Negli spazi del Museo Castiglioni di Villa Toeplitz sono in corso due mostre temporanee che meritano entrambe la visita. La prima è dedicata ad “Adulis, la città perduta”, e racconta un’altra delle magnifiche avventure vissute dal 2011 da Angelo e Alfredo Castiglioni nella loro Africa. Il termine avventura è in realtà riduttivo, ma lo usiamo per esprimere quel gusto dell’andare che ha sempre guidato i loro viaggi di ricerca e di studio. Se non ci fosse stato tanto entusiasmo per quella terra amata, i fratelli Castiglioni non avrebbero potuto affrontare infinite difficoltà e imprevisti. Né raggiungere risultati così soddisfacenti sul piano storico e archeologico, né fornire informazioni su usi, costumi e tradizioni delle diverse popolazioni incontrate: tradotte poi in libri, filmati, reportage fotografici, messi sempre a disposizione di quanti amano conoscerli. Fino ad arrivare alla creazione del museo varesino, custodito, guarda caso, nel parco creato e amato da Edvige Mrozovska Toeplitz, un’attrice polacca, moglie di Giuseppe Toeplitz, influente personaggio del mondo economico milanese del periodo fra le due guerre. Edvige divenne famosa negli anni Trenta per la sua seconda vita da esploratrice.

Nel caso di Adulis, la città eritrea perduta, grazie alle ricerche compiute dai Castiglioni a partire dal 2011- seguendo le indicazioni fornite nel 1906 da Roberto Paribeni - si può dunque parlare di un’altra delle tante avventure o imprese dei due celebri gemelli: da aggiungere alla riscoperta della città mineraria faraonica di Berenice Pancrisia  e alle ricerche, compiute nei corsi asciutti dei fiumi, gli uadi, per inseguire i graffiti preistorici: com’è avvenuto  tra le rocce del deserto libico, seguendo le anse asciutte dell’Uadi del Bergiug. Tutte imprese testimoniate dal lungo percorso del museo che offre, già di per sé, una visita appagante, integrata anche dalla documentazione di filmati e fotografie di altissimo livello alle quali i Castiglioni hanno da sempre abituato chi ha seguito le loro imprese negli anni. La loro ricerca anche in questa occasione si è basata su informazioni di esploratori del passato. Paribeni aveva, nel 1906, riportato alla luce, all’interno di una zona archeologica individuata, un monumentale basamento da lui chiamato “Ara del sole”. Nel tempo limo e sabbia avevano di nuovo sommerso, in seguito ad alluvioni di enorme portata, quanto rinvenuto. Ma l’idea del Paribeni era che un’intera città, l’antica Adulis, fosse ancora tutta da scoprire perché sepolta sotto strati di materiali trascinati dall’acqua.

L’équipe italo-eritrea, guidata e costituita nel 2011 dai fratelli Castiglioni sotto l’egida dell’Ismeo, che prosegue tuttora i suoi studi, comprende anche archeologi dell’Università Cattolica di Milano, dell’Università Orientale di Napoli, del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, ed è affiancato dagli architetti del Politecnico di Milano, incaricati del restauro dei monumenti portati alla luce. Ancora oggi, dopo diversi interventi già effettuati, sono in vista scavi archeologici sul luogo che si spera possa diventare sito archeologico o museo. La mostra di documentazione proposta dai Castiglioni è strutturata in due sezioni. La prima è dedicata alla conoscenza della storia dell’antica città commerciale del mar Rosso, dove, tra il II e VII secolo d. C., visse una comunità ricca e raffinata, importante per i suoi commerci e per la sua posizione privilegiata di scalo che permetteva la comunicazione tra Africa orientale e Mediterraneo. La rotta, paragonabile per importanza alle antiche vie della seta e dell’ambra, era quella dei traffici delle spezie che provenivano dall’India, lungo itinerari leggendari che vedevano accanto al transito di merci di lusso, come avorio, spezie, minerali preziosi, lo scambio culturale di paesi diversi. Il museo custodisce testimonianza della presenza di oggetti fondamentali per capire usanze e peculiarità della vita di Adulis: vasi, coralli, pietre e parecchie monete, riferimento sempre fondamentale per le indicazioni che la numismatica fornisce agli studiosi. Proprio dalla monetazione di alcune di esse potrebbe già arrivare la testimonianza della precoce espansione del Cristianesimo nel Corno d’Africa a pochi decenni dall’editto di Costantino che rese libera nel 313 la professione di fede. Molto interessante anche il filmato girato dai Castiglioni che propone visioni di carovane di dromedari impegnate nel pesante trasporto delle merci: oggi, ma com’era già nell’antichità e come doveva esserlo nel difficoltoso percorso che da Adulis portava verso Axum, la capitale. In altra sezione della mostra, specificamente dedicata agli scavi nel sito archeologico, sono visibili la splendida ricostruzione in dimensione reale (ottenuta grazie anche all’uso di una parete specchiata) e il modello olografico di una basilica paleocristiana scoperta nel sito già oggetto di scavi - a ulteriore testimonianza della precoce espansione del Cristianesimo nel territorio. Una perfetta ricostruzione dei marmi bizantini che decoravano le colonne della stessa chiesa è stata inoltre effettuata dagli allievi del Politecnico di Milano proprio per il museo.

A Varese la documentazione della più recente scoperta archeologica dei fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni, gli esploratori varesini che danno il nome all’omonimo Museo di Villa Toeplitz

La seconda mostra di cui parlavamo all’inizio, interattiva e per questo particolarmente dedicata alle scuole, s’intitola significativamente “Il canto della terra”. Curata da Antonio Testa, personaggio poliedrico e colto, produttore, autore musicale e saggista, percussionista, insegnante di propedeutica musicale e studioso di musica tribale, musicoterapeuta nonché incantevole affabulatore per adulti e bambini, la mostra offre uno sguardo d’insieme su centinaia di oggetti sonori di natura minerale, vegetale o animale raccolti in ogni parte del mondo. E disposti in bella, e coloratissima vista, in una grande sala del museo. Ogni oggetto della natura, sottolinea Testa, ha un suo suono. Il primo esempio che si fa a un bambino è quello del rumore del mare nella conchiglia: ma ci sono anche vegetali che possono esser usati quali strumenti a corde, con la loro cassa armonica, come certe zucche lucidate e usate in tutte le parti del mondo, dall’Europa, all’Asia, all’America, all’Oceania. E anche il carapace, il guscio di una tartaruga, può diventare parte di uno strumento. E un piccolo recipiente in terracotta può farsi, a sua volta, strumento a fiato. Riscoprire l’ecologia del suono, non quello tecnologico, ma quello della natura è scopo della ricerca, dell’intelligente missione che Testa conduce da anni.

E che lo ha portato al Museo Castiglioni, dove è presente per spiegare la sua ricca collezione di strumenti, la loro storia antica, la remota derivazione spaziale. Testa ha cercato in tutto il mondo, ha confrontato strumenti e suoni, li ha raggruppati per provenienza, per sonorità, e chiede ai visitatori di partecipare ai suoi concerti, coinvolgendoli in un intrigante percorso. Che non è solo appagante per la vista, con la varietà dei colori. Da quelli scuri e ambrati come la crosta bruna della terra, a quelli verdastri come l’erba, alle sgargianti tonalità gialle, turchesi e rubino di oggetti musicali provenienti dal Sud del mondo. Ma lo è soprattutto per l’udito e, più ancora, per l’anima.



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