La faccina che si crede una parola

Come si è passati dalle linee, dai punti e dalle parentesi ai complessi (e spesso poco chiari) emoticon? Com’è cambiato il modo di comunicare delle persone grazie (o a causa) dell

Come si è passati dalle linee, dai punti e dalle parentesi ai complessi (e spesso poco chiari) emoticon? Com’è cambiato il modo di comunicare delle persone grazie (o a causa) dell’avvento delle faccine stilizzate? Ce lo spiega Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca

Taggare, spoilerare, googlare, whatsappare, babbano, inzupposo, apericena, webete. Quanti di questi termini suonano all’orecchio come famigliari e quanti del tutto privi di significato? Navigando sul sito dell’Accademia della Crusca alla ricerca del contatto del Presidente Claudio Marazzini per un’intervista, capita di imbattersi nella sezione “parole nuove”, tra cui spiccano verbi ormai all’ordine del giorno come “impiattare” e “docciarsi”, ma tra cui si celano insospettabili neologismi (o aspiranti tali) della lingua italiana. “Con l’aumentare delle segnalazioni, il nuovo costrutto viene registrato con carattere più grande, segno che riscuote un maggiore consenso, che è stato notato o usato di più”: questo, racconta Marazzini, è l’iter che una parola sconosciuta, e perciò non ancora riconosciuta, deve percorrere prima di poter essere accolta dai lessicografi ed entrare ufficialmente a far parte di un dizionario. E diventare, di conseguenza, parte integrante del linguaggio e del modo di esprimersi di ciascun individuo. Ma se questo diritto lo pretendessero delle faccine stilizzate? Cosa accadrebbe? Questo è il caso delle emoticon, i gialli smile utilizzati decine di volte al giorno da adolescenti, adulti e bambini che da uno smartphone all’altro, viaggiando a velocità della rete, scambiano emozioni, rafforzano concetti e rendono ironica e giocosa anche l’offesa più pesante. E si fanno largo, senza chiedere neppure il permesso, tra lessemi arcaici e regole grammaticali arrogandosi il diritto di essere definiti “linguaggio”.

“Credo che sarebbe davvero troppo elevare gli emoticon al livello della lingua scritta: si tratta semplicemente di piccoli segni grafici, disegni che assumono un qualche significato simbolico; di qui al linguaggio ci passa un bel po’, diciamo lo spazio di un oceano, non soltanto del mare. Anche al tempo delle piramidi, i geroglifici non erano un linguaggio, semmai erano una forma di scrittura, per quanto complessa”, commenta il Presidente dell’Accademia della Crusca.

Claudio Marazzini, Presidente dell’Accademia della Crusca: “Gli emoticon hanno la funzione di modificare il valore delle parole, di accentuare il loro significato negativo, ironico o positivo”

Eppure l’uso smodato di questa forma di comunicazione 2.0 potrebbe portare, come ogni rivoluzione che si rispetti, ad un cambiamento epocale. Dalle parole, alle abbreviazioni, alle faccine: quale sarà il prossimo passo? Cosa ci si deve aspettare? “Gli emoticon (noto che c’è un’oscillazione di genere tra il maschile e il femminile, registrata anche dal Vocabolario Zingarelli) hanno la funzione di modificare il valore delle parole – prosegue Marazzini –, di accentuare il significato negativo, ironico o positivo dei vocaboli stessi, talora delle frasi”, come a dire che le emoticon non potranno mai sostituire (anche solo in parte) il valore delle parole. Ma, tutt’al più, assumeranno via via una connotazione sempre più esplicativa e rafforzativa. Insomma “nessuno si sveglierà una mattina avendo perso la scrittura e possedendo solo i disegnini”. Semmai, i rischi per le capacità di scrittura delle persone sono altri, incalza Claudio Marazzini, per nulla spaventato da quello che lui stesso definisce “un divertimento assolutamente innocuo”. Tuttavia è fuori da ogni dubbio il fatto che, poco o tanto, il digitale stia trasformando il nostro modo di comunicare. Si tratta, solo, di stabilire in quale misura e se sia o meno un cambiamento positivo. “Il modo di comunicare, nella società attuale, sta sicuramente degenerando, ma non per colpa dei poveri emoticon, che assolvo da qualunque responsabilità – precisa ancora Marazzini –. Questo peggioramento deriva, prima di tutto, da un modo sconsiderato di organizzare molti dibattiti televisivi, dalla moda di far prevalere le urla e la sopraffazione sul ragionamento civile e pacato, dalla povertà lessicale delle giovani generazioni, dall’analfabetismo di ritorno degli anziani, dalla scarsità di lettura, perché nella lettura gli italiani sono tra gli ultimi in Europa. Poi, la crisi deriva dal fatto che alcuni esponenti del mondo della politica si affidino eccessivamente ai messaggi brevi, come i tweet, siano essi di 140 o di 280 caratteri. Il che ha come effetto una contrazione mentale nell’uditorio, che, alla fine, si trova a dover valutare e giudicare soltanto slogan e quasi mai idee espresse in forma argomentata”. Altro che disegnini, insomma.

 

Alcune curiosità sull’universo delle emoticon

La nascita e la storia delle emoticon è molto discussa. Sembra che la prima faccina in assoluto sia stata digitata il 12 aprile 1979 da un certo Kevin MacKenzie, che proponeva così di animare i testi delle email ritenuti troppi asettici. La sua idea, tuttavia, non ebbe grande successo. Stando, invece, ad una ricerca pubblicata nel febbraio 2002, la paternità delle emoticon sarebbe da attribuire a Scott Fahlman, un informatico statunitense che il 19 settembre 1982 inviò sulla bacheca elettronica della Carnegie Mellon University, nella quale insegnava, la proposta di contrassegnare i messaggi di carattere scherzoso con una faccina sorridente ( 🙂 ) e quelli meno con una triste ( 🙁 ). Dalle prime semplici emoticon fatte da linee, punti e trattini, rappresentanti singoli stati d’animo, si è passati poi alla più complessa evoluzione grafica denominata emoji. Insiemi e accostamenti di emoticon e immagini utilizzate per esprimere veri e propri concetti complessi. A creare la prima emoji è stato Shigetaka Kurita, membro del team che si occupava della piattaforma web mobile i-mode della NTT DoCoMo, tra il 1998 e il 1999. Attualmente sui nostri digital device esistono 2.666 faccine differenti, suddivise in 9 categorie di appartenenza: emoticon, persone, animali e natura, cibo e bevande, attività, viaggi, oggetti, simboli e bandiere. Questa nuova tipologia di comunicazione ha invaso la nostra quotidianità a tal punto da diventare un’abitudine condivisa a livello mondiale. Non sorprende, dunque, l’istituzione del World Emoji Day, il giorno dedicato alle emoticon creato nel 2014 dal fondatore di Emojipedia, Jeremy Burge. Il compleanno della versione moderna dell’iconico smile cade il 17 luglio, data che pare sia stata scelta perché compare nell’icona calendario dei sistemi iOS. Lo scorso anno il mondo delle faccine emotive è finito persino sul grande schermo con il film “Emoji – Accendi le emozioni”, una divertente rappresentazione della realtà quotidiana delle emoticon. Nient’altro che il racconto dell’emozionante vita dei piccoli abitanti gialli di una app di messaggistica, sempre pronti ad essere scelti dal proprietario dello smartphone su cui il programma è istallato. Con tanto di posto di lavoro, crisi di identità e relazioni sentimentali. (C.M.)

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