Ci sono stati di recente sul territorio due eventi che hanno richiesto il mio intervento, in qualità di Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, per inquadrare il ruolo dell’impresa, da una parte, come pilastro etico e sociale in un mondo sempre più complesso, e dall’altra, come elemento mobile nella società liquida. La prima questione mi è stata posta dall’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti), la seconda dal giornalista Luciano Landoni in occasione della presentazione del suo ultimo libro.

Nell’impresa gli uomini e le donne con il proprio lavoro non generano solo Pil, esprimono se stessi

È in questi due momenti che come Unione Industriali abbiamo potuto sottolineare un concetto che la stessa rivista Varesefocus pone in evidenza da anni, nel suo racconto dell’impresa e dell’economia del territorio. Ossia che le aziende non sono solo luoghi di creazione e produzione di ricchezza. Sono anche leve di crescita sociale, spazi di inclusione, elementi fondamentali nell’opera di integrazione degli stranieri, un’opportunità per l’affermazione dei giovani, in alcuni casi anche occasione di riscatto. Nell’impresa gli uomini e le donne con il proprio lavoro non generano solo Pil, esprimono se stessi. 

La recessione non ha solo rimodulato l’aspetto competitivo, organizzativo e tecnologico delle aziende. Ne ha cambiato l’essenza stessa del posizionamento nella società. Quelle realtà che sono riuscite a fare eccezione alla crisi (e non sono poche) hanno rimesso in discussione il proprio ruolo nei confronti delle persone e delle famiglie, oltre che nei confronti del contesto in cui operano. 
Certo, questa ricostruzione non vale per tutti. Nel fascio d’erba l’eccezione fatta di concreti casi controversi non può essere esclusa e va riconosciuta. 

Storie singole che non possono intaccare, però, lo scenario generale: l’impresa è uno dei pochi elementi della nostra società che ha saputo meglio reinterpretare il proprio retaggio storico, senza rinnegarlo, per occupare nuovi spazi a vantaggio dei singoli e della collettività, assumendo nei loro confronti nuove responsabilità. 

L’impresa, grazie a imprenditori e collaboratori, ha saputo trasformare il concetto di essenziale

Ciò mentre proprio sul fronte della responsabilità collettiva e della difesa dell’interesse generale troppi elementi della nostra società hanno fatto passi indietro. L’impresa, grazie a imprenditori e collaboratori, ha saputo trasformare il concetto di essenziale. Lo è diventato ciò che prima era solo un orpello da aggiungere come immagine al proprio brand. Il riferimento è diretto, per esempio, all’attenzione alle politiche green che in tantissime aziende vanno ben oltre il rispetto delle normative. Così come all’attenzione per il welfare, a politiche di conciliazione lavoro-famiglia, alle iniziative per promuovere lo sport in azienda, al volontariato. 

Sono, questi, solo alcuni esempi di un riposizionamento generale dell’impresa che, di fronte ad un contesto di crisi sempre più complesso, non solo a livello economico, ha sentito il bisogno di fare da argine ad un arretramento dello Stato su alcune voci impattanti sulla quotidianità delle persone, come il welfare appunto. Così come hanno sentito il bisogno di rappresentare un punto fermo di fronte ad una società sempre più liquida che non è stata ancora in grado di offrire dei punti di riferimento stabili. 

Di fronte alla complessità l’impresa ha mantenuto saldo il proprio valore di collante, di cerniera tra le persone e le famiglie e la società in generale. È un fatto questo su cui bisognerebbe riflettere di più. Chi un giorno dovrà scrivere la storia di questi anni dovrebbe dedicare un capitolo proprio all’impresa e a come essa ha saputo rappresentare un appiglio importante in un mare in burrasca. 



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