Non è così famoso come quello del Cern di Ginevra, ma, seppur sconosciuto ai più, il sincrotrone di Pavia sta dimostrando tutta la sua efficacia, soprattutto sul fronte dell’adroterapia

Non fosse altro perché ha scoperto il Bosone di Higgs, il Large Hadron Collider, più noto come Lhc, è un po’ nella memoria di tutti. Si tratta del gigantesco acceleratore di particelle situato presso il Cern di Ginevra. È costituito da un tunnel sotterraneo lungo 27 chilometri dove vengono fatte scontrare particelle subatomiche a velocità prossime alla luce. A Pavia esiste una macchina simile, poco nota ai più, che si potrebbe definire un Lhc in scala ridotta e che ha come primaria finalità quella di curare particolari tipi di tumore, ma anche di proporsi per applicazioni aerospaziali e altre ancora, tutte da immaginare.  Spiega Marco Pullia, Responsabile Ricerca e Sviluppo della Fondazione Cnao (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica): “Questa macchina, definita ‘sincrotrone’, è un acceleratore di particelle a forma circolare lungo 80 metri con un diametro di 25 metri, non produce energie elevatissime perché il suo scopo primario è quello medico”. La macchina è stata realizzata grazie alla collaborazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, del Cern del Gsi tedesco di Lpsc francese e dell’Università di Pavia. In Italia vi sono solo due centri di questo tipo: quello di Pavia e quello di Trento.

All’interno della ciambella vi sono due sorgenti di “plasma”, ossia un gas i cui atomi hanno perso degli elettroni (ricordiamo che un atomo è composto da un nucleo formato da protoni e neutroni attorno al quale ruotano degli elettroni). Utilizzando opportuni campi magnetici e particolari radiofrequenze, da tale plasma vengono estratti i protoni (le particelle di carica positiva che si trovano nei nuclei degli atomi) e gli atomi di carbonio ai quali sono stati strappati alcuni elettroni e che per questo motivo vengono chiamati “ioni di carbonio”. Questi elementi formano dei “pacchetti” composti da miliardi di particelle che vengono accelerati in fasci e inviati nel sincrotrone dove entrano ad una velocità di 30.000 chilometri al secondo (un decimo di quella della luce) per essere accelerati a circa 60.000 chilometri al secondo. È come se una piccola utilitaria anziché essere lanciata contro un muro a 100 chilometri all’ora venisse lanciata a 200 chilometri orari: l’energia che si svilupperebbe sarebbe enormemente superiore. L’accelerazione, infatti, dà loro una enorme energia in quanto raggiungono i 250 MeV per i protoni e 4800 MeV per gli ioni carbonio (il MeV è equivalente ad un milione di elettronvolt, ed è l’unità di energia utilizzata nei fenomeni su scala atomica e nucleare).

Il “bombardamento intelligente” delle cellule tumorali. Le applicazioni vanno oltre la medicina e potrebbero sempre più coinvolgere anche l’industria dello spazio

È a questo punto che nasce l’applicazione medicale, chiamata adroterapia, in quanto i fasci vengono inviati verso le cellule tumorali di un paziente, distruggendole. La precisione con la quale le particelle vanno a colpire un’area ammalata è di 200 micron (un micron è un milionesimo di metro o se si preferisce un decimo di millimetro). Sistemi computerizzati tengono conto dei piccoli movimenti del corpo di un paziente provocati anche dal semplice respiro per evitare che il pennello di ioni e di protoni esca dalla sagoma del tumore. Aumentando l’energia del fascio di particelle si può andare in profondità nelle massa tumorale annientandola completamente, sezione dopo sezione. Questa metodologia viene applicata a pazienti i cui tumori non rispondono alla tradizionale radioterapia ai raggi X. Oppure quando bisogna trattare un tumore vicino ad un organo vitale. Un esempio per tutti: il melanoma oculare è un raro tumore che interessa la retina dell’occhio. Per distruggerlo con la radioterapia è necessario bombardare l’intera retina con dosi di radiazioni che potrebbero distruggere la parte sana dell’organo. Con l’adroterapia invece si va a colpire solo la porzione interessata dal male. L’utilizzo delle particelle utilizzate dal sincrotrone dunque, hanno la peculiarità di colpire solo le cellule ammalate e non anche le cellule sane presenti attorno alla massa tumorale come invece avviene con l’utilizzo dei raggi X. Tra l’altro l’adroterapia può essere utilizzata nei giovani e nei bambini, evitando loro effetti collaterali a lungo termine. Come si capisce l’adroterapia è una tecnica molto avanzata e giovane tant’è che in tutto il mondo vi sono solo 44 centri di questo genere. I risultati? Ad oggi tra i pazienti sottoposti ad adroterapia a Pavia si è avuto un esito positivo che va dal 70 al 90 per cento in rapporto al tipo di tumore.  Il sincrotrone di Pavia tuttavia, potrebbe essere utilizzato anche per altre applicazioni, soprattutto in campo aerospaziale. In particolare potrebbe essere usato nello studio di quel che succede ad un organismo vivente, studiando ad esempio le cellule, quando viene sottoposto alle radiazioni presenti nello spazio oppure in un ambiente non terrestre, come potrebbe essere la superficie di Marte che è solo in piccolissima parte protetta dalle radiazioni cosmiche dalla sua debole atmosfera. Un elemento importante per capire quanto dovranno essere protette le piantagioni che si produrranno su Marte per alimentare gli astronauti delle future basi. Una seconda applicazione del sincrotrone potrebbe essere quella di sottoporre materiali ad elevate dosi di radiazioni per vederne il comportamento. Questi tuttavia, sono solo alcuni possibili utilizzi perché si potrebbero anche sottoporre oggetti all’azione di ioni di diversa natura rispetto a quelli che si utilizzano in adroterapia così da variare le energie in gioco con applicazioni molto diversificate. Un vero gioiello della tecnologia dunque, che ancora nasconde le sue vere potenzialità in numerosi settori della ricerca.

L'incontro con l'industria aerospaziale lombarda

Simulare la vita nello spazio, tramite l’irradiazione cellulare nel vuoto o in atmosfera controllata per riprodurre l’ambiente spaziale non terrestre. Oppure studiare la resistenza dei componenti elettrici e dei materiali alle radiazioni. Ecco le possibili applicazioni che il sincrotrone di Pavia potrebbe avere sulle attività di ricerca legate allo sviluppo e ai processi innovativi dell’industria spaziale. Non è, dunque, un caso che, proprio recentemente, a inizio anno, una delegazione di imprese del Lombardia Aerospace Cluster abbia fatto visita all’acceleratore di particelle della Fondazione Cnao. Un incontro di conoscenza reciproca per studiare possibili sinergie a cui ha partecipato anche un altro cluster tecnologico e industriale lombardo, il Lombardy Life Science Cluster, insieme all’Unione Industriali di Varese, Assolombarda e Confindustria Pavia. Se son rose fioriranno. (D.C.)

 



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