Al Museo del Paesaggio di Verbania la parallela ricerca dei due artisti, tra grafica, pittura e scultura. Una rassegna da novanta opere che è anche un’occasione per andare alla riscoperta di una struttura rinnovata, da sempre dedicata alle sperimentazioni della scuola pittorica lombarda cresciuta sulle sponde del Lago Maggiore 

Il Museo del Paesaggio di Verbania ospita fino a settembre una mostra dedicata a due grandi, già presenti tra gli artisti della collezione: Carlo Carrà e Arturo Martini. Ma questa volta si aggiungono opere provenienti da una collezione privata milanese. Curatori della rassegna “Carrà e Martini, mito, visione e invenzione, l’opera grafica”, sono Elena Pontiggia e Federica Rabai, direttore e conservatore artistico del Museo. L’occasione della riapertura, dopo lo stop imposto dalla pandemia, consente tra l’altro di visitare Palazzo Viani Dugnani in una veste rinnovata. La bella e antica sede museale nel cuore di Pallanza accolse, nel 1914, la creatura fondata nel 1909 da Antonio Massara, il Museo Storico Artistico: scopo del fondatore era di “favorire lo studio delle bellezze naturali e artistiche della regione e promuoverne la tutela”. Da allora ospita opere e gessi del grande scultore russo, nato a Intra, Paolo Troubetzkoy, Giulio Branca e Arturo Martini, ma anche pitture di esponenti della scuola lombarda e piemontese tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, artisti legati al territorio come Daniele Ranzoni, De Grubicy, Arnaldo Ferraguti, e molti altri... di chiara fama. Recenti lavori di ristrutturazione hanno portato alla disponibilità di altre sale espositive, oltre che a spazi destinati a nuovi servizi per il pubblico. L’inserimento di un ascensore consentirà ora di recarsi da una sala all’altra, lungo un percorso circolare molto più agevole e coerente.  

La rassegna comprende novanta opere, in prevalenza di grafica. Ma vi si affianca anche una serie di splendide sculture di Martini, legate al tema del mito e della visione, fondamentali cardini della sua ricerca e di quella di Carrà (1881-1966). Interessante è avvicinare quest’ultimo attraverso le cinquanta litografie a colori e acqueforti che ricalcano il parallelo percorso da lui già compiuto in pittura. “Casa a Belgirate”, del 1922, conferma gli estatici paesaggi che di Carrà conosciamo, sostenuti però da un tratto essenziale, pulito quanto fondamentale. Mentre le visionarie immagini, realizzate per un’opera di Rimbaud nel 1944, raccontano il periodo storico vissuto, calato tra dramma e speranza, tra momenti cupi e sereni, rappresentati da figure demoniache e angeliche, tra mitologia e realismo.  

Spiega la curatrice Elena Pontiggia: “Guardiamo le case a Belgirate. Asserragliate in primo piano come un blocco di cristalli di Rocca, non sono una veduta en plein air, impressionista, ma riprendono la lezione di Cézanne e soprattutto di Giotto. La volumetria, ridotta a un puro profilo, elimina tutti i particolari. Anche le rare finestre e i pochi nomi sono riportati a una geometria elementare”.  Così avviene pure in “Cengio”, opera del 1922, ispirata alla località ligure. Anche qui il paesaggio, nota sempre Pontiggia, non nasce da un’impressione, ma da una costruzione geometrica. L’artista richiama il suo passato, segue le orme pittoriche già lasciate, in una verifica che si tramuta in un album dei ricordi, dove non manca il ripensamento. Ecco perché ritornano nei lavori incisori anche i capolavori pittorici della Simultaneità futurista, delle Figlie di Loth, dell’Ovale delle apparizioni e del Poeta folle.

Arturo Martini (1889-1947), fra i maggiori artisti del suo tempo per il vigore plastico cui seppe attingere - dopo le prove simboliste e futuriste -, è presente al Museo grazie alla donazione di Egle Rosmini, sua compagna negli anni Trenta: nella sala a lui dedicata, accanto alle splendide opere scultoree, sono da sempre terracotte, medaglie, gessi, dipinti, e un piccolo nucleo di disegni e incisioni. Proprio questi ultimi sono al centro dell’attuale mostra nell’ interessante parallelo tra i due artisti che si sono avvicinati e confrontati. 
Così da poter osservare, accanto al noto lavoro a matita su carta del 1921, “Il Circo”, importante opera del momento di “Valori plastici” - quando l’artista è molto vicino all’arte di Carrà -, ben quaranta lavori datati dal 1921 al 1945.  La più antica delle incisioni in mostra, “Il Carnevale”, è un’acquaforte del 23-24, pubblicata da Ardengo Soffici sulla rivista romana Galleria. E se il Circo di Martini lo rivela più che mai vicino al sentire di Carrà, un gruppo di tali incisioni eseguito a Blevio - era l’estate del 1935 -, riprende, invece, soggetti di opere scultoree note come “L’attesa” e “Il ratto delle Sabine”. “L’Uragano”, del 1935, rivela a sua volta un sapore di fiaba, nella minuscola casa che resiste al vento e alla saetta (un elemento a zig-zag ispirato a Savinio). 

Gli undici disegni preparatori del ‘42, “bozzetti” per le illustrazioni di un racconto di Bontempelli “Viaggio d’ Europa”, rivelano, nei tratti pur nitidi, la necessità di ulteriori prove di lavoro.  Nel ‘44-‘45 Martini realizza infine un gruppo di incisioni per la traduzione italiana dell’Odissea, a cura di Leone Traverso, allora però non pubblicate. Lo furono poi nel 1960. E appaiono in realtà tra le migliori prove della sua produzione grafica, per il raffinato intreccio tra fantasia e essenzialità di segno e materia. Dieci sculture e tre tele, di alto valore artistico - si vedano “La Famiglia degli acrobati” e “Testa di ragazza”, o il dipinto “La siesta” - chiudono il magico percorso dedicato a Martini.  

Il viaggio all’interno del rinnovato museo naturalmente non deve finire qui. Ma essere motivo per scoprire l’interesse degli artisti del passato rivolto ai sublimi panorami del Lago Maggiore e alle sperimentazioni della scuola pittorica lombarda intorno alle sue sponde. Si vedano le fedeli vedute di Luigi Litta (1813-1891), esatto interprete del paesaggio lacustre verbanese attento al dettaglio, le intense tele di Eugenio Gignous, di Guido Boggiani e Achille Tominetti, che colpiscono e catturano l’attenzione del visitatore. Come le splendenti ricerche pittoriche di Carlo Fornara. E anche il realismo affascinante e impegnato di Ferraguti, con il suo celebre omaggio alle lavandaie intente a sciorinare i panni nella caletta di Pallanza, davanti al bel palazzo che è sede comunale. Di Daniele Ranzoni, illustre figlio di Intra, esponente della scapigliatura noto anche come acquerellista, amico di artisti e intellettuali, sono famosi ritratti e paesaggi. Ma che dire di colui che è ritenuto qui il padrone di casa, il grande Troubetzkoy (1866-1938), tanto da esserci la esatta, entusiasmante riproduzione di un suo studio?

Fu ritrattista dei grandi del suo tempo, nato e vissuto sul Lago Maggiore, ma impegnato nell’esaudire le richieste di George Bernard Shaw, di Tolstoj, di Toscanini che, a sua volta, predilesse il lago e scelse come residenza estiva la quieta dimora sull’Isolino San Giovanni.  Il gesso della grande opera equestre, dedicata a Giuseppe Garibaldi, ma mai realizzata in fusione, domina nelle sale museali. Tra i capolavori, sono i dolcissimi ritratti della bellissima moglie Elin e del piccolo Pierre, destinati a lasciarlo troppo presto solo, nella casa bianca affacciata sul Golfo Borromeo. 

CARRÀ e MARTINI
Mito, visione e invenzione. L’opera grafica 
Museo del Paesaggio Palazzo Viani Dugnani 
Via Ruga 44 - Verbania Pallanza (Tel. 0323 557116)
13 giugno - 3 ottobre 2021
Orari: da martedì a venerdì dalle 10.00 alle 18.00 
sabato e domenica dalle 10 .00 alle 19.00

 



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