L’industria della Lombardia guarda all’India
Il subcontinente emerge come una delle aree di sbocco più promettenti per l’export lombardo
‘‘Quello indiano per i nostri prodotti è sicuramente uno dei mercati a più alto tasso di crescita. È per questo che abbiamo deciso di investire in questo Paese con una joint venture, di cui deteniamo il 51%, creata insieme a un partner locale, un’azienda familiare, in quanto tale simile alla nostra e scelta anche per affinità valoriali, come la grande attenzione per la sostenibilità, a partire dalle fasi di riciclo del prodotto”. Michela Conterno, Ceo della LATI – Industria Termoplastici Spa di Vedano Olona e Vicepresidente di Confindustria Varese, è una delle sempre più numerose rappresentanti dell’imprenditoria lombarda che guarda con crescente interesse all’India come terra di espansione, anche attraverso investimenti diretti, di fronte a un mondo in profonda trasformazione e con le filiere produttive in subbuglio e ricomposizione.
È questo uno dei dati che emerge dall’ultima Indagine Internazionalizzazione svolta, su un campione di oltre mille imprese, da Confindustria Lombardia, Assolombarda, il Centro studi di Confindustria Varese e tutte le altre Associazioni territoriali del sistema confindustriale della regione, per misurare l’impatto della geopolitica e delle crescenti tensioni globali sull’industria di quello che è, ancora oggi, uno dei principali motori economici d’Europa. Tra i tanti dati analizzati c’è proprio quello dei mercati a cui, in prospettiva, da qui al 2028, la manifattura della Lombardia guarda per investire sulla crescita del proprio export. Come outsider emerge, appunto, l’India: terza posizione in questa classifica dei Paesi prospect, con il 15% delle imprese lombarde che puntano risorse e attenzioni commerciali su New Delhi. “Noi siamo una di queste”, ha raccontato Conterno intervenendo come case history alla presentazione del rapporto, andata in scena al Palazzo Gio Ponti di Milano. Il sorriso dell’ottimismo della Ceo di LATI, che accompagna sempre i suoi interventi, però, non nasconde nelle parole il percorso non sempre facile con cui si arriva a certe scelte: “Se la crescita non la si ottiene sui mercati tradizionali, bisogna andarla a cercare altrove. In India ci siamo arrivati per apprendimento, anche dai nostri stessi errori.
Come un investimento negli Usa non andato bene e contemporaneo all’attacco alle Torri Gemelle, tanto per far capire quanto la geopolitica possa influire sulle sorti delle strategie aziendali. L’impatto sulla casa madre fu importante, ma ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cambiato visione. Ora non investiamo più da soli all’estero. Per esempio, in Cina ci stiamo con partnership locali create per tutelare il nostro know-how. Un’esperienza che ora vogliamo replicare in India, un Paese per noi nuovo. Vediamo ora come andrà”. Quella indiana non è l’unica new entry nelle top ten dei mercati più promettenti, rispetto alla rilevazione precedente di Confindustria Lombardia di due anni fa. L’altra è l’Arabia Saudita che, però, riesce a posizionarsi nelle prime 10 per un soffio: decima posizione appunto, con il 10% della quota di imprese lombarde che reputano promettente questo mercato nonostante le tensioni nell’area mediorientale. Ma India e Arabia a parte, le sorprese non finiscono qui.
Nonostante la politica estera del Presidente Donald Trump, le tensioni con l’Unione Europea, i dazi, la svalutazione del dollaro, le guerre commerciali più o meno paventate e (forse) sventate, gli Stati Uniti, con il 21,3% delle imprese interessate, sono al primo posto per attenzioni dell’industria lombarda. Primato non scontato visto lo scenario globale e la sempre più difficile, o quanto meno non utilizzabile a cuor leggero, definizione degli Usa come partner commerciale. Per il resto si tratta di conferme. Gli altri sbocchi più promettenti per l’export lombardo sono, secondo le previsioni degli imprenditori sondati, Germania, Emirati Arabi Uniti, Francia, Canada, Brasile, Spagna e Cina. Una cosa è certa. Le tensioni geopolitiche stanno influenzando e dettando un cambio di strategia delle imprese lombarde: 7 su 10, secondo l’indagine, hanno dichiarato di averlo già fatto ad esempio valutando ogni volta più attentamente le controparti (28,1% del campione), rivedendo con maggiore frequenza i budget (25%), reindirizzando la destinazione del proprio export su altri mercati (23,1%). Non solo, le tensioni internazionali stanno imponendo alle aziende anche un ripensamento dell’organizzazione interna. In questo caso ciò si concretizza con un aumento della centralità delle attività di internazionalizzazione (30,5%), di una maggiore attenzione agli aspetti giuridico-doganali (13,2%) e agli approvvigionamenti (26,1%).
Anche su quest’ultimo punto, è sempre Conterno e l’esperienza di LATI ad arricchire di una narrazione i freddi, ma significativi, numeri: “Il problema per molte imprese, soprattutto per quelle energivore come la nostra, è che la competitività e la capacità di presidio dei mercati internazionali, dipende anche e in modo crescente dai costi e dalla continuità degli approvvigionamenti sia di energia, sia di materie prime e semilavorati”. Dall’indagine di Confindustria Lombardia, infatti, emerge un riorientamento delle catene di approvvigionamento che sta seguendo, si legge nel documento, “logiche di prossimità”. Tradotto: solo nel 2024 il 14,4% delle imprese lombarde ha sostituito uno o più fornitori esteri, optando, nel 68% dei casi, in un’alternativa trovata in Lombardia, Italia o comunque al massimo in Europa. Le filiere si stanno accorciando. Un trend già partito anni fa e destinato a confermarsi nel prossimo futuro. Il 6,8% delle imprese, infatti, ha intenzione di sostituire i propri fornitori stranieri nei prossimi anni, mentre il 15,6% lo ha già fatto in quelli precedenti. Il fenomeno, insomma, ha riguardato, sta coinvolgendo e si estenderà in totale a quasi il 40% dell’industria lombarda.
Tanti cambiamenti, ma anche conferme. Una su tutte: la manifattura della Lombardia si consolida tra le aree più internazionalizzate in Europa. La quota media di fatturato derivante da export sale dal 44,2% rilevato nel 2023, al 44,7% del 2024. Con una stima per il 2025 che tocca quote ancora più alte: 45,2%. Le scelte delle imprese si fanno, però, più selettive, pur cercando di salvaguardare una maggiore diversificazione. Un’apparente contraddizione, che però il rapporto di Confindustria Lombardia spiega con i dati. Se mediamente nel 2023 un’impresa lombarda esportava in 23 diversi Paesi, ora il dato scende a 21. Allo stesso tempo, se nel primo mercato di riferimento ogni azienda concentrava nel 2022 mediamente il 25,7% del proprio export, ora questo dato si è riassestato sul 22,8%.
L’industria lombarda, dunque, si sta adeguando ai tempi, riposizionandosi in uno scenario sempre più incerto e conflittuale. Il risultato è una tenuta là dove gli altri motori d’Europa stanno invece perdendo terreno. Le quote di mercato globale (market share) dei flussi di export delle regioni tedesche del Baden-Württemberg e di Bayern, negli ultimi 5 anni, sono scese, rispettivamente, dall’1,22% all’1,09% e dall’1,13% all’1,02%. Quelle della francese Auvergne-Rhône-Alpes è passata dallo 0,37% allo 0,32%. Nello stesso periodo, invece, la Lombardia si è mantenuta stabile intorno allo 0,75%, così come la spagnola Cataluña ha saputo difendere il suo 0,45%.
Come scrive il Presidente di Confindustria Lombardia, Giuseppe Pasini, nella prefazione all’indagine, firmata a quattro mani insieme a Veronica Squinzi, Vicepresidente di Assolombarda: “Le nostre imprese sono già champion di internazionalizzazione ma, in un mondo segnato da tensioni geopolitiche, fanno oggi più fatica rispetto al passato nel proporsi come protagoniste sul mercato globale”. Alcune strade alternative sono già state individuate, ricordano Pasini e Squinzi: “La crescita di India, Arabia Saudita e Canada tra i Paesi di maggiore interesse dimostra che le imprese lombarde sono reattive e capaci di guardare oltre le rotte consolidate”. Ma serve un supporto. Più nello specifico: “Un’alleanza tra pubblico e privato capace di accompagnare le aziende con strumenti finanziari adeguati e reti diplomatiche e commerciali”.