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“Nella sfida competitiva la taglia delle imprese sta diventando sempre più un fattore determinante. Per essere vincenti sui mercati globali occorrono aziende un po’ meno piccole e un po’ più medie”. L’opinione è di Jessica Giusti, ricercatrice dell’Institute for Entrepreneurship and Competitiveness della LIUC – Università Cattaneo, che insieme a Deloitte ha svolto una ricerca sulla capacità competitiva di 10 piccole e medie imprese dell’Alto Milanese e del Varesotto che hanno saputo andare contro corrente rispetto alla crisi generale del sistema produttivo.

Perché questa ricerca?
Lo studio si inserisce in un filone che stiamo portando avanti nel tempo con più istituti, volto ad approfondire gli elementi e le strategie chiave che le imprese sono state in grado di mettere in campo e che sono state vincenti durante la coda lunga di questa crisi. Ciò attraverso uno sguardo trasversale, analizzando vari settori del nostro sistema imprenditoriale per avere così una panoramica completa. Questo ci ha permesso di ottenere un pattern comune di strategie evolute nel tempo.

Per esempio?
L’atteggiamento delle imprese nei confronti del parco clienti. All’inizio della crisi le imprese più perforanti erano quelle che avevano fatto una selezione puntando su quelli più affidabili nei pagamenti e in grado di dare una continuità agli ordini. Poi col tempo c’è stata una segmentazione in due diversi atteggiamenti. Da una parte le aziende che hanno optato per un ritorno all’ampliamento dei clienti per aumentare la fatturazione, dall’altra quelle che hanno cercato di trasformare il cliente in un’entità con cui non solo lavorare, ma con cui collaborare.

Tra i 10 campioni di competitività che avete analizzato è possibile individuare un fattore comune di successo?
Sicuramente la costante attenzione all’innovazione di prodotto e di processo. Non un’innovazione radicale, ma incrementale: piccoli costanti miglioramenti per dar vita a prodotti all’avanguardia, ma soprattutto a misura di cliente. L’apertura internazionale è poi un’altra chiave strategica di successo, come dimostrano anche i casi di quelle imprese tessili che hanno saputo fare eccezione al trend del settore puntando su mercati come quelli del Medio Oriente o degli Stati Uniti.

Dalla ricerca, come ne esce, in generale, il modello industriale italiano?
Ne esce positivamente. Le imprese italiane vincenti sono quelle che reinvestono gli utili in azienda, con un attaccamento viscerale al territorio e alla spendibilità del concetto di “Made in Italy” sui mercati. Con questa strategia il mantenimento della sede in Italia porta a benefici oggettivi, non solo di immagine, sulle performance.

La domanda è d’obbligo: piccolo è ancora competitivo?
La piccola impresa fa fatica, ma ha ancora sicuramente delle prospettive. Di sicuro, però, dalle ricerche che stiamo svolgendo emerge chiaramente quanto la taglia aziendale stia diventando un fattore importante e vincente. Il presidio di un mercato sempre più globale e la capacità di accesso ai finanziamenti richiedono sempre di più un aumento dimensionale. Abbiamo bisogno di aziende un po’ meno piccole e un po’ più medie.

Nella ricerca che avete svolto si fa spesso cenno alle capacità dei singoli imprenditori quali elementi dirimenti di successo. Come il fantasista di talento in grado di risolvere la partita con un guizzo, un colpo di tacco.
Sì, infatti, spesso nelle storie delle imprese emerge come elemento chiave proprio la capacità di visione dell’imprenditore. Ma a essere determinante non è solo la sua lungimiranza, ma anche il saper essere stato in grado di circondarsi di una squadra all’altezza delle sfide e di aver selezionato e portato dall’esterno quelle doti manageriali che prima erano assenti in azienda.

Come il Sistema-Paese può sostenere queste eccellenze?
Quelle da noi analizzate sono imprese che ce l’hanno fatta nonostante… Nonostante un Sistema-Paese che poco supporta la competitività delle imprese e nonostante una burocrazia che rende difficile anche il capire come e quanto pagare certe tasse. Ecco, bisogna invertire questa tendenza e puntare su istituti, anche pubblici, in grado di far leva sulla capacità competitiva dei territori, come quella emersa da queste 10 aziende analizzate nell’Alto Milanese e nel Varesotto. Non importa che siano istituti di espressione nazionale o locale. Esistono varie formule in giro per l’Europa e per il Mondo: agenzie regionali, comunali, centrali. Il problema qui è che, in Italia, c’è una carenza ad ogni livello. A cui oggi le imprese fanno da contraltare puntando sulle proprie sole forze, mentre i loro concorrenti riescono a fare sistema. Sistema-Paese, appunto.  

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