Autunno in Val Grande
Dal porto di Laveno a Intra, poi su fino a Miazzina e Cicogna: un viaggio che si snoda tra borghi in pietra e sentieri che conducono a Rugno, Pian Cavallone e Bocchetta di Campo
C’è un luogo, a pochi chilometri dal Lago Maggiore, dove la natura ha ripreso possesso di ciò che per secoli era stato dominio dell’uomo. Quando ottobre tinge di rame e ambra i boschi e novembre porta le prime nebbie cariche di mistero, la Val Grande si rivela nella sua essenza più pura: un anfiteatro di montagne dove il silenzio è così profondo da diventare sonoro, dove i sentieri raccontano storie di alpeggi abbandonati e di una wilderness (natura non ancora contaminata, ndr) che non ha eguali in Italia. È qui, tra Miazzina e Cicogna, che il Parco Nazionale Val Grande, il più vasto territorio selvaggio del Bel Paese, offre la sua accoglienza più dolce, quella adatta anche a chi muove i primi passi nell’esplorazione della montagna autentica.
Wilderness a portata di traghetto
Questo mondo apparentemente remoto è sorprendentemente vicino. Per chi parte dalla provincia di Varese, raggiungere la Val Grande è un viaggio breve che inizia con una piccola avventura lacustre: dal porto di Laveno, il traghetto solca le acque del Verbano portando in appena venti minuti a Intra, sulla sponda piemontese. Da qui, una manciata di chilometri (quindici minuti appena di tornanti che salgono dolcemente) e Miazzina appare come un terrazzo sospeso tra lago e montagna. Questa prossimità rende la Val Grande la meta ideale per una gita fuori porta autunnale e un’escursione di un giorno che può trasformarsi in un’esperienza indimenticabile senza richiedere lunghi spostamenti. La wilderness, qui, comincia dove finisce l’ultimo caffè preso al bar del paese.
Miazzina, una bella scoperta
Miazzina si adagia su un terrazzo naturale a 650 metri di quota, sospesa tra le acque azzurre del Verbano e le cime aspre della Val Grande. Il borgo, con le sue case in pietra e i tetti in piode, sembra un avamposto della civiltà prima del grande vuoto verde che si apre alle sue spalle. In autunno, quando i castagni secolari che circondano il paese si accendono di tonalità dorate e i faggi più in alto virano verso il rosso intenso, Miazzina diventa il punto di partenza ideale per chi vuole avvicinarsi alla Val Grande con rispetto e gradualità. Da qui partono sentieri adatti a diversi gradi di difficoltà e si trova anche un ristorante gourmet che sembra quasi inaspettato in un luogo così remoto. In una camminata di circa 30 minuti, si può arrivare anche al paese di Rugno, antico alpeggio dove non si arriva in auto, non c’è elettricità né acqua corrente. Un presepe, mantenuto vivo da chi ha scelto di ripristinare le antiche baite e grazie all’Associazione locale che si occupa di custodirlo. Da qui si può ammirare un bellissimo panorama sul lago e si può salire ancora più in alto, andando a percorrere il famoso “Chilometro Verticale” per sorprendersi con splendide vedute dall’alto. Attenzione però alla stagione: con umidità e foglie cadute, i sentieri possono essere molto scivolosi e bisogna percorrerli con rispetto e attenzione.
Cicogna: la “capitale” del Parco
La strada verso Cicogna è essa stessa un’esperienza. Stretta, tortuosa, scavata nella roccia, precipita per oltre 300 metri attraverso boschi che in questo periodo dell’anno sono una sinfonia cromatica. Difficile quando si incrocia un’altra auto, ancora peggio se un van, tanto da costringere a fermarsi o complicate manovre. L’ideale sarebbe arrivarci a piedi da Miazzina se si hanno buone gambe, ma le ore e la difficoltà del percorso non sono adatti a tutti. D’altronde, spesso, la Val Grande un po’ bisogna “meritarsela”. Cicogna appare improvvisa, ultimo avamposto abitato all’interno del Parco Nazionale. Qui vivono stabilmente poche persone, custodi consapevoli di un patrimonio che non ha prezzo. Il borgo, con le sue case in pietra disposte a semicerchio intorno alla piazzetta e le due cappellette sembra congelato in un tempo altro. Il paese è il punto di partenza per entrare davvero nel cuore della Valgrande, attraverso sentieri che si inoltrano in quello che gli abitanti chiamano ancora “il deserto verde”.
Sulle tracce della memoria: storie di alpeggi perduti
La Val Grande che oggi chiamiamo “selvaggia” è in realtà il risultato di un drammatico processo di abbandono. Fino agli anni ‘50 del ‘900, queste montagne erano popolate da centinaia di famiglie che vivevano negli alpeggi stagionali, coltivavano patate e segale fin sopra i 1.000 metri, falciavano fieno su pendii vertiginosi, producevano carbone e legname. Gli alpeggi avevano nomi che risuonavano di vita: Pian Cavallone, Alpe Corte, Bocchetta di Campo, luoghi oggi riconquistati dal bosco, ma dove ancora si scorgono i resti dei vecchi ricoveri, le pietre delle stalle crollate, i muretti a secco divorati dall’edera. L’abbandono fu rapido e inesorabile. Le guerre mondiali, l’industrializzazione delle valli, il richiamo della città svuotarono questi monti in pochi decenni. E la natura, paziente e possente, si riprese ciò che era suo. I prati divennero boscaglia, le mulattiere furono cancellate dai rovi, i faggi e gli aceri invasero i pascoli. Quello che oggi è il più grande parco wilderness d’Italia è il monumento involontario a un mondo contadino scomparso, di cui restano tracce che il camminatore attento sa ancora riconoscere e interpretare.
L’autunno della Val Grande: una tavolozza in movimento
In ottobre e novembre la Val Grande si trasforma in un caleidoscopio cromatico. I boschi misti che coprono i versanti più bassi (castagni, betulle, frassini, aceri) assumono tonalità che vanno dal giallo paglierino all’arancio acceso, dal rosso vermiglio al bruno profondo. Più in alto, dove dominano i faggi, il colore diventa uniforme: un rame caldo che sotto la luce radente del sole autunnale sembra brillare dall’interno. Le giornate limpide di questo periodo regalano visibilità eccezionali: dal Monte Zeda, dalla Bocchetta di Campo, dai numerosi belvedere naturali, lo sguardo spazia dal massiccio del Rosa alle cime elvetiche, mentre in basso il Lago Maggiore riluce come uno specchio d’argento. Ma l’autunno qui è anche nebbie che salgono dalla valle riempiendo le conche, primi geli notturni che cristallizzano le pozze d’acqua, silenzi profondi interrotti solo dal verso degli animali in amore. È il periodo in cui il bramito del cervo risuona nei valloni, un richiamo primordiale che ricorda come questo territorio sia tornato dominio della fauna selvatica. Caprioli, cinghiali, camosci si muovono con sicurezza tra le radure e i boschi, mentre in alto volteggiano aquile e falchi pellegrini.
Prepararsi alla wilderness: consigli pratici per l’autunno
La Val Grande, anche sui sentieri più semplici, richiede rispetto e preparazione. In ottobre e novembre le giornate si accorciano rapidamente: il sole tramonta dietro le montagne già nel primo pomeriggio, e le temperature possono scendere bruscamente. È fondamentale partire al mattino, portare con sé una torcia frontale, vestirsi a strati e avere nello zaino un impermeabile. Le piogge autunnali possono essere improvvise e intense, trasformando i sentieri in torrenti e rendendo scivolose le rocce. Controllare sempre il meteo prima e verificare i percorsi che siano alla propria portata sono buone regole da seguire, specialmente in questa stagione.
Il Centro Visite e il Museo: capire prima di camminare
Prima di avventurarsi sui sentieri, una visita al Centro del Parco Nazionale Val Grande di Vogogna (a pochi chilometri da Cicogna) permette di comprendere meglio la storia e la natura di questo territorio. Il centro offre materiale informativo, mostre temporanee e soprattutto la possibilità di parlare con i guardiaparco, che conoscono ogni angolo della Val Grande e possono dare consigli preziosi sulle condizioni dei sentieri e sugli itinerari più adatti alle capacità di ciascuno a seconda della stagione.










