Gli uragani che hanno colpito nei mesi scorsi le coste caraibiche e degli Usa sono stati dei fenomeni eccezionali o rappresenteranno in futuro una norma? Quali cause li hanno scatenati? Tutta colpa del riscaldamento della Terra? Ma soprattutto: il Mediterraneo è al riparo da tali fenomeni?

Harvey, Irma, Jose, Maria... quattro nomi di uragani che sono entrati nella storia del clima per mille motivi diversi e che ricorderemo a lungo. Le domande sorte in seguito al loro passaggio sono tante. Sono stati davvero i peggiori nella storia recente? Sono da collegare all’aumento del riscaldamento globale e ancora, uragani simili potranno formarsi nel Mediterraneo sempre più caldo e colpire l’Italia?

Partiamo innanzi tutto dal fatto che già ad inizio 2017, il Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) aveva previsto un anno durante il quale si sarebbero potute verificare tra 14 e 19 tempeste, delle quali almeno 5, ma sarebbero potute essere anche 9, sarebbero stati uragani.

Senza dubbio si prospettava un anno anomalo perché la media calcolata tra il 1981 e il 2010 è di 12 tempeste l’anno e 6 uragani. Nella realtà ci sono state 13 tempeste. Solo 4 altre stagioni dal 1995 ad oggi hanno avuto un numero simile di fenomeni. E dei 13 registrati ben 7 sono divenuti uragani, una situazione, anche in questo caso, che si è verificata solo quattro volte dal 1995 ad oggi. Tra l’altro gli uragani Harvey, Irma, Jose e Maria, hanno raggiunto la categoria 4 o superiore nella scala Saffir-Simpson che va da 1 a 5. Insolita, infine, è stata la combinazione di elevata frequenza di uragani e forte intensità. Non è infrequente il verificarsi di sei tempeste in un mese, ma è molto raro che se ne siano verificate due di categoria 4 e due di categoria 5. 

Nel 2017 ci sono state 13 tempeste. Solo 4 altre stagioni dal 1995 a oggi hanno avuto un numero simile di fenomeni. E dei 13 registrati ben 7 sono divenuti uragani

C’è poi un ulteriore fatto su cui riflettere: il 2017 sarà certamente la stagione degli uragani che ha causato il maggior numero di danni agli Stati Uniti. Prima di oggi il record apparteneva al 2005, quando l’uragano Katrina e altri uragani che lo seguirono causarono 143 miliardi di dollari di danni al Paese. Ma quest’anno AccuWeather, un importante centro di ricerca e studi sugli uragani, ha stimato che Harvey e Irma hanno causato, da soli, danni per 290 miliardi di dollari. 

Ora che l’anno sta per terminare e che l’anomalia è stata confermata non è comunque semplice dire se il 2017 sia un’eccezione o una conferma del riscaldamento globale. A favore della prima ipotesi vi è il fatto che erano 12 anni che non si vedevano uragani molto forti e dunque un anno come il 2017, prima o poi, poteva verificarsi. A dar manforte all’idea che possa essere solo un anno al di fuori della norma vi è anche il fatto che ormai da diversi mesi non c’è più El Nino, la particolare condizione climatica del tutto naturale che a ritmi di 5-7 anni altera quelle esistenti nell’Oceano Pacifico, influenzando anche l’Atlantico.

Con la scomparsa di El Nino infatti, hanno perso d’intensità i venti in alta quota su quest’ultimo oceano, uno degli elementi che negli anni scorsi si opponeva alla formazione degli uragani, facendoli dissolvere. Quest’anno i cicloni che si sono formati hanno potuto ristagnare a lungo sull’oceano accumulando una grande quantità di vapore acqueo ed energia. A sostegno di questa ipotesi c’è anche il fatto che i dati statistici a disposizione non mostrano alcun aumento nel numero degli uragani, tanto meno delle tempeste. A far da contraltare all’idea che sia solo un anno eccezionale però, c’è il fatto che l’Atlantico, soprattutto in prossimità dei Caraibi, era particolarmente caldo.

Secondo Kerry Emanuel, un ricercatore del MIT, l’Atlantico tropicale possedeva un “potenziale termico” molto elevato, che significa che l’acqua del mare evaporava con grande facilità e in grandi quantità nell’atmosfera sovrastante. Tale potenzialità termica è una fondamentale condizione per la formazione e l’intensificazione degli uragani di passaggio, in quanto maggiore è il suo valore, più potenti sono i cicloni che si possono formare. E il fatto che gli oceani siano così caldi non può che essere legato al riscaldamento globale.  

Ma al momento nessuno è in grado di affermare quale delle due ipotesi sia corretta. Bisognerà attendere i prossimi anni per avere a disposizione statistiche che permettano di capire meglio la situazione. Al momento non c’è alcuna indicazione che affermi che vi sia una crescita nel numero degli uragani annuali. 

C’è infine un’ultima domanda che merita una risposta, perché oggetto di discussioni sul web: arriveranno uragani anche sull’Italia? La risposta è no. I motivi sono più di uno. Affinché si possa formare un ciclone è necessario che l’acqua su cui si innescano le correnti ascensionali che li originano superi i 27° C e questo nel Mediterraneo è possibile. Ma affinché possa crescere e diventare un vero uragano, una depressione ciclonica deve avere a disposizione un’area di centinaia di chilometri di diametro senza terraferma e la possibilità di potersi muovere per centinaia di chilometri al fine di alimentarsi del calore e del vapore che sale dal mare. Solo così i venti possono assumere una velocità superiore ai 120 chilometri all’ora, oltre la quale si ha a che fare con un uragano di Categoria 1 della scala Saffir-Simpson. Il Mediterraneo è troppo piccolo perché tutto ciò possa avvenire. Al più si arriva a lambire la Categoria 1, ma sono situazioni molto rare. L’ultima volta avvenne nel 2014 in prossimità di Creta. Per queste situazioni che “assomigliano” agli uragani tropicali si è coniato il termine “Mediterranean Hurricanes” o Medicanes, che comunque sono cosa ben diversa da Irma, Maria, Harvey e company. 



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