L’umanità dell’arte

Direttore dei Musei Civici varesini per oltre 20 anni. Insegnante al Seminario di Venegono Superiore, al Liceo Classico Cairoli e al Liceo artistico di Varese. Scrittore di svariate opere divulgative

Direttore dei Musei Civici varesini per oltre 20 anni. Insegnante al Seminario di Venegono Superiore, al Liceo Classico Cairoli e al Liceo artistico di Varese. Scrittore di svariate opere divulgative dedicate proprio al territorio varesino. Di recente assegnatario del Premio Rosa Camuna per meriti culturali. Intervista a Silvano Colombo, artefice di numerosi e importanti eventi di richiamo, tra cui la prima mostra di Renato Guttuso nel Varesotto

Silvano Colombo, storico dell’arte, insegnante e scrittore noto nel territorio varesino e non solo, è stato entusiasta artefice, ogni volta che la sua professionalità l’ha richiesto, di numerosi eventi di primo piano. Si è raccontato in una gradevole autobiografia edita nel 2021 dall’editrice Menta e Rosmarino, dal titolo “Una persona alla mano”, che dà conto del tanto lavoro fatto. La riproduzione di un suo ritratto nel 1940, opera del pittore Federico Gariboldi, lo mostra bambino, il ciuffo all’aria, gli occhi sorridenti, il colletto candido inamidato. A Silvano Colombo è stato, inoltre, assegnato lo scorso maggio, dal Presidente della Regione Lombardia, il Premio Rosa Camuna per meriti culturali, soprattutto per gli studi sul Sacro Monte, Patrimonio dell’Umanità.

Una vita dedicata all’arte. Chi l’ha incamminata su quella strada?
Certamente mio nonno materno, Enrico Bianchi, il “campanatt”. Non ho dubbi. È stato Enrico, proprietario per tradizione familiare di un’importante ditta di campane, a spingermi a leggere i libri di storia dell’arte. E poi sono nato a Varese, nel 1938, il 22 novembre, festa di Santa Cecilia, da papà Alberto e mamma Fiordalice. La musica mi è amica. 

Come andò?
Nonno Enrico custodiva nella libreria del suo studio diversi volumi di storia dell’arte, mi piaceva molto leggerli e osservarne le illustrazioni. Forse anche per quelle ore di solitario rapimento sono diventato uno studente del locale Liceo Classico Cairoli prima, dell’Università di Pavia poi. Qui mi sono laureato in Lettere Moderne nel 1961 con una tesi in Storia dell’arte che ottenne il massimo dei voti. Risiedevo in quegli anni al collegio Cairoli, un cognome che ritorna nella mia vita più volte. Perché fui poi al Liceo varesino dedicato a Ernesto Cairoli, eroe del Risorgimento morto a Varese nel 1859, in veste di insegnante, subito dopo l’abilitazione. A chiamarmi negli anni ‘60 era stato il Preside Felice Bolgeri. 

Partiamo dalla scuola, le piaceva insegnare? 
Sì, mi piaceva davvero. È insegnando che t’accorgi di essere tu a imparare tante cose. Solo nel tempo trovi gli strumenti giusti per confrontarti al meglio coi ragazzi, traendone contenuti profondi di conoscenza, di umanità e di verità. Su richiesta dei presidi, sempre a corto di docenti, mi dividevo spesso tra cattedra e incarichi professionali in ambito pubblico. Ho insegnato per alcuni anni anche al Liceo artistico varesino, ne ero stato tra i fondatori e al Seminario di Venegono Superiore, dove ho avuto come allievo il futuro cardinal Mario Delpini.
  
Da Direttore dei Musei Civici varesini, dal ‘66 all’89, cercò subito di avvicinare i varesini a Villa Mirabello.   
Quando, avendo vinto il concorso, assunsi l’incarico dirigenziale succedendo a Mario Bertolone, ebbi l’impressione di avere aperto un grande garage in cui stava parcheggiata una Ferrari, ma fuori uso per mancanza di carburante.   

Quali erano i problemi?  
Mancava un rapporto importante con il mondo della scuola. Il motivo fondamentale, come capii subito, era l’assenza di riscaldamento. Non era possibile accogliere i ragazzi in inverno nelle sale gelide. Ne parlai col sindaco Ossola, che riuscì a fornire l’antica struttura della villa di un adeguato impianto. Le visite passarono dalle 6.000 all’anno a 25.000/30.000. Gli allievi visitatori furono poi il tramite tra Villa Mirabello e le famiglie: portavano i genitori al museo. Per assecondare questo interesse organizzai il sabato, in sede, ore di lezioni di storia dell’arte con diapositive, aperte a tutti. Negli anni piovvero anche donazioni importanti per il museo: come la “Tamar di Giuda” di Francesco Hayez e “Sera d’autunno” di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Mi assegnarono, inoltre, l’incarico di Direttore della biblioteca di Via Sacco. Decisi di aprire al pubblico una emeroteca. Arrivavano ogni giorno giornali nazionali e internazionali. Ci fu subito grande risposta di lettori. 

Grandi eventi di scultura e pittura di quegli anni varesini sono ancora oggi ricordati. 
È vero, la prima mostra fu nel ‘74 con lo scultore Vittorio Tavernari. Seguirono Angelo Frattini nel ‘75, Floriano Bodini nel ‘77 a Villa Mirabello. Nell’83 proponemmo la grande mostra dedicata a Francesco Cairo, curatori Mina Gregori, Giovanni Testori Marco Rosci e Giovanni Romano e il sottoscritto. Fu la prima volta che l’amministrazione comunale si impegnava in proprio. Ma già nell’62 avevo contribuito alle ricerche, scovando inediti documenti originali e all’allestimento della rassegna dedicata al Morazzone a Villa Mirabello, per conto dell’Ente Turistico.  

Avvenne sotto la sua direzione anche la prima mostra di Renato Guttuso.
Sì. Nell’84 esponemmo allora per la prima volta la famosa grande opera “Spes contra Spem”. Giunsero 25.000 visitatori. 

Che ricordo ha di lui? 
Un bellissimo ricordo. E grazie a quella mostra, l’artista si riconciliò con i varesini. Lo incontrai in un ristorante della città: lui era lì con amici, io con l’Assessore alla Cultura Salvatore Caminiti. Ci salutammo, io aggiunsi: “Assessore, dobbiamo fare una mostra dedicata al maestro”. Guttuso si rabbuiò: “Da anni mi è stata promessa, ma ancora non l’ho vista”. Lo pregai allora di venire a visitare la mostra di Cairo, che era in corso. Venne e rimase colpito. Nella rassegna guttusiana che realizzammo l’anno successivo, ripropose poi la sua testa del Battista che lo aveva emozionato quel giorno. Conservo un caro ricordo dell’evento: una foto di me, mio padre e Guttuso scattata dal fotografo Gino Oprandi. Il pittore mi omaggiò con un’opera riproducente un particolare del giardino di Velate, che inserii nella collezione museale. Purtroppo, non l’ho più vista esposta.
 
Ha scritto molte opere fondamentali, ma anche diverse divulgative (per i tipi di Lativa) dedicate a Varese, che ebbero molto successo: come “In Giro per Varese”, “Carissimi nonni”, “L’Ora stravagante”. Ma il Sacro Monte è probabilmente l’argomento prediletto.  
“In Giro per Varese” è un libro a me molto caro, lo dedicai alla mia giovane sposa Bianca, mancata poi troppo presto. Quanto al tema sacromontino, è il mio prediletto e anche uno dei più importanti, con quello riguardante Castiglione Olona. Mi sono divertito a raccontare più volte ai lettori le entusiasmanti vicende della Fabbrica del Rosario, nata nel XVII secolo dalla volontà di padre Giambattista Aguggiari e di suor Tecla Maria Cid, dalla tenacia del Bernascone, l’architetto detto il Mancino e dalla carità dei pellegrini della Via Sacra. Dove vennero erette le cappelle dedicate ai 15 misteri del Rosario. Ho avuto anche il piacere di aprire al pubblico, per la prima volta nel 1970, il Museo Lodovico Pogliaghi. Me lo chiese Enrico Cattaneo, allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana. Castiglione, con lo splendore di Masolino, mi ha sempre attratto e ne ho scritto più volte. Molti gli incontri in pubblico con l’arte, chiamando esperti e critici noti. E fui dal 1995 Assessore alla Cultura nello stesso Comune, per un paio d’anni. Mi affidarono poi qui incarichi organizzativi, in funzione di Direttore della Collegiata.

Chi ricorda con maggior piacere nella sua vita fatta di tanti incontri?
Giulio Andreotti, intervenuto all’inaugurazione della mostra di Guttuso nell’84, Papa Giovanni Paolo II, che conobbi in occasione della visita privata da lui concessa a una delegazione del Seminario di Venegono il 12 marzo 1986 e Rita Levi Montalcini. La incontrai al Forum Ambrosetti nel 1999. Li univano formidabili intuizioni e conoscenze, soprattutto la medesima, felice curiosità di avvicinarsi agli altri.  

“Una persona alla mano” così la definisce l’editore della sua autobiografia, uscita per i tipi di Menta e Rosmarino nel 2021.
Ho caro questo libro per l’attenzione dell’amico Alberto Palazzi e perché la grafica è di Elisa ‘Gians’, figlia della mia seconda consorte Franca. Mi consente soprattutto di ripercorrere, con Frida, la nipotina, il cammino di una vita dedicata all’arte. Proprio come nonno Enrico faceva con me, conducendomi per mano per le vie di Varese.  

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