L’Insubria celebra i 100 anni di Sangregorio
In mostra al Collegio Carlo Cattaneo, l’omaggio dell’ateneo varesino a uno scultore visionario, legato al territorio e al dialogo tra culture, nel centenario della nascita. Un viaggio tra opere, archivi, legno, pietra, bronzo e immagini per riscoprire la forza poetica della forma, del gesto e della materia. Un’iniziativa che si inserisce nel più ampio calendario di eventi dedicati all’artista, che copriranno l’intero anno
Ricorre un secolo dalla nascita di un importante artista, legato per rapporti familiari al territorio varesino. Noto anche a livello nazionale e internazionale, ha tenuto mostre e portato sue opere nelle principali città d’Italia e del mondo, Giancarlo Sangregorio, nato a Milano nel 1925, viene ricordato da un ricco calendario di rassegne ed eventi, a lui dedicati, che copriranno l’intero anno, promosso da “Fondazione Sangregorio Giancarlo” nell’ambito del progetto di itinerario culturale diffuso coordinato da Lorella Giudici e Francesca Marcellini, dal titolo “Sangregorio 100 anni (1925-20). La pietra, il legno, i luoghi. Un viaggio tra le opere e i luoghi dello scultore” e patrocinato da Regione Lombardia, Comune di Milano e Fondazione Cariplo. Tra i momenti principali di questo ampio progetto c’è anche la mostra, organizzata dall’Università degli Studi dell’Insubria di Varese, visitabile fino al 31 luglio nelle sale della sede di via Dunant per le cure di Massimiliano Ferrario e Laura Facchin, docenti del Centro di ricerche della Storia dell’Arte Contemporanea.
Fondamentale rassegna tra le altre, lo possiamo dire, perché si tratta anche di un’interessante continuità col passato, in quanto propone e ripropone, alcuni momenti e lavori rappresentativi dell’arte poliedrica dell’artista e del rapporto con il Varesotto.
Centrale, accanto ad alcune opere grafiche di Sangregorio, a materiali fotografici e d’archivio della Fondazione e a manufatti etnici provenienti dai viaggi dell’artista, è la presenza dell’opera in legno e bronzo “Senza titolo (Figura)”, già esposta per la prima volta nella collettiva di 27 artisti del territorio varesino allestita in rettorato nel 2018/19, in occasione del ventennale dell’ateneo. Fu poi donata alla Collezione d’arte della stessa Università dalla Fondazione Sangregorio Giancarlo.
Si tratta, quindi, di un ritorno per il suo importante nome e per l’artista che seppe essere, sempre attento e partecipe anche alla cultura locale. A partire dagli anni felici del dopoguerra a Villa Mirabello: quando a proporre famose rassegne, come la grande mostra di scultura Premio internazionale Città di Varese, nel 1949, erano maestri quali Dante Isella, Piero Chiara, Guido Morselli, Luigi Ambrosoli, Renzo Modesti. E persino Carlo Giulio Argan. Ma si potrebbe ricordare, in anni anche più vicini, la presenza di Sangregorio in occasione dell’eccellente rassegna di scultura voluta dalla Provincia di Varese e da Flaminio Gualdoni, su suggerimento di Vittore Frattini, nel 2009. Fu, a memoria, un’indimenticabile Triennale, nell’ampio parco di Villa Recalcati, sede dell’amministrazione provinciale. Sangregorio fu protagonista della seconda esposizione, dopo Arnaldo Pomodoro: era il 2010. Ne scrivemmo nel numero 6 della nostra rivista, anno XI, ricordando come a colpire l’interesse del curatore Gualdoni fossero “Le curve ‘sensuose’, gli spigoli vivi, lo scattare verticale” delle opere, imposti dalla mano di Sangregorio.
Complesso e molto ricco appariva già allora, e tanto più appare oggi, il racconto di una vita d’arte. Divisa tra Somma Lombardo, la fondamentale patria materna e la “sua” Sesto Calende, dove aveva la casa atelier, in cui ha principalmente vissuto e lavorato fino al 2013: oggi è l’attuale Fondazione Sangregorio Giancarlo, da lui stesso voluta. Ma anche il paese di Druogno, in Val Vigezzo, la Valle dei Pittori, ha conosciuto e conserva tuttora testimonianza della sua arte, dove pure aveva casa e studio. Da lì si spingeva verso la Val d’Ossola, dove scolpiva la pietra, quando non scendeva in Toscana, verso la Versilia, per lavorare il marmo. I frequentatori della valle vigezzina, per lo più varesotti e milanesi, usi a trascorrervi negli anni ‘60 le estati con la famiglia, vedevano ogni anno apparire alla sommità della lunga strada a curve, che finalmente inoltrava al paese, le sue particolari, robuste sculture in pietra o legno. Collocate sul verde prato, all’esterno della baita luminosa che gli fungeva da studio, colpivano l’attenzione dei turisti in transito.
Nel tempo, a partire dal ‘52, l’ampia attività di Sangregorio è dilagata e tracimata come una lava fecondatrice di nuova vita, riempiendo il mondo della sua fantasia di narratore antico, uso a manovrare la materia naturale, legno o pietra, con nuove riflessioni d’artista. Calibrate tra materiali e tecniche “primitive”, ma anche evanescenti incursioni in una narrativa fluida e metafisica, di materiali più plastici e leggeri, dove corpi e anime di soggetti e oggetti rappresentati sembrano assurgere a dimensioni che non accettano confini. La sua voglia di andare si è poi espressa in sempre più lontane escursioni in luoghi come l’Africa: nel Mali viene a contatto con la cultura locale delle maschere. E come l’Oceania, che altrettanto lo attrae e lo porta a inseguire il corso di un fiume, il Sepik, per avvicinarsi all’arte rituale delle popolazioni locali e agli scultori della nuova Guinea.
Anche di questi viaggi racconta la mostra dell’Insubria, contrapponendo, ad esempio, a quel suo bronzo di “Figura” del 2012 una scenografica “Maschera agbogho” (XX secolo), cerimoniale della Nigeria (cultura Igbo), realizzata in legno africano, caolino e pigmenti naturali: per fornirci un’altra chiave interpretativa della poetica di Sangregorio, che ama riportarci alle comuni esperienze dell’uomo, ancorato alle radici culturali e spirituali di un sentire universale. Per meglio conoscere il suo pensiero è bello affidarsi proprio alle parole di un suo scritto del maggio del ‘79, dal titolo “Dove sta di casa la scultura?”
Così lui si rispondeva, nella sua splendida prosa: “Evitando di chiedersi cosa sia, forse riusciremo a saperlo. Quasi sempre lontana dai monumenti, ci capiterà di incontrarla proprio in luoghi inattesi. Sarà sempre rivelatrice di una verità legata strettamente alla vita e alla realtà di chi l’ha creata. Realista solo talvolta nella forma, immancabilmente lo diventa nella sua carica di significato. Riuscirà a rimettere luce interiore, occuperà lo spazio con sicurezza non ostentata, provocherà una repentina o prolungata vertigine temporale (…). Esonerata da pochi decenni dagli umilianti servizi temporali di rappresentare e imitare, la scultura dei nostri giorni è già afflitta dalla noia della libertà”.
E poi ecco come disvelava il perché di quel suo andare in paesi lontani alla ricerca di “lei”: “Si può ancora trovarla quasi per caso nelle recinzioni degli orti nella campagna rumena, gli stessi che hanno fornito sicuri motivi al contadino Brancusi emigrato a Parigi. Anche se mosse da motori fuoribordo, conturbano ancora le canoe scolpite che viaggiano lungo il Sepik. Non la troveremo tra i pezzi supercalibrati della meccanica più evoluta, e nemmeno tra i piacevoli oggetti del design industriale. Però non sta neppure tra le impressionanti scogliere scolpite dal vento e dal mare. Alle nuove sensazioni forniteci dalla tecniche o al godimento estetico esteso a nuovi mondi naturali, la scultura risponde celandosi in forme e luoghi appartati. Diviene misura e rivelazione della condizione umana fragile ed inesplicabile”.
Per scoprire nuove forme di ispirazione sulla cultura dei popoli indoeuropei, lo scultore si affiderà negli anni anche alle rotte della Via della seta, attraverso Kirghizistan e Uzbekistan, passando per Samarkanda e Bukhara. Un altro viaggio memorabile, alla ricerca di “lei”.
Università degli Studi dell’Insubria
Collegio Carlo Cattaneo, via Dunant 7
Fino al 31 luglio
Per prenotare la visita guidata alla mostra, da lunedì a sabato: 0332219041, 3204224309