La fornace degli artisti blu Cunardo

Le Fornaci Ibis sono oggi un museo all’aperto, con le opere di grandi artisti della ceramica visibili al pubblico. Di qui passarono e si forgiarono nomi del calibro di Guttuso, Lucio Fontana, V

Le Fornaci Ibis sono oggi un museo all’aperto, con le opere di grandi artisti della ceramica visibili al pubblico. Di qui passarono e si forgiarono nomi del calibro di Guttuso, Lucio Fontana, Vittorio Tavernari, Emil Schumacher. Un passato che potrebbe tornare grazie alla passione di una giovane ceramista 23enne

È un magnifico viaggio nel tempo quello che si intraprende percorrendo lentamente la strada che conduce alle Fornaci Ibis, nascoste tra il verde in un silenzio rotto soltanto dai richiami del merlo e del picchio e da qualche scampanellio di bikers impegnati sulla ciclabile in mezzo al bosco. Qui, settant’anni fa, Paolo Robustelli e la moglie Pina decisero di dar vita a un’attività artigianale, in una terra in cui la lavorazione della ceramica ha origini antichissime, con fornaci addirittura di epoca romana. Ma fu sul finire dell’800, quando in paese si contavano quattro fabbriche e diverse fornaci per la cottura di mattoni e calce, che la produzione di manufatti ebbe un notevole impulso, grazie all’invenzione del “blu Cunardo”, una tinta nota soltanto ai ceramisti locali.

Le Fornaci Ibis, collocate sulla discesa che da Cunardo porta a Grantola, sono un angolo di Ottocento rimasto quasi intatto. La ceramica d’arte del Novecento ha fatto tappa qui, in questo grande impianto che un tempo serviva a produrre la calce per imbiancare e costruire, e poi si è trasformato in una fucina per gli artisti di mezza Europa, che arrivavano in estate richiamati dal passaparola. Una stagione irripetibile, che portò il nome di Cunardo nel mondo, grazie a personaggi come Lucio Fontana, Jean Arp, Emil Schumacher, che dai fratelli Giorgio Robustelli e Gianni Robusti (nome d’arte) venivano a cuocere le loro opere e a trascorrere qualche giorno confrontandosi e scambiandosi consigli e opinioni. 

“L’intera struttura è ottocentesca, la costruì mio nonno, Carlo Bossi, assieme ai fratelli Pietro e Angelo, soci dell’impresa. Facevano la calce, ma poi l’avvento del cemento li costrinse a spegnere i forni. Da bambino ricordo che qui c’era una derivazione della linea tramviaria Varese-Luino, arrivavano vagoncini subito riempiti di calce. Il tram in certi tratti andava così piano che le persone salivano e scendevano in corsa”, racconta Giorgio Robustelli, 78 anni, rimasto l’unico proprietario delle Fornaci Ibis, dopo la scomparsa del fratello Gianni. “Nel 1951 mio padre Paolo, artista della Ceramica Coronetti di Cunardo, che aveva contribuito a far crescere dopo gli anni trascorsi alla ditta di Ghirla, acquistò l’azienda e incominciò con la moglie Pina la produzione in serie di portavasi, evaporatori per caloriferi e abbeveratoi per uccelli. Ricordo che una volta arrivò un cliente che ci ordinò 30mila abbeveratoi, aveva un grande allevamento a Torno, sul lago di Como”.

La seconda vita delle Fornaci Ibis però, arrivò quando Giorgio e Gianni presero le redini della ditta nel 1964, con la fondazione dell’Associazione Culturale CunArt, promotrice di eventi culturali riguardanti non soltanto la ceramica, ma anche musica e poesia. “Di colpo le fornaci diventarono un luogo d’incontro per gli artisti. Arrivavano Guttuso e Arp, Lucio Fontana, sempre elegantissimo e alla mano, che i primi tempi, per vivere, faceva formelle di ceramica per i mobilieri brianzoli. Nostri ospiti erano spesso Angelo Frattini e Hsiao Chin, Nes Lerpa e Giancarlo Sangregorio, Giuseppe Montanari e Vittorio Tavernari e il celebre Emil Schumacher soggiornò a casa mia per tre mesi. Ricordo che venne perfino la televisione tedesca a girare un documentario su di lui mentre lavorava la ceramica. Altri artisti ci raggiungevano dal Nord Europa e si accontentavano di dormire in tenda, nei prati circostanti”, aggiunge Giorgio Robustelli. Ecco capitare anche Vanni Scheiwiller e Alberto Casiraghy, a cuocere il loro piatto firmato, come anni prima aveva fatto Piero Chiara: “Arrivava con la moglie Mimma e disegnava i piatti con i titoli dei suoi libri, poi pretendeva che Mondadori mettesse l’immagine in copertina, ma non ci riuscì mai. Un giorno, con amici svizzeri, si presentò anche Hermann Hesse, che mi raccontò le vicende del Monte Verità”.

Le Fornaci Ibis oggi sono un museo all’aperto, con le opere di grandi artisti visibili al pubblico in esterno e nelle sale interne, ma accolgono ancora ceramisti, come la giovane Giulia Bonora, 23 anni, che con il suo marchio Keramo, da kéramos, in greco l’argilla, crea oggetti di design e sculture, grazie all’insegnamento di Giorgio Robustelli, Angelo Zilio e di altri maestri conosciuti nei diversi stage. “Le mie ceramiche si ispirano alle forme della natura, mescolo il mio stile al kurinuki giapponese, creando oggetti plasmati interamente a mano e rifiniti con il paddle. Le tazzine hanno forme che ricordano quelle delle rocce magmatiche, i miei oggetti devono essere utili ma anche piccole opere d’arte. A Faenza, dove ho seguito la summer school del Museo internazionale della Ceramica con Lorenzo Cianchi, ho affinato la tecnica al tornio e la scelta delle colorazioni”, dice Giulia, che sta per laurearsi a Brera in Decorazione. “Il mio sogno? Portare avanti le Fornaci Ibis creandovi una scuola di ceramica e farle ridiventare un luogo d’incontro per gli artisti come era in passato. In fondo quella dei ceramisti è una grande famiglia sparsa in tutto il mondo”.   

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