Le “bollicine negli occhi”. E' questo che cercano le imprese del territorio nelle nuove leve. A sintetizzarlo felicemente Maura Bossi di Tenova, ma con lei d'accordo tutti i presenti ad una tavola rotonda - organizzata da SPI Servizi & Promozioni Industriali, la società di servizi dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese - per condividere riflessioni sull'inserimento dei giovani in azienda. A confermarlo le storie di Dolce & Gabbana, Pianoforte Group (holding dei brand Yamamay, Carpisa e Jacked), Ficep e appunto Tenova: prima ancora delle competenze tecniche ai ragazzi si chiedono valori. Entusiasmo, curiosità, interesse, passione, ma anche serietà, disponibilità, spirito di sacrificio. Meglio una persona “buona” che una brava, dunque? Non proprio. Per le imprese varesine le conoscenze restano fondamentali e per questo si attivano in autonomia per strutturare percorsi di formazione su misura. Nei diplomati - il parere è concorde - si riscontrano carenze in ambiti tecnici specifici o, in generale, ad esempio, nella conoscenza della lingua inglese. Superate queste, però, anche grazie a progetti trasversali come l'Alternanza scuola lavoro prevista dalla riforma, è la predisposizione personale dei candidati a fare la differenza. “Cerchiamo persone di valore, il resto glielo diamo noi”, è il pensiero condiviso. In ogni caso, sottolinea Elisabetta Volta di Tenova “le competenze da sole non sarebbero sufficienti. Bisogna avere anche curiosità e voglia di imparare: proprio per questo quando facciamo i colloqui valutiamo positivamente le persone che pongono domande”.
 

Voglia di fare, entusiasmo, disponibilità a lunghe trasferte: ecco cosa cercano le imprese nei ragazzi. Le esperienze di Dolce & Gabbana, Ficep, Pianoforte Group e Tenova

Per quanto riguarda le competenze sono infatti le stesse imprese ad attivarsi, creando percorsi di formazione mirati, interni o con l'aiuto di strutture esterne, puntando sul dialogo sempre più necessario con le scuole e con progetti per avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro. Come Generazione d'Industria, il progetto dell’Unione Industriali varesina, che vede ormai 33 imprese del territorio partecipare attivamente e con soddisfazione. Più difficile per le imprese colmare il gap “umano”. “Cerchiamo persone di spessore. Manca a volte nei giovani lo spirito di sacrificio”, racconta Barbara Colombo di Ficep. La stessa carenza che li vincola di fronte alla richiesta di disponibilità a viaggiare. “Un fattore fondamentale questo”, aggiunge Luisella Tiberi di Ficep. “La disponibilità a spostarsi, ma anche la flessibilità a riposizionarsi su mansioni diverse per conoscere e apprendere. Spesso c’è un limite: le stesse famiglie frenano la scelta di un lavoro che porta a stare lontani, pur temporaneamente, da casa.” “Il tema della trasferta è cruciale - aggiunge Bossi di Tenova - spesso ci rivolgiamo a ragazzi di origine straniera perché sono più predisposti a farlo per motivi culturali.”
Settore diverso, ma simili considerazioni per Silvano Vaghi di Dolce & Gabbana: “Cerchiamo persone di qualità, fortemente motivate, interessate. Ai ragazzi diciamo: ti devi divertire ma non devi giocare”, racconta. E aggiunge: “La necessità di superare stereotipi culturali è urgente. Bisogna sciogliere dei nodi. Prima di tutto c'è una malintesa idea che le scuole tecniche siano – passatemi il termine - da “sfigati” mentre il mercato dice esattamente il contrario. Inoltre, occorre rendere consapevoli i ragazzi che le imprese hanno voglia di farli crescere e di investire su di loro perché attualmente non lo sono. Per questo hanno un grande valore gli incontri che facciamo nelle scuole”. Esigenze alte dunque. Altrettanto alte le aspettative che i ragazzi dovrebbero avere. “Ai giovani dico: cercate un lavoro che vi piaccia veramente: solo così non sentirete la fatica”, chiosa Vaghi.
La formazione tecnica poi si apprende sul campo, con percorsi ad hoc che in Dolce & Gabbana, ad esempio, si concretizzano in una scuola interna. Sulla stessa linea Roberto Manzi di Pianoforte Group: “La formazione da noi non nasce per sopperire una carenza – sottolinea – ma come leva di business e per individuare talenti.”
 

La proposta di SPI: “Diamo ai fondi interprofessionali, come Fondimpresa, le risorse per finanziare percorsi per l’inserimento dei giovani nel mercato di lavoro”

E quanto all'alternanza, la cosidetta Buona Scuola che solo a Varese riguarda 7.000 ragazzi (21.000 quando la riforma sarà a regime)? “Può funzionare – sottolinea Barbara Colombo – se studiata bene. Due settimane non possono bastare per avere un'idea di come funziona un'impresa o il mondo del lavoro.”  Stessa linea per Tenova: “Bisogna tenere in conto l'importanza di strutturare insieme, scuole e imprese, i percorsi di alternanza ed essere trasparenti in tema di sostenibilità: l'azienda si impegna, ma i ragazzi devono essere adeguatamente orientati dalle scuole”. Il ruolo dell'associazione di categoria, lo sintetizza invece Elvio Mauri di SPI: “Le istituzioni devono imparare ad ascoltare. La tendenza del momento, purtroppo, è a supporre che basti emettere norme per far  funzionare le cose, ma così ovviamente non è. Bisogna quindi fare i conti con le situazioni reali di chi vive l'impresa nel quotidiano e cercare soluzioni. La SPI - aggiunge Mauri – cerca ogni giorno di adattare gli strumenti esistenti alle esigenze delle imprese, che hanno bisogno di formazione per costruire il futuro. In questo, i fondi professionali, come Fondimpresa, possono avere un ruolo importante. Certo, si potrebbe fare molto di più, innanzitutto non togliendo risorse, ma aggiungendone di nuove e utilizzandole, come chiedono sempre più spesso le stesse aziende, anche per finanziare percorsi per l’inserimento dei giovani nel mercato di lavoro. Risorse, dunque, che andrebbero a vantaggio di tutti: dei giovani e delle imprese sui cui bilanci la formazione pesa sempre di più”.



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