Gli interventi straordinari della Banca Centrale Europea sono davvero serviti? E soprattutto servono o serviranno ancora? Ecco un bilancio sulla strategia della Bce di questi anni di immissione di liquidità sui mercati. Con uno sguardo critico sul prossimo futuro  

Di nuovo, a settembre, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha ribadito con forza che il periodo degli interventi straordinari della Bce è finito e che questi, vista la ripresa in atto, devono lasciare al più presto il passo a politiche monetarie “normali”.

A questo punto, approfittando della distrazione dei tedeschi troppo occupati in difficili equilibrismi politici, potrebbe essere utile al dibattito fare qualche considerazione sugli interventi sin qui attivati dalla Banca Centrale Europea. Prima, però, è necessaria una premessa.

A ben vedere, la Bce è stato l’unico organismo internazionale che si è mosso concretamente nel tentativo di fronteggiare l’attuale crisi. Ed il merito di ciò appare del tutto ascrivibile a Mario Draghi che si è convinto per primo che questa crisi, resistente ad ogni antidoto conosciuto, potesse essere affrontata solo con interventi di natura straordinaria. In quest’ottica, sfruttando il suo indiscusso standing e la drammaticità della situazione che ha impedito ai tedeschi di alzare barriere insormontabili, Draghi ha ottenuto nel 2015 il nulla osta politico per varare il programma detto di Quantitative Easing (Qe).

In estrema sintesi (vedi anche il box sotto) con questo intervento la Bce, sulla scia di quanto già fatto dalle altre banche centrali autonome quali la Fed, la Bank of England e la Bank of Japan, ha potuto acquistare, prevalentemente da banche, titoli di stato ed alcune obbligazioni emesse da soggetti pubblici e privati. Lo scopo era quello di rimettere in moto il volano arrugginito dell’economia europea iniettando nei mercati, in contropartita dei titoli acquistati, abbondante liquidità a costo contenutissimo così da stimolare ricerca, investimenti ed occupazione. Ciò premesso, anche in considerazione della presenza a livello europeo di uno schieramento favorevole al Quantitative Easing e di uno che lo ritiene inutile e dannoso, diventa interessante comprenderne meglio il funzionamento utilizzando una “analisi punti di forza Vs punti di debolezza”.

Punti di forza
Essi si sono dispiegati essenzialmente su tre livelli: a livello di Eurozona, a livello di singoli Stati, a livello di rapporto banca – impresa.
A livello di Eurozona l’autorizzazione ottenuta dalla Bce ad acquistare sul secondario, entro limiti definiti, titoli pubblici dei diversi Paesi europei ha steso un importante ombrello non solo a protezione della fragile ripresa, ma anche a salvaguardia della sopravvivenza stessa dell’Euro. In pratica, la presenza di una Bce pronta a scendere in campo per sostenere il singolo Paese messo sotto pressione ha fortemente contribuito a rasserenare il “sentiment” dei mercati e degli investitori. Ed è ormai chiaro come il peso di questo fattore “S” che rispecchia le paure, le ansie, le aspettative, le elucubrazioni dei mercati non possa assolutamente essere trascurato. Nei momenti più delicati della crisi, tra attacchi speculativi concentrici e giudizi delle tre sorelle del rating (Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch), fu proprio questo fattore “S” a prendere il sopravvento sui dati economici oggettivi generando pericolosissimi “mulinelli” in grado di far avvitare la situazione.   
A livello di singolo Stato, l’intervento della Bce come importante acquirente di titoli pubblici ha generato una forte pressione sulla domanda dei titoli stessi causando un aumento dei prezzi ed un abbassamento della curva degli interessi sulle successive emissioni. Di conseguenza lo Stato, specie se indebitato come l’Italia, ha visto ridursi la spesa corrente per interessi ed aumentare, parallelamente, i fondi disponibili per il sostegno delle imprese. Da sottolineare, a questo proposito, che l’Italia paga annualmente interessi sul proprio debito pubblico per circa 65 miliardi di Euro.
A livello di rapporto banca-impresa, le banche, grazie agli acquisti della Bce, sono divenute più liquide e, in presenza di impieghi finanziari poco remunerativi o addirittura negativi (come detto, gli interventi della Bce comprimono la curva dei tassi) hanno incrementato gli impieghi verso il mondo imprenditoriale. Di conseguenza le aziende hanno goduto di liquidità a medio termine ad ottimi tassi destinabili al finanziamento degli investimenti produttivi (vedi box). 

Punti di debolezza
Il grosso limite del Qe sta nelle aspettative. Finché queste non volgono stabilmente al bello, gli effetti del Qe sull’economia appaiono positivi, ma inferiori alle loro potenzialità. Le aziende, infatti, tendono ad utilizzare la nuova liquidità non per investimenti produttivi, ma per impieghi finanziari che non rimettono in moto il volano dell’economia. Da parte loro le banche, in assenza di buone prospettive, possono essere indotte ad utilizzare i fondi concessi dalla Bce per finanziare i grandi prenditori con ottimi rating a discapito delle pmi di fascia media in debito di ossigeno. Il secondo punto di debolezza del Quantitative Easing è legato al fattore tempo. Infatti, gli stimoli monetari, per loro natura, sono di breve periodo. Quindi sono in grado di dare una brusca accelerazione iniziale all’economia, ma non possono sostituirsi ad interventi e riforme strutturali che rimangono appannaggio della Commissione Europea e dei governi. Ad esempio, tassi di interesse tenuti artificialmente bassi per troppo tempo, nell’immediato danno una forte spinta alle imprese, ma, nel lungo periodo, danneggiano gravemente i conti economici delle banche. Si innesta, così, un circolo vizioso che rende il sistema bancario più debole e, quindi, meno in grado di supportare adeguatamente il settore produttivo nel medio periodo.

Le prossime mosse
Dunque, gli interventi straordinari attivati dalla Bce hanno avuto un ruolo essenziale nel tentativo di traghettare l’Europa fuori dalla più profonda crisi dell’epoca moderna. Tuttavia oggi, in presenza di indicatori che evidenziano un certo consolidamento della ripresa in Europa, iniziare ad esaminare una “way out” dal Qe appare corretto. A due condizioni però: innanzitutto che non ci si muova prima che la ripresa diventi strutturale e sufficientemente omogenea nei diversi Paesi dell’Eurozona. Infatti, anticipando troppo i tempi di uscita dal Qe, la pressione sui tassi di interesse e sul cambio Euro-Dollaro porterebbe ad una pericolosa divaricazione tra i Paesi ancora bisognosi di misure espansive rispetto a quelli già in ripresa conclamata. La seconda condizione è che l’abbandono del Quatitative Easing, al contrario di quanto auspicato da alcuni schieramenti politici tedeschi, avvenga in maniera estremamente graduale ed equilibrata. Di tutto abbiamo bisogno meno che di un “effetto rebound” in grado di stoppare sul nascere una ripresa ancora decisamente fragile. 

 

Definizione di Quantitative Easing

Il Quantitative Easing (in italiano “alleggerimento quantitativo” o anche “allentamento monetario”) è un’operazione che rientra nel ventaglio delle politiche monetarie adottabili da una banca centrale. Con un’azione di “allentamento monetario” una banca centrale agisce come un acquirente che compra beni (consistenti normalmente in azioni o titoli di stato), emettendo nuovo denaro creato per incentivare la crescita economica. Ecco perché si dice che con il Qe una banca centrale inietta liquidità nel proprio sistema economico. Attenzione, però, con il Qe il nuovo denaro non è per forza stampato, esso può, infatti essere creato per via elettronica, finendo sui bilanci della banca centrale stessa.

Il Qe dalla banca all’impresa

Ecco cosa succede, per fasi, nel mercato quanto si innesta un’azione di Quantative Easing:
1. Con il Qe, la Bce può comprare, ad esempio, i titoli di stato messi in vendita da una banca olandese che li aveva in portafoglio.
2. Pagandoli, la Bce inietta liquidità nella banca olandese.
3. La banca olandese ottiene così liquidità e, non trovando in giro rendimenti finanziari accettabili a causa dei tassi di interesse tenuti bassissimi dalla stessa azione della Bce, decide di impiegare questa liquidità per finanziare una  impresa olandese.
4. L’azienda olandese ottiene liquidità a medio termine dalla banca a tassi molto contenuti e investe acquistando un nuovo macchinario.



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