L’industria di Varese investe negli Usa, ma i dazi di Trump non c’entrano
ADR, Farmo e Ficep sono tre esempi di realtà manifatturiere del territorio che hanno scelto di consolidare la loro presenza negli Stati Uniti con investimenti produttivi da milioni di dollari, ben prima dell’escalation protezionistica trumpiana. Percorsi strategici volti alla crescita, pianificati da tempo, che seguono la scia di una visione imprenditoriale di lungo periodo: stare più vicini alle aziende-clienti, rafforzare la competitività, presidiare un mercato chiave e ampliare i propri rapporti con gli stakeholder locali. Compresi centri di ricerca, istituti tecnici e Università
Non per reazione ai dazi di Donald Trump, ma per scelta. Con la convinzione che la crescita dell’azienda passi anche dagli States. È questo il filo rosso che accomuna i recenti investimenti dal valore di milioni di dollari negli Usa di 3 realtà manifatturiere del territorio: ADR Spa con headquarter a Uboldo, Farmo Spa di Casorezzo e Ficep Spa di Gazzada Schianno. Tre punti di riferimento industriali nei loro rispettivi settori di appartenenza, che hanno scelto di consolidare la loro presenza e crescere sul mercato statunitense, ben prima dell’escalation protezionistica trumpiana. Un percorso pianificato e intrapreso da tempo, quando non c’era nemmeno l’ombra di una guerra commerciale. L’obiettivo, dunque, non è quello di aggirare i dazi, ma di avvicinarsi ai clienti americani, rafforzare la competitività e presidiare un mercato chiave.
Lo racconta Chiara Radrizzani, neoeletta Vicepresidente di Confindustria Varese e Vicepresidente di ADR Group, l’impresa attiva a livello internazionale nella progettazione e produzione di assali per le macchine agricole, che ha recentemente acquistato un terreno nella Contea di Dallas nello Stato dell’Iowa, per la costruzione di una nuova sede: la ADR Axles Usa Inc. “Come leader di riferimento in Europa, avendo già approcciato tutta l’Asia e l’Australia ed essendo già presenti in Sud America, ci mancavano da presidiare, con un vero stabilimento produttivo, solo gli States che, tra l’altro, rappresentano il più forte mercato agricolo del mondo – spiega Chiara Radrizzani –. I dazi, però, non c’entrano. L’investimento si concretizza solo ora perché prima abbiamo preferito concentrarci sull’Europa e sull’Asia. Inoltre, il mercato americano misura in pollici, il che significa dover rivedere tutti i prodotti e ricalcolarne le dimensioni. Ecco perché abbiamo temporeggiato. Fino a che, lo scorso anno, abbiamo partecipato a SelectUsa (la fiera americana volta a presentare alle imprese le opportunità di investimento negli Stati Uniti e favorire l’incontro tra i Paesi, ndr). Avevamo individuato come area di nostro interesse quella ‘green belt’ (letteralmente ‘cintura verde’, ndr) che costituiscono territori come il Missouri, l’Illinois e l’Indiana. Una zona particolarmente agricola dove si trova una maggiore concentrazione di produttori di macchine destinate all’agricoltura. È così che ci siamo interessati anche al vicino Stato dell’Iowa. Fino alla scelta di comprare un terreno a Perry (Des Moines)”.
Circa 45mila metri quadrati su cui ADR costruirà uno stabilimento che, a partire dalla fine del 2026, sarà il centro di distribuzione dedicato al mercato statunitense, mentre dal 2027 diventerà anche sede produttiva, grazie ad una forza lavoro di 50 nuovi collaboratori. “Questo è il fabbisogno iniziale atteso – aggiunge Radrizzani –, ma speriamo di poter crescere sia in termini di estensione dello stabilimento, sia di organico, sia di fatturato. Per il momento, in questa prima fase, tra terreno, capannone e macchine, siamo arrivati ad un investimento che ammonta a circa 20 milioni di dollari”. L’obiettivo è quello di offrire un supporto ancora più tempestivo ai propri clienti e di rafforzare le partnership con i principali player del settore: “La vicinanza geografica non è solo un vantaggio logistico – precisa –. L’apertura di ADR Axles Usa Inc rappresenta un passo strategico per servire in maniera diretta le aziende-clienti negli Stati Uniti, sviluppare con loro, fianco a fianco, il prodotto da progettare e consegnare le commesse più velocemente”. Senza dimenticare il contributo che questo investimento darà alla cittadina di Perry in cui, come spiega Chiara Radrizzani, “ha recentemente chiuso una grossa azienda che dava lavoro a 2.000 persone. È sicuramente anche per questo che abbiamo trovato un clima favorevole. Anche se in America sono sempre molto propensi e disponibili ad aiutare le aziende straniere ad investire lì. Basti pensare che ogni città di ogni Stato ha il proprio investment office per seguire gli imprenditori dall’inizio alla fine del processo e nel nostro caso hanno fatto anche un consiglio comunale per approvare l’investimento. Inoltre, per i primi anni abbiamo accesso a diverse agevolazioni che ci permetteranno di investire in maniera più leggera”.
In Iowa, quindi, presto ci sarà la varesina ADR, mentre poco più a Est (sulla cartina geografica), nel vicino Stato dell’Illinois, c’è chi fa la parte del protagonista da tempo e, in barba al dibattito su una globalizzazione agli sgoccioli, ha appena ampliato ancora di più il proprio mercato con una nuova linea produttiva, oltre che con un nuovo stabilimento dedicato. È il caso della Farmo Spa, l’impresa di Casorezzo attiva nel settore alimentare con la produzione di prodotti gluten free, che, come racconta il suo Presidente, Remo Giai, anche Presidente del Gruppo merceologico “Alimentari e Bevande” di Confindustria Varese, “è presente nel mercato statunitense dal 2012 con la controllata Farmo Usa Inc. È da qui che l’azienda effettua la distribuzione dei propri prodotti fabbricati in Italia nel territorio americano. Quello che abbiamo appena inaugurato, invece, è Farmo Five: un nuovo stabilimento a Elgin, nell’area metropolitana di Chicago, nello Stato dell’Illinois, dedicato al confezionamento di Mac & Cheese senza glutine”. Confezioni che, da una parte, contengono la pasta, rigorosamente made in Italy, importata dallo stabilimento di Casorezzo della stessa Farmo e, dall’altra, il condimento: cheddar del Wisconsin, centro d’eccellenza della produzione casearia negli Stati Uniti. Il risultato è una proposta di “ready meals” (cibo già pronto per il consumo) al 100% gluten free, che coniuga la sicurezza alimentare e la qualità della pasta italiana con il gusto del consumatore americano.
“Quella appena introdotta è una linea di produzione pianificata da un paio di anni. Una scelta antecedente e indipendente dai dazi di Trump, che abbiamo fatto sulla spinta della costante crescita registrata negli anni – sottolinea Remo Giai –. Questi dazi non ci fanno piacere, ma dato che le nostre esportazioni, verso la nostra società americana, riguardano prodotti semilavorati da trasformare in loco in prodotti finiti, l’impatto economico è contenuto. Si tratta di un periodo di incertezza, senza dubbio, ma nel nostro caso, i dazi non modificano i nostri programmi esecutivi. Per dare qualche numero, il fatturato di Farmo Usa grazie alle vendite nel mercato americano, quest’anno, ammonterà a circa 15 milioni di dollari. Ecco perché crediamo fortemente che questo investimento a Chicago sia un passo strategico per quella che è la situazione attuale, ma anche un’anticipazione di quelli che potranno essere gli sviluppi futuri della nostra attività produttiva”. L’obiettivo è ridurre i tempi e i costi di logistica, rispondere in modo proattivo alle esigenze dei retailer (i rivenditori) e garantire continuità dell’offerta: “Il mercato nordamericano del senza glutine, negli ultimi 3 anni, ha raddoppiato i volumi con proiezioni che confermano una crescita a doppia cifra anche per il prossimo triennio. È in questo contesto che Farmo vuole continuare ad essere nel settore del gluten free, uno dei player più riconosciuti sul mercato”, tiene ad aggiungere Giai.
E se al Nord degli Stati Uniti ci sono i progetti di espansione di ADR e Farmo, bisogna spostare la puntina sulla carta geografica un po’ più a Sud, per raccontare un altro recente investimento made in Varese negli Usa. Questa volta si tratta di Ficep, l’impresa di Gazzada Schianno attiva nella produzione di macchine e impianti per lavorare i profili d’acciaio e le grandi lamiere destinate al mondo delle carpenterie metalliche e di linee automatiche per lo stampaggio a caldo per le stamperie. Una realtà imprenditoriale che fattura 200 milioni di euro all’anno ed esporta il 90% della produzione in 125 nazioni, grazie alla forza lavoro di 600 collaboratori sul territorio di Varese e 17 filiali in tutto il mondo.
Quello messo a terra dall’azienda nelle scorse settimane è un investimento di circa 15 milioni di dollari, per l’acquisto di un terreno di 36mila metri quadrati nello Stato della Georgia, alle porte di Atlanta. È qui che Ficep trasferirà la sua filiale americana che, come racconta l’Amministratore Delegato Barbara Colombo, “oggi si trova a Forest Hill, vicino a Baltimora, nello Stato del Maryland, conta più o meno 40 dipendenti e ha un fatturato di circa 40 milioni di dollari. È la nostra filiale più grande, ma quello che andremo a fare è uno spostamento necessario per rimanere competitivi negli Usa. Una scelta strategica con cui ci aspettiamo di fare un progresso nella formazione e nel coinvolgimento di figure professionali specializzate adatte al nostro business. Sì, perché quella in cui siamo stati finora, a Baltimora, è una location poco strategica, tanto che abbiamo sempre faticato a trovare manodopera specializzata in loco. L’area in cui andremo ad Atlanta, invece, è uno snodo chiave a livello di trasporti, è un crocevia fondamentale per l’America, ospita uno degli aeroporti più importanti al mondo, è un territorio ad elevata densità industriale, ma anche ricco di Università e centri tecnici, con manodopera a costi ancora competitivi e disponibilità di giovani risorse qualificate che possono rispondere alle nostre necessità”. Aziende del calibro di Siemens, Mercedes, Porsche, Bosch, Schneider Electric, Pirelli, GKN, ABB: queste sono solamente alcune delle multinazionali presenti ad Atlanta. Senza dimenticare le scuole come il Lanier Technical College, il Georgia Institute of Technology e la Georgia Southern University con cui Ficep ha già iniziato a intraprendere un rapporto di collaborazione.
“Un ecosistema favorevole alla crescita imprenditoriale”. È così che lo definisce Barbara Colombo: “L’intenzione è quella di creare una grande sede fatta di uffici commerciali, uno showroom dedicato alle demo del nostro parco macchine e un’Academy interna per la formazione sia di nuovi giovani talenti, sia di tecnici già inseriti in azienda. Con le Università e gli istituti tecnici, abbiamo già avviato un accordo tale per cui gli studenti potranno venire da noi a fare analisi e studi sui nuovi materiali per le costruzioni. L’obiettivo è quello di inaugurare la filiale nella primavera del 2026, con un organico iniziale di 45 collaboratori e di diventare una sorta di vivaio di tecnologia, ma soprattutto di formare anche giovani tecnici americani con cui lavorare e far crescere i giovani tecnici italiani che desiderano fare una esperienza in distaccamento in Usa”. Un investimento dalla visione di lungo periodo che “avremmo fatto comunque, indipendentemente dai dazi – precisa Colombo –. È un progetto di sviluppo della nostra localizzazione che era sul tavolo da tempo. Ovviamente quella che stiamo vivendo è una battaglia commerciale che ci colpisce, ma dobbiamo ricordarci alcuni fattori: gli Usa non saranno governati per sempre da Trump, il peso dei dazi deve essere considerato insieme all’oscillazione del cambio e le nostre macchine utensili non incontrano una competizione locale. Ovvero, Ficep non ha concorrenti americani da cui i player del settore potrebbero comprare tecnologia a prezzi inferiori. Il gap tecnologico che riscontriamo tra i nostri prodotti e quelli disponibili localmente è importante e non può essere colmato nel tempo di una Amministrazione. Inoltre, il settore delle costruzioni in acciaio è enorme e fondamentale in America. Qui tutto è realizzato in carpenteria metallica: dai capannoni, agli aeroporti, ai ponti fino ai grattacieli. In Usa si costruiscono strutture molto più pesanti che in Europa e la Ficep è molto forte nella realizzazione di macchine per processare profili e lamiere di spessore elevato”.