“Si tratta di una riforma rinunciataria”. È secco il giudizio sulle modifiche alla Costituzione di Emanuele Boscolo, docente di diritto Amministrativo del Dipartimento di Diritto, Economia e Culture  dell’Università degli Studi dell’Insubria.

Per i sostenitori del Sì al voto del 4 di dicembre, però, si tratta di un testo che garantisce al Paese un rafforzamento della stabilità e della governabilità.

Una governabilità, però, sullo sfondo della quale si intravede il nascere di un premierato. La stessa legge elettorale che si accompagna alla riforma dice che il partito deve indicare il capo e il premier. Inoltre il Governo potrà su ogni materia dettare l’agenda alla Camera. Così si indebolisce la funzione legislativa del Parlamento, scardinando gli attuali equilibri. In pratica ci ritroveremo un Parlamento eterodiretto dall’Esecutivo.

L’idea di fondo, però, è proprio quella di ridurre i tempi delle decisioni politiche pubbliche, rendendoli più consoni a quelli di un Paese che deve fare i conti con la modernità.

Ciò che mi preoccupa è l’equilibrio istituzionale. Il Governo deve dare applicazione alle leggi, non farle. In questo modo si svuota il Parlamento del proprio ruolo autonomo e di controllo. E in più il bicameralismo non scompare. Alcune leggi dovranno comunque passare dal Senato, i cui elevati costi di gestione rimangono. È vero che i Senatori non avranno indennità, ma rimangono i costi dei dipendenti di questo ramo del Parlamento con tutti i loro enormi privilegi. Dipendenti che, tra l’altro, allo stesso costo, lavoreranno di meno con sessioni che diventeranno mensili o quindicinali.

Viene, però, finalmente messo mano al Titolo V che gestisce l’attuale complesso rapporto Stato/Regioni.

Il Titolo V del 2001 ha aperto un enorme contenzioso, è vero. Con la riforma, però, c’è il rischio di perdere efficienza deliberativa. Se passa il Sì andrà allo Stato un lungo elenco di materie in esclusiva, su cui le Regioni perderanno capacità legislativa. Creando, in alcuni casi, delle assurdità. Faccio un esempio: quello del governo del territorio che la riforma rivendica in capo allo Stato. Lo stesso Stato che dopo più di 50 anni non si è dotato di una legge sul consumo di suolo. Se ne parla da decenni senza mai arrivare al dunque. Mentre, per esempio, Lombardia ed Emilia Romagna si sono dotate degli strumenti normativi adatti ed efficienti. Risultato: se passasse la riforma in Lombardia torneremmo indietro, verso una maggiore libertà di consumo di suolo. Penso ci sia troppa retorica sull’efficienza del nuovo assetto costituzionale.

La riforma mette mano anche su un punto su cui l’opinione pubblica è molto sensibile: quello dell’efficienza della finanza pubblica, su cui molte amministrazioni locali e regionali sono recentemente scivolate.

Sì, ma lo si fa introducendo la clausola di supremazia statale, che potrà essere esercitata senza limiti e senza le necessarie garanzie. E questo va contro il principio generale contenuto nell’articolo 5 della Costituzione che non viene toccato, quello che “riconosce e promuove le autonomie locali”. In questo modo avremo un nuovo testo costituzionale che si contraddice tra prima e seconda parte. Per responsabilizzare maggiormente le amministrazioni locali si poteva rafforzare il sistema dei controlli dando maggior spazio alla Corte dei Conti e attribuire poteri ispettivi al Senato, per esempio.

I Sì parlano di una riforma precondizione per un Paese moderno: chi governa avrà la responsabilità delle decisioni e sarà valutato dagli elettori sui risultati.

In realtà, in abbinamento con la nuova legge elettorale, si dà il potere ad un partito che rappresenta la maggioranza della minoranza. I modelli moderni di democrazia puntano invece su un maggior coinvolgimento dei cittadini nell’arena decisionale. Qui ci si limita ad operare nei limiti di una democrazia rappresentativa, un modello più Ottocentesco che moderno. Per questo parlo di riforma rinunciataria.

 

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