Guido Andloviz, tra fantasia e rigore segnico

Al Museo MIDeC di Cerro è visitabile una mostra, omaggio a uno dei più importanti esponenti della ceramica industriale italiana. La rassegna in corso propone di accostarsi innanzitutto

Al Museo MIDeC di Cerro è visitabile una mostra, omaggio a uno dei più importanti esponenti della ceramica industriale italiana. La rassegna in corso propone di accostarsi innanzitutto alla sala permanente, dedicata da anni ai tanti e preziosi lavori ideati dall’artista originario di Trieste, per poi proseguire in un breve itinerario a Laveno Mombello per ammirare a Villa Frua il pannello ceramico presentato a Roma nel 1938 e restaurato nel 2020

Al MIDeC, Museo Internazionale di Design Ceramico di Cerro di Laveno Mombello, è in corso una mostra dedicata a Guido Andloviz (1900-1971). Nato a Trieste, poi trasferitosi a Grado e Firenze, studente tra il capoluogo toscano e quello milanese, fu, ancor giovane, designer ceramista e promettente architetto. Dal 1923 al ‘61 ricoprì l’incarico di Direttore Artistico della Sci, Società Ceramica Italiana. A presentarlo, convinto delle capacità dell’ottimo allievo, era stato il suo maestro, il noto architetto Piero Portaluppi, richiesto dal Presidente Scotti di segnalargli un artista in grado di rinnovare la produzione della Sci in chiave moderna. La rassegna riporta, dunque, agli anni famosi del periodo d’oro vissuto da Laveno Mombello e dal territorio circostante. Quando l’attività ceramica era al centro della produzione locale e dell’economia della bella cittadina lacustre. La sirena suonava e un intero mondo si svegliava e lavorava dentro allo stabilimento e attorno all’alta ciminiera ben in vista nel golfo sopra il lago. Più volte è stata raccontata la storia della ceramica lavenese, fiorente un tempo e conosciuta anche all’estero per la sua copiosa e raffinata produzione. E per quegli intrecci e scambi tra artigianato, industria e arte che, se ben avviati, vanno sempre aldilà dei confini domestici, portando buoni frutti e felici incontri.  

La tradizione ceramica locale ebbe il suo battesimo nel 1856, quando i signori Caspani, Carnelli e Rivelli, forti delle loro esperienze alla Ceramica Richard di Milano San Cristoforo, fondarono a Laveno la società ceramica CCR. La sede scelta era quella della ex vetreria Franzosini. E sorsero lì i primi capannoni della Lago, che nel 1883 divenne Sci, società per azioni nata sulla base di accordi con il Credito Lombardo e altri azionisti minori. Molto fu scritto in proposito in un’ampia ricerca di Giuseppe Musumeci e Luciano Paoli, sostenuta dal Comune di Laveno e dall’artista Albino Reggiori, pittore e ceramista noto per le sue belle cattedrali, che proprio nella fabbrica lavenese lavorò e si formò accanto ai grandi nomi di artisti e dirigenti che lì circolavano e operavano. E che dal Museo di Cerro fu poi chiamato per anni in qualità di Direttore. Ma, per ricordare tale storia, è importante rievocare soprattutto i nomi dei maestri che la fecero grande. E il nome di Guido Andloviz, accomunato a quello di Antonia Campi (1921-2019), allieva di Francesco Messina, a sua volta artista di primo piano ed esploratrice di nuove strade, che gli succederà nel ‘62 alla Sci, è nel novero dei più noti esponenti. Rivaleggiando con quello dell’altro grande architetto e ceramista Gio Ponti (1891-1979) che lavorava, invece, come Direttore Artistico per le ceramiche della Richard Ginori. Quest’ultima si fonderà poi con la Sci nel ‘65, come dimostra il patrimonio artistico presente al MIDeC e qui confluito dopo la fusione. 

La mostra curata da Anty Pansera e Giacinta Cavagna di Gualdagna, propone di accostarsi innanzitutto alla sala permanente, dedicata da anni ai tanti e preziosi lavori ideati da Andloviz che restituisce al visitatore il valore del suo grande, raffinato talento. Ma ci racconta anche la prima applicazione del concetto di “Serie variabile”. Cioè, la possibilità di fornire per la stessa forma diverse decorazioni, sia per quanto riguardava la produzione dei piatti sia per gli “Articoli fantasia”.
“Abbiamo questa volta voluto accendere i riflettori – sottolineano le curatrici della mostra – su alcuni aspetti della sua progettualità che si ritengono significativi: una rilettura delle sue presenze alle Triennali di Milano, anche come curatore e il suo contributo al mondo dei sanitari (dai depositi del MIDeC)”. Per tornare dunque alla mostra, un’intera sala permanente gli è stata dedicata da anni nell’antico Palazzo Perabò. Già residenza della nobile famiglia Guilizzoni, poi Perabò e quindi casa di riposo, è dal 1970 luogo espositivo di rara bellezza. Un tempo Civica raccolta della Terraglia, poi MIDeC, è museo e insieme istituzione con chiara funzione culturale: a testimonianza di un legame ben preciso con il territorio

Nella sala dedicata al nostro, lasciata come era, sono state portate foto d’epoca, proprio quelle delle Triennali, che mostrano gli oggetti presenti esposti a suo tempo: come il famoso vaso Monza 75. Due versioni del quale sono in mostra a Cerro, in due diversi colori. O la preziosa scatola Monza 27. Si scoprono oggetti raffinati, spesso pezzi unici, provenienti da collezioni private, che raccontano momenti diversi, caratterizzati da stili che vanno dalla rivisitazione del ‘700 lombardo alla raffinatezza inglese, piuttosto che a quella orientale o alla secessione Viennese e al nostro deco, dove Andloviz non fu meno efficace di altri ceramisti colleghi. Si distinse anzi per invenzione, gusto e abilità tecnica senza pari. Senza sottovalutare le capacità del dirigente, che mirabilmente si affiancavano a quelle dell’artista e che gli suggerivano, accanto a lavori di elitario esito, anche produzioni magari meno raffinate, ma cercate per dare risposta alle richieste di una produzione industriale di buona qualità. Si parla qui di “tradimenti”, ma erano libertà prese per venire a cercare nuove vie, di arte e di guadagno, che potessero assicurare più lunga vita alla creatura verso cui sentiva la maggior responsabilità. Una particolare curiosità è data da un mobile per toilette in legno, un “tradimento voluto”, in un materiale inusuale, portato a Monza nel ‘27 per la terza mostra internazionale di arti decorative. 

Andloviz perseguì comunque anche una ricerca nuova, di forme più squadrate e lineari, di porcellane candide, dove a contare erano le purissime linee dei disegni concepiti dalla sua raffinata mano, da un gusto che puntava all’essenziale. A una più moderna visione del segno, del colore, delle forme che alle opulenze descrittive del classicismo preferiva la semplicità. C’è poi un percorso da segnalare e da compiere: oltre che a Palazzo Perabò si può andare a cercare Andloviz proprio a Laveno Mombello. A Villa Frua di Laveno è presente un grande e straordinario pannello ceramico, restaurato e ricomposto nel 2020, da Andloviz realizzato, dipinto piastrella per piastrella e presentato a Roma nel 1938 per la mostra sull’Autarchia. Dove l’artista ha raccontato le materie prime, le fonti di energia, le zone di provenienza (San Vincenzo, Gattinara, Tremenico, Vizzola Ticino) dei materiali usati, le lavorazioni tecniche con figure di operai e operaie e una veduta complessiva, in basso al pannello, del panorama di Laveno. Insomma, uno spaccato vero e proprio della storia della ceramica lavenese. Da vedere anche le case per i laboratori della manifattura, eseguiti su suo progetto e il suggestivo palazzo detto k2, il piccolo grattacielo di Laveno che guarda sul lago e le montagne dove l’artista si trasferì a vivere, nel panoramico ultimo piano. Ancora oggi l’edificio si evidenzia nella sua particolare struttura a chi arriva dall’opposta sponda di Intra, incorniciato dal panorama del golfo e della sua incomparabile bellezza. E nei colori accesi e contrastati, nell’essenzialità pura dei suoi giochi di archi, pare uscito da un quadro di De Chirico.   

Alla riscoperta di Guido Andloviz  

Non solo “articoli fantasia”. Sanitari innovativi e tradimenti con il furniture design 
MIDeC, Lungolago Perabò 5, Cerro di Laveno Mombello.
A cura di Anty Pansera e Giacinta Cavagna, affiancamento alla ricerca Giorgia Cerati. 
  

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