Bruscitti, costine e Tito Livio

In un libro i segreti delle Confraternite enogastronomiche di Busto Arsizio, Somma Lombardo e delle altre associazioni che tutelano in Italia le tradizioni del mangiar bene Che cosa sarebbe il cul

In un libro i segreti delle Confraternite enogastronomiche di Busto Arsizio, Somma Lombardo e delle altre associazioni che tutelano in Italia le tradizioni del mangiar bene 

Che cosa sarebbe il culatello senza le nebbie invernali fredde e umide del Po, la cassata senza la ricotta di pecora siciliana, l’aceto balsamico senza le acetaie di Modena, il Franciacorta senza le colline bresciane accarezzate dal sole? Se lo chiede Edoardo Toia, il tesoriere-scrittore del Magistero dei Bruscitti di Busto Grande, una delle 53 Confraternite raccontate nel libro “Qui starete benissimo”, ricette e storie delle Confraternite enogastronomiche italiane (180 pagine, Nomos Edizioni, 19,90 €). Un libro prima di tutto di ricette originali, codificate e depositate davanti al notaio, ma anche racconto di storie, specialità e tradizioni folcloristiche italiane. 

Il titolo fa il verso a una frase di Tito Livio sulla guerra tra Roma e i Galli (hic manebimus optime) e il volume raccoglie riti antichi e moderni che si celebrano a tavola tra sventolar di stendardi, tintinnare di collari e medaglioni, frusciar di statuti, sussurrare di giuramenti e affollarsi di Gran Maestri e Priori. Tutti insieme allegramente a fare festa con le gambe allungate sotto il tavolo. La provincia di Varese è ben rappresentata. Con i “puristi” dei bruscitti bustocchi (una cinquantina di soci), spiccano nel libro i maestri grigliatori dell’Accademia Italiana della Costina, la specialità di Coarezza, frazione di Somma Lombardo che custodisce i segreti della perfetta cottura della carne di maiale alla griglia. Assenti giustificati, invece, i Cavalieri del Fiume Azzurro di Lonate Pozzolo che ripropongono le specialità culinarie seicentesche del curato Comerio vissuto all’epoca della battaglia di Tornavento. Ma che, da qualche anno, non fanno più parte della federazione italiana dei circoli enogastronomici presieduta da Marco Porzio.

Le confraternite, secondo l’enciclopedia Treccani, sono associazioni di fedeli erette nel Medioevo per esercitare opere di carità e di penitenza. Ma di penitenza se ne vede poca tra le fumanti pentole dei moderni e affamati confratelli. “I bruscitti sono un piatto della tradizione contadina – spiega Toia, 43 anni, nella vita broker finanziario, laureato in economia alla Bocconi, sposato e figlio d’arte (il padre Luigi fu Gran Maestro della stessa confraternita) –. Gli ingredienti sono le carni povere del manzo, polpa reale, cappello del prete, fustèla e tampètu, parti dure e muscolose. Poi burro, pancetta affumicata o battuta di lardo, sale, pepe e finocchietto selvatico che una volta cresceva sul ciglio delle strade campestri. Noi la chiamiamo erba bona. La cottura lunga è legata alla necessità della donna di potersi allontanare dal camino: al mattino metteva il coccio sulle braci, andava a lavorare nei campi o in fabbrica e all’ora di pranzo il piatto era pronto da servire con la polenta e una spruzzata di vino rosso. Quale vino? Quello dei vigneti che verdeggiavano intorno a Busto, oggi scomparsi, sostituito da Barolo, Barbaresco o Gattinara”.

Un omaggio al caro vecchio Piemonte. Su cui, però, avremmo un appunto da fare: perché non utilizzare invece un rosso robusto e corposo della provincia di Varese, per esempio Nebbiolo di Angera e Golasecca o un Merlot di Morazzone? Il Barolo e il Barbaresco sono vini ricchi e costosi, bevande da re che piacevano ai Savoia (Vittorio Emanuele II addirittura li produceva nella Tenuta di Mirafiore e Fontanafredda dove alloggiava la “bela Rosin”, Rosa Vercellana, sua amante e poi moglie morganatica). Forse poco adatti ai “proletari” bruscitti.
Il libro contiene 51 ricette e registra i nomi di 121 confraternite di ogni parte d’Italia, nomi curiosi ed evocativi come l’Arcisodalizio del Culatello Supremo, la Confraternita Amici del Porcello, la Congrega dei Radici e Fasioi, l’Ordine Obertengo dei Cavalieri del Raviolo e dei Gavi, la Magnifica Consorteria dei Gamberai di Settimo Torinese e via elencando. Ciascuna associazione con i propri paludamenti, le feste per la nomina dei soci e le formule rituali: “Sii saggio come questo sale, candido come questo latte, equilibrato come questo gorgonzola” (Confraternita del Gorgonzola di Cameri), “Quelli che mangeranno uova con le nocciole rallegreranno sempre le donne” (Confraternita della Nocciola Tonda Gentile di Langa), “Difendi e diffondi in Italia e nel mondo l’antica ricetta del bacalà” (Venerabile Confraternita del Bacalà alla Vicentina). 

Con i “puristi” dei bruscitti bustocchi (una cinquantina di soci), spiccano nel libro i maestri grigliatori dell’Accademia Italiana della Costina, la specialità di Coarezza, frazione di Somma Lombardo

Il comune denominatore sono le preparazioni povere della tradizione. È un patrimonio popolare che ricorda le ricette regionali raccolte da Pellegrino Artusi nel libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, considerato la bibbia gastronomica dell’Ottocento. E che difficilmente si ritrova nei ricettari di corte dei gastronomi-scrittori del passato, da Scappi a Messisbugo, dal Platina a Giovanni Vialardi, lo chef dei Savoia. Un patrimonio che fa giustizia delle moderne contaminazioni e delle errate convinzioni di chi pensa che il riso e il caffè siano nati in Italia mentre hanno rispettivamente origini asiatica e araba, che i bruscitti siano un ragù da cucinare con sugo di pomodoro, metà carne di manzo e metà maiale e che il risotto alla milanese si possa indifferentemente preparare con il riso indo-pakistano Basmati, con la curcuma al posto dello zafferano e il burro chiarificato.

Ogni secondo giovedì di novembre il Magistero dei Bruscitti organizza la propria festa che quest’anno ha toccato la cifra record di 450 persone riunite a Malpensa Fiere, oltre 200 commensali in più rispetto alle riunioni del passato al Museo del Tessile di Busto Arsizio, ormai insufficiente a contenerli tutti. Dietro la scusa mangereccia, il Magistero fa cultura con le celebri strenne editoriali, ricercatissime da collezionisti e bibliofili. Dal 1975 ha pubblicato il Manuale dei Bruscitti, Ul ven da Bùsti di Luigi Giavini e Angelo Grampa, Pan e pitanza, Il mistero della Gioebia, Ris e verzi e… puesia, Sant’Antoni dul purscèll e tanti altri titoli che si possono richiedere al segretario Renato Crespi o alla libreria Boragno di Busto. Sono tomi di cucina e poesia, di tradizioni bustocche e racconti in dialetto: “Noi le chiamiamo panzanighe – spiega il tesoriere –. Con queste iniziative raccogliamo fondi per le associazioni benefiche, le case-famiglia del Progetto Pollicino di Busto, gli enti che si occupano dei bambini e degli anziani e l’associazione Bianca Garavaglia per la ricerca sul cancro”. 

Nel libro, assenti giustificati, sono i Cavalieri del Fiume Azzurro di Lonate Pozzolo che ripropongono le specialità culinarie seicentesche del curato Comerio vissuto all’epoca della battaglia di Tornavento

La seconda settimana di settembre si riunisce invece l’Accademia Italiana della Costina: “Cuociamo solo carni allevate e macellate in Italia – spiega il presidente Massimo De Micheli, buongustaio e orafo a Somma Lombardo –. Utilizziamo una griglia lunga 18 metri e larga 1,50 e con l’esperienza abbiamo realizzato un prototipo circolare di 2 metri di diametro. È una griglia girevole che mantiene umida e morbida la carne e permette di esaltarne il sapore con il sapiente uso delle erbe aromatiche, rosmarino, salvia, alloro, mirto e maggiorana selvatica della montagna”.  “Consigliamo di cucinare il carré intero di 12 costine perché garantisce la cottura uniforme – aggiunge De Micheli –. Curiamo la qualità della legna per la brace utilizzando faggio, mangrovia e ulivo, controlliamo i tempi di cottura e la preparazione degli intingoli con i quali si irrora la carne. La costina di maiale non si mangia tutti i giorni, dà soddisfazione al palato ed è il godimento di una giornata speciale. Con un chilo di carne e 15 euro mangiano tre persone e si raccolgono soldi per fare beneficenza”. Insomma, la tradizione è cultura e divertimento. 

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