Giovani vecchi
L’inchiesta di apertura di questo nuovo numero di Varesefocus parte proprio da qui. Dai giovani. E dai gap e dalle questioni che ne limitano l’indipendenza
A che età si diventa maturi in Italia? La domanda potrebbe sembrare trabocchetto, ma non lo è. E di certo non punta il dito su ragazze e ragazzi, anzi. Il quesito è serio e a provare a dare una risposta è una ricerca dell’Ufficio Studi dell’Università LIUC. L’inchiesta di apertura di questo nuovo numero di Varesefocus parte proprio da qui. Dai giovani. E dai gap e dalle questioni che ne limitano l’indipendenza. Economica, certo, ma non solo. Perché la realizzazione personale si gioca anche a livello di opportunità, di accesso a un bene fondamentale come la casa, di diritti sulla carta e di fatto, di risorse (anche di tempo) per vivere (e non solo farsi) una famiglia, di qualità della vita e di relazioni. Maturi, dunque. A tutti gli effetti. E in ogni ambito: da quello lavorativo, a quello sociale. Spoileriamo solo la risposta da cui partiamo per approfondire i vari ambiti della situazione giovanile nel nostro Paese. Dove si diventa adulti in senso assoluto quando ormai proprio giovani non lo si è più. A 40 anni. Cinque in più della Svizzera, della Olanda e della Germani. E 10 anni rispetto alla Danimarca, secondo le analisi della LIUC. Come ho avuto modo di sottolineare anche recentemente durante un’intervista rilasciata al quotidiano La Prealpina, le imprese e Confindustria Varese non vogliono nascondere che in questo quadro non certo positivo la questione salariale sia centrale. La battaglia e le nostre proposte portate avanti negli ultimi anni anche a livello di abbattimento del cuneo fiscale ne sono una concreta dimostrazione.
Sul fronte specifico del rinnovo dei Contratti Nazionali, stiamo facendo e faremo la nostra parte insieme ai Sindacati, sia per adeguare le parti normative al mutato contesto del mondo del lavoro, sia per riposizionare i livelli salariali, tenendo ovviamente conto dello scenario competitivo delle imprese e della sostenibilità economica degli aumenti. Sul tema, però, vanno fatti ragionamenti di sistema: non si può liquidare l’argomento chiedendo semplicemente alle imprese di pagare di più i propri dipendenti. Gli stipendi italiani mediamente più bassi di altri Paesi dell’Unione Europea sono frutto dei limiti competitivi a cui sono sottoposte le imprese.
È vero, sono più bassi di quelli francesi: ma quanto paga l’energia un’azienda francese (anche grazie al nucleare) rispetto a una italiana? Le nostre imprese energivore sono arrivate a pagare nel primo semestre di quest’anno bollette elettriche anche tre volte e mezzo superiori ai costi energetici transalpini: 85,28 euro a MWh contro i 25,45 euro della Francia. Recuperiamo a questa voce competitività sia con una diversa politica energetica sia attraverso una riduzione del mix addizionale di accise ed Iva e ribaltiamola sui salari. Ecco una proposta concreta che la politica potrebbe fare propria. È vero, poi, che sono più bassi anche di quelli elvetici: ma quanto paga di tasse un’azienda in Svizzera e qual è il livello del cuneo fiscale oltre confine? È vero sono più bassi di quelli in Germania: ma quanto aumenta ogni anno la produttività delle aziende tedesche rispetto a quelle italiane, grazie anche a una politica industriale ispirata a questo obiettivo? I redditi da lavoro dipendente sono strettamente legati alla competitività delle imprese. Ognuno deve fare la sua parte e tutti insieme dobbiamo contribuire nel dotare il Paese di una politica industriale che affronti tutti quei gap che limitano la crescita del sistema manifatturiero e con esso quello degli stipendi che inevitabilmente sono legati alla produttività. Non dobbiamo poi fare medie statistiche fuorvianti: l’industria osserva contratti chiari che sono, di regola, più elevati di quelli degli altri settori della nostra economia.
Ma non è solo una questione economica. Il mismatch di competenze tra quelle a cui prepara il sistema scolastico e quelle richieste dalle imprese è un altro tema cruciale (in questo avrà sempre più un ruolo centrale la crescita degli ITS), così come la capacità di un territorio di essere attrattivo (ben vengano iniziative come quelle di “Vieni Vivere a Varese” della Camera di Commercio). In questa nuova edizione del nostro magazine puntiamo i fari su questi temi. Richiamando tutti al proprio impegno. Che noi di Confindustria Varese, ad esempio, portiamo avanti con istituzioni e scuole attraverso il Progetto “Generazione d’Industria”.


