Nucleare e rinnovabili insieme, il futuro energetico passa da qui

Intervista a Riccardo Casale, Senior Energy Advisor, collaborate di Limes ed ex Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare e Sogin

“Il nucleare in Italia ha avuto una storia nobile, complessa e contraddittoria al tempo stesso. Esserne usciti soprattutto in quel modo ha lasciato strascichi e costi impressionanti”. Riccardo Casale è Senior Energy Advisor e collaboratore di Limes – Rivista Italiana di geopolitica. È fondatore di una startup negli Usa e membro dell’energy advisory board del Politecnico di Torino. Nel settore nucleare è stato Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare e di Sogin, Amministratore di Enea e Nucleco. Ha servito per oltre 15 anni l’Euratom della Commissione Europea con responsabilità del centro di Ispra. Nel più ampio settore energetico è stato Presidente e Amministratore Delegato di molte società, tra le quali Iren Energia, Amiu, Geam. Rilascia questa intervista a Varesefocus in vista dell’incontro con le imprese varesine dal titolo “Il nucleare nella nuova geopolitica energetica”, terzo appuntamento del ciclo “Breakfast Brief: geopolitica, tecnologia e mercati”, organizzato da Confindustria Varese e dal suo Gruppo Giovani Imprenditori per offrire alle aziende chiavi di lettura di uno scenario globale sempre più dominato da stravolgimenti politici, tecnologici, di mercato e di riorganizzazione delle filiere produttive.

Sul fronte geopolitico dell’energia quali sono gli scenari e gli elementi da tenere sotto stretta osservazione in questa fase così conflittuale e in cerca di nuovi equilibri continentali?
Il controllo delle fonti di energia ha fatto la fortuna di paesi e blocchi di paesi. Oggi la “fonte” ha cambiato aspetto, diciamo che si è passati, si sta passando, in larga parte dalla materia prima alle tecnologie. La giusta necessità di decarbonizzare l’economia per contrastare i cambiamenti climatici in atto ha tuttavia generato delle asimmetrie geopolitiche. La strategia di elettrificare i consumi finali può essere condivisibile, molto meno i tempi, ancor meno alcuni settori come i trasporti ad esempio. Inoltre, non convince la valutazione a monte dei sistemi di produzione. L’Europa coraggiosamente ha cercato di intraprendere una strada virtuosa, ma ha sottovalutato l’impatto di tempi così stretti su sistemi industriali ed economici, il mondo non l’ha seguita. A maggior ragione l’unica fonte energetica alla quale si può attingere è la “conoscenza” tradotta in tecnologie innovative, per questo si deve riformare il sistema basandolo su un equilibrato mix di fonti non programmabili con fonti programmabili, tradotto questo vuol dire che in Europa non possiamo che cercare di uscire progressivamente da fonti fossili per la produzione di energia elettrica, con un giusto mix di rinnovabili e programmabili che in questo caso non potrà che essere il nucleare, esistente e di nuova generazione, del quale possediamo ancora la conoscenza, consapevoli però che per vari decenni ancora anche un po’ di gas resterà. Proprio il gas ci ha mostrato lo stravolgimento della geopolitica energetica con costi esorbitanti per le nostre industrie.

C’è quindi una possibile complementarità tra sviluppo del nucleare e fonti rinnovabili in una politica energetica moderna?
È la chiave del successo. Il futuro passa da lì senza compromessi. Solo coniugando queste due fonti potremo cercare di mantenere una certa competitività di sistema, controllando costi per cittadini e imprese. Tra l’altro in Europa, Italia compresa, abbiamo ancora conoscenze di punta e “capitale umano” che ci consentono di essere competitivi, di formare le nuove generazioni, di tramandare generazionalmente i saperi, ma non dobbiamo perdere questa finestra temporale perché le risorse umane potrebbero prosciugarsi e quei giacimenti di conoscenze esaurirsi e questa volta sarebbe fatale.

Perché all’Italia serve il nucleare?
Il nucleare in Italia ha avuto una storia nobile, complessa e contraddittoria al tempo stesso. Esserne usciti soprattutto in quel modo ha lasciato strascichi e costi impressionanti. Al Paese serve, così come serve a tutti gli altri paesi europei che non hanno fonti intese come materie prime, anche oltre alla necessità di decarbonizzare. È chiaramente un investimento Paese di lungo periodo, il 2040 è domani. È, però, necessaria una visione condivisa, in assenza di questa è a rischio tutto il sistema industriale del Paese.

Quali sono le prospettive del ritorno al nucleare dell’Italia? Con che tempi ciò potrà avvenire? E soprattutto, con quali probabilità analizzando l’attuale scenario politico ed economico?
Le prospettive, stando agli atti di governo pur nella tipica lentezza italiana, sembrerebbero buone. È chiaro che l’eventuale piano di rientro dovrebbe essere più materia del Parlamento che non solo del Governo proprio per aumentarne la credibilità presso gli operatori economici considerato appunto che si tratta di piani pluridecennali che statisticamente vedono alternarsi in democrazia governi di ispirazioni diverse, che tuttavia dovrebbero trovare convergenza in materia di energia, perché avere energia abbondante a buon prezzo, sicura negli approvvigionamenti oltre che nella produzione è nell’interesse superiore del Paese e non in quello di una parte. Insomma, i nostri nipoti, tutti, alimenteranno i loro gadget elettrici con energia proveniente da rinnovabili e nucleare, su questo ci sono pochi dubbi, una a scelta delle due fonti non sarà sufficiente essenzialmente per ragioni tecniche oltre che economiche. Bisogna prepararsi per bene.

Cosa serve al nostro Paese per riattivare un piano nucleare? Sia a livello di decisioni politiche, sia a livello di sviluppo di una filiera industriale a supporto?
È relativamente semplice, nel senso che si sa cosa si deve fare ispirandosi alle note best practices internazionali, ma è molto complesso nella sua attuazione, più per ragioni sociopolitiche che tecniche. Senza dubbio bisogna partire da una forte e indipendente autorità di controllo, che poi non deve essere altro che il potenziamento deciso di quella esistente che negli anni difficili ha svolto un egregio lavoro; poi bisogna completare il programma di smantellamento degli impianti del ciclo precedente e quindi realizzare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, molta parte dei quali, mi lasci dire, provengono da attività convenzionali non legate al ciclo di produzione di energia elettrica. Queste ultime due missioni in capo all’operatore nazionale andrebbero liberate dalle “pressioni politiche” e lasciate al controllo del Parlamento. Tra l’altro il completamento del decommissioning restituirebbe anche siti che potrebbero, una volta rivalutati, essere riutilizzati proprio a fini produttivi senza nemmeno grosse tensioni sociali essendo essi inseriti in territori abituati a convivere con quelle attività e che nei decenni ne hanno verificato solo i benefici. Relativamente alla filiera industriale essa esiste con delle eccellenze assolute; tuttavia, un piano di rientro necessiterebbe di ben altro, ma sono altresì certo che gli imprenditori italiani con la loro capacità in termini di flessibilità, creatività e innovazione, soprattutto nel manifatturiero di punta, sapranno fornire le risposte necessarie.

Quali le eventuali opportunità per la filiera industriale italiana di un ritorno al nucleare?
Molte, già oggi un certo numero di aziende virtuose opera nel settore, non senza fatica e soprattutto all’estero. Certo manca un grande Epc (Engineering, Procurement and Construction) contractor nazionale che potrebbe fare da capocordata. È la chiave del successo che porterebbe anche posti di lavoro qualificati e ben retribuiti. In particolare, considerando le tempistiche, cominciando già a investire e lavorare sullo sviluppo dei futuri Amr (Advanced Modular Reactors) di quarta generazione.

Quanto l’assenza del nucleare in Italia sta danneggiando, a livello di costi e quindi di competitività, il nostro sistema industriale ed economico rispetto agli altri competitor europei e non solo?
È difficile da quantificate, il tema è controverso. Come dicevo prima l’uscita dal nucleare, soprattutto il quel modo, ha indotto costi alla collettività molto alti che stiamo ancora pagando, anche sul costo del MWh. Anche altri paesi hanno fatto scelte analoghe, ma tutti con modalità molto più ragionevoli, alcuni poi hanno ridiscusso l’uscita tornando indietro, insomma ci vorrebbe un dibattito pubblico più colto e meno ideologizzato da entrambi i fronti e molto pragmatismo tecnico.

Produzione di energia e sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. Perché il rapporto è così stretto e strategico?
Perché tutti i rapporti di tutte le agenzie internazionali indipendenti ci dicono che andiamo incontro ad aumenti dei consumi di energia molto considerevoli. La scelta di elettrificare i consumi comporta un aumento della domanda di energia elettrica pulita molto importante. I data center non si possono permettere l’interrompibilità e i loro consumi sono rilevanti, siccome la conoscenza si basa, anche, sui dati e sulla loro gestione che è diventata strategica, essere attrattivi per strutture di quel tipo significa avere le “miniere” del futuro, non avere tanta energia elettrica disponibile e sicura a costo ragionevole ci impedirà di avere accesso alla gestione di queste infrastrutture. Come noto, lo stoccaggio ha i suoi limiti, sia tecnici che economici, quindi, si torna da capo alla complementarità virtuosa di rinnovabili e nucleare.

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