Da-Nonna-Papera-a-Bake-Off-Italia

La storia televisiva di Sara Gandini, la 33enne varesina, protagonista della settima stagione del talent show di successo di DPlay dedicato al mondo dei dolci e condotto da Benedetta Parodi

Avrebbe voluto essere Nonna Papera, è diventata concorrente di Bake Off Italia 7: Sara Gandini, 33 anni, varesina, ha visto “diventare grande” la sua passione insieme a tutti gli affezionati spettatori del talent show di DPlay dedicato al mondo del bakery, presentato da Benedetta Parodi. Sara, però, ha già un lavoro particolarmente interessante: da un anno e mezzo e responsabile del design studio di Sisal Pay. È una “User Experience Designer”, coloro cioè che rendono siti e app facilmente utilizzabili dall’utente: “Cerco di rendere facili le esperienze digitali, e rendere loro piu semplice catturare l’attenzione”.

In Sisal Pay è responsabile di un team che conta 12 persone e la sua formazione è tutta comunicazione e tecnologia: prima all’Università dell’Insubria, poi in Bicocca. Ma quindi le torte “che ci azzeccano”?

È un sogno che ho sempre avuto: a un certo punto dell’università avevo pensato di far sul serio, ma ragionandoci un po’ più razionalmente non mi era sembrato giusto lasciare tutto quello per cui avevo studiato. A convincermi a iscrivermi a Bake Off Italia sono stati gli amici, per cui realizzavo torte continuamente: mi hanno detto “Va bene tutto, ma adesso devi almeno iscriverti alla trasmissione, devi prenderti del tempo per te”.

E l’hai fatto?

No. Ho detto: “Datemi il link che mi iscrivo”, ma all’inizio non ci pensavo proprio. Alla fine, mi ci hanno costretta.

“Sono stata contentissima di essere arrivata sesta: in fondo eravamo in 8.000 alle selezioni, era già una vittoria arrivare alla gara. Poi, naturalmente, più andavo avanti più l’aspettativa saliva”

Com’è andata?

Ai casting benissimo. Anche perche raccontai di aver sempre voluto essere Nonna Papera. Ed era vero: quand’ero piccola leggevo Topolino, ho visto Nonna Papera che faceva le uova di Pasqua e mi sono detta che volevo assolutamente prepararle come lei. La prima volta è stata un disastro: mi si sono fusi due stampi, solo perche non avevo usato il termometro. Alla fine, mi sono convinta a comprarne uno e il terzo tentativo è venuto bene. Da lì in poi ne ho fatte una valanga.

Raccontaci della tua esperienza televisiva.

È stata tosta. Credevo di essere già abituata a vivere una vita frenetica e sempre sotto esame per via del mio lavoro, ma mi sono misurata con qualcosa di un po’ più complesso. In un talent te la giochi fino alla fine sempre, a tal punto da dover rifare tutto all’ultimo e aggrapparti a tutta la creatività che hai, se c’è qualcosa che va storto. In compenso, il problema delle telecamere non c’è: non ti accorgi di loro, sei troppo concentrato. Ti rendi conto di tutto solo quando ti riguardi. Era un aspetto di cui avevo paura, ma alla fine mi sono resa conto che non me accorgevo nemmeno.

Com’è, invece, stare davanti a “mostri sacri” della pasticceria?

Non è semplice. Non tanto per il cucinare, perchè mentre tu sei al lavoro loro non ci sono. Il problema e farsi giudicare: si tratta di persone con un gusto critico enorme, con un palato che non ha niente a che fare con quello di chi ti dice “buone le tue torte”. Per di più le preparazioni le devi imparare a memoria, dosi comprese: non hai un taccuino per ripassare, come quando le prepari a casa tua.

In un settore come quello della pasticceria dove non si può andare a occhio, è ancora peggio...

Si, e non c’è storia: devi proprio studiare le basi a memoria, sapere con esattezza quanti grammi servono. Io passavo le serate a ripassare, con mille libri di chef famosi nascosti sotto il letto, nel caso mi venissero dubbi di notte. Poi creavo schemi logici delle basi, per ricordarle meglio: dalla pasta frolla alla paté à choux. Ma non basta mai: una volta ho realizzato una mousse ai tre cioccolati che a casa avevo fatto spesso, con dosi triplicate rispetto a quello che di solito tenevo a mente. Il risultato è stato che ho dimenticato di moltiplicare per tre l’ultima preparazione e la mousse si è squagliata.

Alla fine sei arrivata sesta. Come ti sei sentita quando sei uscita?

Sono stata contentissima di essere arrivata fino a lì: in fondo eravamo in 8.000 alle selezioni, era già una vittoria arrivare alla gara. Poi, naturalmente, più andavo avanti più l’aspettativa saliva, ma il dispiacere era più per quello che non saresti riuscito a imparare e per il fatto che lasciavi il gruppo più che per la competizione. Quella era la scuola di pasticceria che non avevo mai fatto ed era triste non poter continuare fino in fondo. Poi mi sono resa conto che non ho giocato di strategia. Con il senno di poi mi dico: “Dovevi dedicarti un po’ più a te stessa e meno agli altri”, ma io sono fatta cosi, anche fuori da Bake Off.

“In un talent te la giochi fino alla fine sempre, a tal punto da dover rifare tutto all’ultimo e aggrapparti alla creatività che hai, se c’è qualcosa che va storto”

Cos’è rimasto dopo, della trasmissione?

Innanzitutto, un bel gruppo WhatsApp che “frigge” tutti i giorni! E poi ci sono state diverse occasioni: ci siamo appena visti al Sigep, Salone Internazionale Gelateria, Pasticceria, Panificazione Artigianali e Caffè di Rimini, da Sonia Peronaci, fondatrice di Giallo Zafferano. E se non ci organizziamo, comunque ci sentiamo, siamo un gruppo molto coeso.

È diventato anche un secondo lavoro?

Diciamo che ultimamente tutti quelli che conosco mi chiedono di fare dolci: sono sempre in casa per prepararne e portarli a domicilio. E forse si può definirlo cosi, se ci aggiungiamo il fatto che una volta al mese vado a fare lezioni in una casa di riposo di Induno Olona e che ora alimento con regolarità anche il mio profilo Instagram (che ha quasi 12.500 follower, ndr), un po’ perchè mi piace e un po’ perche rende possibile un “piano B” per la mia vita. Non ora, naturalmente, perchè il “piano A” funziona benissimo: però vale la pena non “mollare” questa passione, anche se è impegnativo.



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