, imprevedibile siamo: se viene una nuvola, muoio.  Il quadro ora, nel suo insieme, si vivifica, prende respiro e spessore. Soluzioni formali si presentano e si risolvono con naturalezza. I cippi laterali si modificano e si animano di elementi e tinte folk. L’idea iniziale si amplia e si arricchisce. Nella parte superiore, cantando, irrompe Max, col casco in capo. (La sua testa è già nel futuro)”.

Emozionante poi il ritratto di Hilda Lobauer, criminale di guerra, nazista, condannata a morte nel 1945. I tratti duri, lo sguardo tagliente, spiegano una domanda dell’artista rivolta a se stesso, più che al mittente della sua lettera, scritta nel ‘67 a Danilo Montaldi. “Perché noi pittori sovente usiamo le energie per far vivere e ricordare personaggi così negativi e assurdi, che sarebbe bene scomparissero definitivamente?”. Curiosa la storia del ritratto della signora Clarke, toccata invece a Bodini. E da lui raccontata a Gente tramite la penna di Enzo Fabiani. Pittrice e scrittrice americana, aveva una cinquantina d’anni quando conobbe l’artista cui aveva chiesto un ritratto. Lo scultore gliene fece due: uno più dolce e tranquillo e uno critico, “cioè più spietato”.  
“Mi pagò l’opera - ricordò Bodini - dicendomi che mi avrebbe mandato il suo indirizzo. Ebbene, sono passati quattro anni e l’indirizzo non l’ho avuto. Ma il fatto più curioso è questo: ella ogni tanto appare, si siede davanti ai due ritratti, li fissa anche per un’ora, poi se ne va. È come un gentile fantasma che in certo senso mi tiene prigioniero, ma ormai ci sono abituato”.  

Per chi non conoscesse il Museo Bodini vale la pena di allargare la visita all’intero spazio, del quale abbiamo più volte raccontato dalla nostra rivista, che permette di avvicinarsi all’artista e alla sua biografia. Oltre che vedere opere di altri artisti a lui vicini. Bodini, insegnante a Brera dove si era diplomato nel ’54, e poi direttore per anni e presidente dell’Accademia di Carrara, fu esponente di spicco di Realismo esistenziale. Docente di scultura al politecnico di Darmstadt (’87-’98), è famoso anche per il suo celebrato gruppo scultoreo. I Sette di Gottinga, ad Hannover. Molto caro ai varesini è il monumento da lui dedicato a Paolo VI, al Sacro Monte di Varese.  

Floriano Bodini, Giuseppe Guerreschi. Il ritratto

Museo Civico Floriano Bodini 
Via Marsala 11, Gemonio (Varese)
Dal 17 ottobre 2021 al 13 febbraio 2022
Sabato e Domenica 10.30-12.30/15.00-18.00
Da lunedì a venerdì su appuntamento (info@museobodini.it)
Per visite guidate: 3492267457



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