Scoperta la strada verso il super antibiotico
Si chiama kineomicina e potrebbe essere un valido strumento per affrontare quel fenomeno che si verifica quando i medicinali contro i batteri smettono di essere efficaci
Un’équipe internazionale, coordinata dall’Università degli Studi dell’Insubria di Varese, ha combinato bioinformatica e biotecnologie per isolare la kineomicina, una molecola antimicrobica mai identificata prima, attiva contro batteri patogeni multiresistenti, che potrebbe servire in caso di antibiotico-resistenza. A spiegare questa scoperta è Flavia Marinelli, Professoressa del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita dell’ateneo varesino, che ha guidato il gruppo di lavoro.
Professoressa, innanzitutto, cos’è l’antibiotico-resistenza?
L’antibiotico-resistenza si verifica quando gli antibiotici, cioè i farmaci utilizzati per contrastare i batteri, smettono di essere efficaci. È un fenomeno riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una pandemia silenziosa che oggi minaccia la salute globale, rischiando di compromettere decenni di progressi in campo medico. Dal trattamento di una semplice infezione alla possibilità di fare interventi chirurgici complessi. Basti pensare anche alle operazioni dal dentista. Spesso sono seguite da una cura antibiotica che permette di mantenere i decorsi post-operatori senza infezioni. Ad oggi, invece, sono oltre 35mila le persone che muoiono ogni anno, in Europa, per antibiotico-resistenza. Ciò significa che stiamo passando da un periodo in cui questi farmaci ci permettevano di curare le infezioni da batteri e di sviluppare la medicina moderna, ad un momento in cui i medici, a volte, non sanno che prodotto farmaceutico utilizzare per curare i pazienti. Ecco perché è fondamentale che antibiotici efficaci siano a disposizione di medici e pazienti.
Come si può contrastare il problema?
È urgente scoprire nuovi antibiotici, ovvero in grado di agire sulle condizioni di farmaco-resistenza, utilizzando tutti gli approcci possibili che la comunità scientifica ha a disposizione. Quello che abbiamo scoperto all’Insubria, tramite il lavoro di un’équipe internazionale, è una molecola glicopeptidica che si è dimostrata promettente per la sua capacità di inibire la crescita di batteri patogeni attualmente resistenti alle terapie antibiotiche comunemente utilizzate. Ma siamo solo all’inizio.
Cosa significa?
Che non abbiamo risolto il problema. Ci vorranno tempo e risorse. Statisticamente, dalla ricerca alla clinica, per lo sviluppo di un nuovo antibiotico, sono necessari almeno altri 10 anni di lavoro e parecchi milioni di euro. Intanto, però, abbiamo dimostrato che nuove molecole si possono ancora scoprire. Non a caso, scoperte come queste fanno notizia e hanno una certa risonanza a livello mediatico. Da qui capiamo quanto il problema dell’antibiotico-resistenza sia oggettivo e percepito dalla popolazione.
Quindi non è vero che non si scoprono più nuovi antibiotici.
Non è assolutamente vero. La verità è che la ricerca scientifica può fornire possibili soluzioni a questo grave problema dell’antibiotico-resistenza, ma va sostenuta sia nella fase di scoperta sia nella fase di sviluppo di un vero e proprio farmaco. Concretamente, sono necessari finanziamenti pubblici o privati, per continuare a fare ricerca e per trasformare il prodotto scoperto in un medicinale che possa entrare nel mercato. Bisogna crederci e supportarne il progresso. Non basta scoprire la molecola giusta.
Voi come l’avete scoperta?
Abbiamo usato un approccio in silico, cioè basato sull’analisi bioinformatica di una grande quantità di dati sulla diversità microbica, partendo dal fatto che, potenzialmente, un certo tipo di microrganismi può produrre un determinato gruppo di antibiotici. A noi, però, non interessava trovare una classe di prodotti già noti, bensì scoprirne di nuovi. Quindi abbiamo estratto dai database (immaginate dei mega contenitori di dati depositati da chiunque nel mondo faccia ricerca in questo settore, ndr) 600 genomi di un gruppo selezionato di microrganismi, li abbiamo analizzati con programmi informatici ad hoc, abbiamo scartato tutto ciò che la comunità scientifica conosce già e ci siamo concentrati su una sequenza di un microrganismo esotico (l’Actinokineospora auranticolor), che mostrava delle caratteristiche predittive di una molecola ignota di interesse. È così che abbiamo approfondito la ricerca fino a identificare questa nuova molecola.
Un lavoro complesso.
È stata sicuramente un’attività impegnativa: in futuro alcune fasi di questo processo potrebbero essere agevolate e potenziate dall’uso dell’Intelligenza Artificiale, insegnando ad un sistema di calcolo come interpretare i dati, disponibili alla ricerca, di una nuova struttura antibiotica. Questo faciliterebbe il lavoro inziale. Ma non solo. L’approccio che abbiamo utilizzato può essere adottato anche da altri gruppi di ricerca e sviluppato con l’aiuto degli strumenti tecnologici che ormai sono maturi. Il bioinformatico che ha condotto, in primis, questo screening è l’esperto di sistemi bioinformatici Oleksandr Yushchuk. Mentre in una seconda fase è subentrato il gruppo di biotecnologi microbici dell’Insubria, coordinati dalla ricercatrice Francesca Berini, che si è occupato di produrre la nuova molecola nei fermentatori dell’ateneo. Ciò ha reso possibile il passaggio dalla previsione teorica alla produzione concreta del potenziale prodotto farmaceutico. Senza dimenticare che hanno partecipato al progetto anche gruppi di ricerca delle Università tedesche di Berlino e Bielefeld. Il professor Roderich Süssmuth della Technische Universität Berlin, ha collaborato alla delucidazione della struttura chimica del nuovo antibiotico, mentre il professor Jörn Kalinowski dell’Università di Bielefeld, ha contribuito alla caratterizzazione genomica del microrganismo produttore.
Quali saranno i prossimi passi?
La strada verso un possibile sviluppo della kineomicina in un nuovo farmaco da poter lanciare sul mercato è appena iniziata. Come dicevo, ci vorranno tempo e risorse. La scoperta della molecola richiederà, in primis, altri numerosi studi, sia in vitro, sia in vivo. Tuttavia, abbiamo avuto la conferma che, grazie a nuovi approcci multidisciplinari, è possibile trovare nelle risorse naturali nuove soluzioni per affrontare le infezioni multiresistenti. Dobbiamo concentrarci su metodi innovativi. Gli strumenti per farlo li abbiamo.