Ottavio e la “Macchina–Mago”

Nel decennale dall’inaugurazione della Sala Arazzi al Museo MA*GA di Gallarate, la Fondazione Missoni ripropone la prima mostra personale del patriarca

“Eravamo dei ragazzi quando nel settembre del ‘75 tutta la famiglia, insieme a degli amici dei nostri genitori, si trovava a Venezia per una bella occasione: la mostra ‘Missoni e la Macchina–Mago’. Nella galleria d’arte Navigliovenezia si rende omaggio al lavoro artistico di Ottavio Missoni espresso mediante studi tessili su carta, campioni di maglia e rotoli di tessuti: ‘le pezze’ come le chiamava mio papà. Quelle pezze, che quasi quotidianamente vedevo scendere smacchinate dai telai, iniziavano a suscitare in me una grande curiosità, al pari dei campioni di prova lasciati sui tavoli della tessitura”. L’interessante mostra veneziana del 1975, “Missoni e la Macchina–Mago”, dedicata all’arte di Ottavio Missoni (1921-2013) da Renato Cardazzo, presentata da Guido Ballo, e ricordata in seguito dalle parole del figlio Luca, è stata riallestita al Museo MA*GA di Gallarate ed è visitabile fino al 31 dicembre nella Sala Arazzi, lo spazio multifunzionale intitolatogli dieci anni orsono. Arazzi, appunto: esposti lungo le pareti o appesi in alto, paragonabili a grandi quadri, carichi di sfumature coloristiche, realizzati, col ritaglio dei tessuti, nel corso di una lunga attività. Dove manualità e sensibilità artistica raggiungono il massimo.

Non è una sala qualunque. È un tempio aperto a tutti. Accoglie nella penombra e invita al raccoglimento, nel silenzio dato dal procedere ovattato, tra arazzi patchwork, posati ovunque, che catturano gli occhi e il cuore. Perché la prevalenza dei colori fa pensare a un mondo diverso e agli artisti che più ci sono sicuramente piaciuti nei nostri incontri museali: Klimt, Kandinsky, Mirò, sono anche loro qui. Tra quei fili, quei motivi geometrici in cui ci si annega, senza pensieri, abbandonati a trame celesti, azzurre e violette, scarlatte o dorate oppure trasparenti come le acque marine. Fondatore nel 1953, con la moglie Rosita Jelmini, di una tra le più importanti maison italiane, Ottavio ha saputo far fiorire l’attività della impresa di Sumirago grazie anche alla sua predisposizione per l’arte. Fantasia cromatica e sensibilità artistica si sono poi incrociate alle conoscenze tecniche via via acquisite e alla lungimiranza imprenditoriale di un’intera famiglia, compresi i figli Vittorio, Luca e Angela.

Chi conosce l’importante storia di Ottavio Missoni, brillante e armonioso sportivo nell’atletica, dove ebbe riconoscimenti a livello olimpionico, sa anche di questa sua tensione all’armonia dei colori. Espressa dagli accostamenti di matite e acquarelli, riscontrabili nei quaderni da lui usati, come rivela anche la mostra, allo scopo di studiare disegni e combinazioni cromatiche. Tenui trasparenze acquatiche si sposano nelle sue creazioni a decisi violetti o sfidano la luminosità dei gialli, che contrastano in allegria l’azzurro più azzurro. Ma anche il bianco e il nero oppure le diverse tonalità dei beige e dei marroni, incrociano tra loro eleganti danze di alti e bassi, di giri concentrici e virate geometriche. Oppure capita al maestro di sfogare gioia e voglia di vivere nei rossi accesi come papaveri o nei verdi fluorescenti. In quei tratti, in quei colori, Ottavio imprigionava e custodiva, come pepite d’oro, momenti indimenticabili di una vita diversa dalle altre. Dove buona e sfavorevole sorte, necessità e vento in poppa avevano accompagnato il suo viaggio di uomo a partire dagli anni migliori della vita, quando la giovinezza incanta e invita a sperare. A lui, come ad altri, era però toccato di lasciare la Dalmazia, il suo cielo e il suo mare. E venire in Italia. Ma frutti dolci erano in serbo. E lui aveva saputo coglierli. E moltiplicarli, in quel viaggio tra terra e terra di un unico, colorato mondo intessuto di trame sottili. Dove affioravano cieli e paesaggi e nuvole in corsa, terre brulle sotto scarnite radici di alberi e foglie sfibrate nel vento. In Italia aveva ritrovato il mare e la voglia di vivere. E di mettersi a creare con le proprie mani.

Per tornare alla mostra raccontataci dalle parole del figlio Luca, “La Macchina– Mago è il segnale di una fantasia che s’allarga alla creatività meccanica, ma non rinuncia alla magia della mano”. Non solo fantasia e colore, ma anche ingegnosità tecnica che però mai tradisce il gusto di ciò che deve apparire artigianale. Come spiega bene anche lo scritto di Guido Ballo che accompagna la mostra nel ‘75: “La macchina stessa è per Missoni, ancora, una prosecuzione della mano, Macchina–Mago, come nei tempi in cui la rivoluzione industriale non era avvenuta. La tavolozza, e anche i disegni in nero, richiamano i tessuti di Mackintosh, Klimt e la Scuola Viennese, ma anche certo Klee e Kandinsky del Cavaliere azzurro di Monaco. Da anni nell’ambiente milanese Missoni frequenta artisti, mostre, ha potuto studiare meglio i rapporti con le fonti che hanno stimolato in lui rapporti di fantasia (…)”. E la rassegna riproposta, da rivivere a distanza di anni, insegna, attraverso il racconto del noto critico, come arte e tecnica vadano perfettamente insieme, nel lavoro di Missoni. Ma ha anche un altro significato: è un esempio davvero importante per chi voglia far convivere arte e impresa. Gallarate è sempre stata, del resto, maestra in questo. Missoni non era gallaratese, la moglie Rosita era di Golasecca, ma Ottavio aveva saputo cogliere insieme questa caratteristica locale, che stava anche dentro di lui: l’amore per la bellezza dolce e molle di un territorio dove l’azzurro del cielo manzoniano e del verde degli alberi, riflessi nei suoi corsi d’acqua e nei laghi, è fonte di armonia quotidiana. Non è un caso avesse voluto, con lei, una casa e un luogo di lavoro che offrissero insieme la vista dei monti e del verde alla loro famiglia e ai collaboratori.

La risolutezza di caratteri forti, usi a lavorare di mano oltre che di testa e di cuore, con pazienza raffinata, era poi anche questa di entrambi. Come avviene in una terra di orafi e ricamatrici, di tessiture e macchine. Da qui è partito il volo di Ottavio, che ha viaggiato per il mondo. Come ancora notava Ballo in quella storica, fondamentale mostra. “Occorre dire però che i suoi tessuti non restano un fatto autonomo, si animano nel taglio, nella invenzione degli abiti, che hanno dato notorietà ai Missoni oltre i confini nazionali: la rispondenza del tessuto alla linea dell’abito, tessuto e linea concepiti da una stessa mente (sempre sorretta dalla attiva collaborazione di Rosita), dà a tutto accenti originali, ormai non facilmente confondibili in un periodo in cui le manifestazioni estetiche si sono allargate fino a straripare, questo valore della mano-mente e della macchina-mago non è un ritorno, un passo indietro: è semplicemente una presa di coscienza della possibilità che le premesse artigianali, in piena civiltà tecnologica, possono ancora offrire con naturalezza”.

Una consapevolezza mai smentita. Se ancora oggi quella bellezza, manualità e tecnologia viaggiano insieme nel mondo. La collaborazione di Missoni col museo gallaratese (allora GAM) inizia nel 1995 con la mostra “Ottavio e Rosita Missoni Story”, voluta dal fondatore Silvio Zanella. Prosegue nel 2015 con “Missoni, l’arte, il colore” al museo MA*GA e al Fashion and Textiles Museum di Londra (2016): un omaggio della città di Gallarate alla Casa di Moda, per raccontare le radici culturali ispiratrici dell’attività di Ottavio e Rosita e dei dialoghi avuti nel processo creativo con le avanguardie artistiche dei contemporanei.

Missoni e la “Macchina–Mago” 1975-2025

Museo MA*GA Via De Magri 1, Gallarate
Fino al 31 dicembre 2025

Articoli correlati