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“Tutte le Università devono fare i conti con la sfida del cambiamento dei modelli formativi. Ogni realtà accademica, piccola o grande, che voglia stare al passo coi tempi non può non porsi il problema di affrontare l’obbligo di innovare il modo stesso di fare lezione”. Per chi legge, Federico Visconti è rettore della LIUC – Università Cattaneo da pochi giorni. Chi scrive lo ha, invece, incontrato tre mesi dopo la sua nomina, avvenuta ad inizio luglio, e poche settimane prima dell’ufficiale entrata in carica. Una chiacchierata, più che un’intervista. Partita dall’analisi delle sfide che ha di fronte a sé l’Università italiana.

L’attività di ricerca come patrimonio per tutto un territorio. Le sfide di una didattica in profondo mutamento. La capacità di rispondere più velocemente ai cambiamenti del mercato del lavoro. Lo stretto legame con le imprese “parte del nostro Dna”. Faccia a faccia con Federico Visconti, il nuovo rettore della LIUC – Università Cattaneo
Da dove si comincia professore?
Dalla constatazione che il modello delle semplici lezioni in aula, degli esami concentrati tutti in un determinato lasso di tempo per laurearsi prima e più in fretta funziona sempre meno. Stanno cambiando le aule e le tecnologie che in esse possono essere impiegate. E di conseguenza anche lo stesso approccio all’insegnamento e all’organizzazione di una lezione. I nuovi metodi didattici fanno sempre più leva sui laboratori.

Qualche esempio particolarmente innovativo su questo fronte in Italia?

Non bisogna andare molto lontano. Basta rimanere qui alla LIUC. Dove gli studenti di giurisprudenza, ad esempio, possono cimentarsi nella simulazione di un’aula di tribunale. O dove quelli di ingegneria gestionale possono fare pratica sulla fabbricazione digitale e i cambiamenti che essa porta nelle aziende, attraverso il laboratorio SmartUp. Ancora, dove quelli di Economia si misurano con l’analisi di casi aziendali e strumenti finanziari.

Quali sono gli altri asset sui quali lei come rettore punterà?

Quello dell’internazionalizzazione è un altro nostro fiore all’occhiello da difendere coi denti. Penso alla decina di double degree che possiamo vantare, ai corsi interamente in lingua inglese, alle 120 partnership strette con le Università di tutti i continenti. Altra sfida è quella della cinghia di trasmissione tra attività di ricerca applicata e didattica. Ossia quella di essere uno strumento di sviluppo del know how delle imprese, soprattutto piccole e medie, come sta accadendo sul fronte della fabbricazione digitale e dell’imprenditorialità.

L’Università nata dalle imprese per le imprese. È ancora così?

Certo, è questo un asset su cui facciamo e continueremo a fare leva. È nel nostro Dna. Il nostro elemento distintivo è proprio il legame con le imprese che ci permette di essere più reattivi ai costanti cambiamenti del mercato del lavoro. Capacità che dà ai nostri laureati un maggiore occupabilità. Nel collegamento tra mercato occupazionale e preparazione dei ragazzi il mondo universitario è spesso meno reattivo all’evoluzione dei mestieri e delle professioni. Penso, però, che la LIUC, sia in questo scenario un’eccezione. La vicinanza con le aziende e il sistema produttivo ci dà una marcia in più, come dimostrano i risultati del nostro placement, tra i migliori in Italia.

Provincia di Varese, ma non solo. L’obiettivo della LIUC è sempre stato quello di incrementare le iscrizioni dei ragazzi che vengono da tutta Italia. Come differenziarsi in una concorrenza con atenei ben più storici e legati a città e zone del Paese dalla tradizione universitaria più radicata?

I giovani oggi devono fare i conti con un’offerta di studi universitari che è proliferata molto negli ultimi anni, sia per quanto riguarda i corsi, sia per quanto riguarda le sedi tra le quali scegliere. In questo universo sempre più complesso la LIUC ha il vantaggio di poter spendere un’identità forte di Università legata al mondo delle imprese e all’economia reale. Molti atenei, per esempio, si stanno spostando verso attività di ricerca sul campo internazionale, perdendo di vista il mondo della piccola e media impresa italiana. È questa una crepa nella quale noi ci inseriamo perfettamente.

A parte la qualità didattica, come si misura capacità di un’Università come la LIUC di essere patrimonio comune di un intero territorio?

Basta pensare alle risorse umane che abbiamo formato e che ora lavorano in molte aziende della provincia di Varese, così come ai numerosi ragazzi del territorio che si sono formati alla LIUC e che ora lavorano nelle più importanti multinazionali italiane ed estere. Ci sono poi le numerose collaborazioni che, come Università, stiamo portando avanti con le scuole superiori di quest’area, senza contare la pubblicazione di studi e ricerche, molte delle quali con focus sulla competitività della provincia.

Con quali risultati sull’opinione pubblica locale? Secondo lei la provincia di Varese vede nelle sue due Università un patrimonio?

Più che la risposta mi preme ciò che un tale quesito implica. Come comunicare questo nostro patrimonio? Come riempire quelle autostrade di comunicazione che la società dell’informazione ci apre, quando tutti i messaggi vengono bruciati in pochi minuti. Quando ciò che dice il Presidente del Consiglio alle 14.15, viene bruciato dalla dichiarazione di uno dei leader dell’opposizione alle 14.35. È in questo flusso continuo di informazione che ci dobbiamo saper fare strada per affermare il nostro ruolo. La nostra capacità di essere patrimonio non solo per i nostri studenti, ma per tutto il territorio. Anche questa rappresenta una delle più importanti sfide che abbiamo di fronte a noi nei prossimi anni.


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