Varese-è-nel-Pentagono-dello-sviluppo

È l’area che tra Lombardia, Emilia-Romagna e Nord-Est ha ormai preso il posto del vecchio triangolo industriale e che sta trainando il Paese, crescendo a ritmi europei. Il Varesotto ne fa parte, ma la sfida del prossimo decennio è restarci. Ce la farà?

‘‘Circolare, perché avremo saputo reinterpretare in chiave sostenibile la nostra manifattura. Digitale, perché saremo stati in grado di prevedere e governare le trasformazioni imposte dalla rivoluzione 4.0. Internazionale, perché avremo riposizionato il tessuto industriale nelle nuove catene mondiali del valore. Strategica, perché Malpensa sarà arrivata a muovere 35 milioni di passeggeri all’anno. Inclusiva, perché saremo riusciti ad affermare l’impresa come luogo di riscatto sociale delle persone”. È ciò che diventerà Varese nei prossimi anni secondo le previsioni e le intenzioni degli imprenditori del territorio. A disegnare il nuovo skyline varesino sulla tela del futuro è stato di recente lo stesso Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, Roberto Grassi: “Solo così potremo confermare il Varesotto come uno dei principali motori dell’economia italiana”, ha spiegato ai giornalisti durante la conferenza stampa di inizio anno. D’altronde i colori sulla tavolozza per arrivare al disegno che gli industriali hanno in mente, Varese li ha tutti. Il disfattismo che spesso permea l’opinione pubblica del “si stava meglio prima”, non può cancellare i 5 punti di forza che il territorio può ancora vantare: un’alta densità imprenditoriale misurabile con un numero di imprese manifatturiere per chilometro quadrato che è 2 volte più elevato della media lombarda e 7 volte quella italiana; un distretto industriale multi-filiera di eccellenza che vede Varese classificarsi tra i primi territori per numero di addetti in 32 nicchie produttive; una vocazione all’innovazione misurabile col fatto di essere la quinta provincia in Italia per addetti nei settori high-tech, con l’aerospazio che fa da traino; una forte apertura internazionale certificata da un valore di export annuale che colloca Varese tra le prime 12 province esportatrici italiane. Primati economici a cui si lega la collocazione geografica strategica che vede Varese e Malpensa al centro delle traiettorie dei principali corridoi infrastrutturali europei (Nord-Sud: Rotterdam-Genova; Est-Ovest: Kiev-Lisbona).

Il Presidente Univa, Roberto Grassi: “Nei prossimi anni Varese dovrà diventare circolare, digitale, internazionale, strategica, inclusiva. Solo così ci confermeremo locomotiva del Paese”

La strada, però, non è in discesa. Sul cammino le imprese varesine hanno più di un ostacolo. Per esempio la politica. Quella che dovrebbe, se non proprio aiutarle, quanto meno agevolarle nell’interesse generale di creare ricchezza e occupazione. E che, invece, con un’azione di governo e una proposta programmatica di opposizione entrambe sempre dettate da uno stato di campagna elettorale permanente, non lascia spazio a una politica economica di lungo periodo. A cui si accompagna un clima generale contrario all’impresa “come abbiamo toccato con mano – denuncia Grassi – anche con l’ultima manovra che ha introdotto la Plastic Tax e la Sugar Tax”. Non proprio il clima migliore per far fronte a un rallentamento economico ormai certificato dai numeri e dai fatti. Anche in provincia di Varese, dove l’andamento è forse migliore che in altri territori, ma non certo brillante. L’Ufficio Studi dell’Unione Industriali varesina ha, infatti, registrato che il 2019 si è chiuso con un tasso di utilizzo degli impianti in calo di 2 punti percentuali e con solo il 28% delle imprese che ha aumentato la produzione rispetto ai mesi autunnali. E l’avvio del 2020 non sarà migliore. Le imprese che prevedono una produzione in crescita sono ancora meno: il 27%. 

Fin qui la congiuntura. Ma, come detto, rimangono intatti i punti di forza strutturali dell’economia varesina. Certificati anche dal forum economico Fondazione Nord-Est che in una recente ricerca ha collocato la provincia all’ombra delle Prealpi all’interno di quello che ha ribattezzato il nuovo Pentagono dello sviluppo. Un’area locomotiva del Paese che ha ormai sostituito il vecchio triangolo industriale. A farne parte sono tutte le province di Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Un Pentagono che traina l’Italia e di cui Varese rappresenta, cartina in mano, proprio l’angolo più a Ovest. Un Pil pro capite tra i 33 e i 43mila euro. Un tasso di disoccupazione sotto il 6,7%. Un’apertura commerciale calcolata come la somma dei livelli di import ed export in rapporto al Pil, tra il 53 e il 66%. Questi gli elementi che una provincia deve avere per rientrare nel Pentagono. E che Varese soddisfa.

“Nonostante la crisi – spiega Carlo Carraro, professore di Economia Ambientale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia – il Pentagono è caratterizzato da livelli di sviluppo mitteleuropei, area in cui è completamente integrato e da cui non può prescindere. Né tanto meno uscirne. Ed è riuscito a far fronte alla carenza di capitale umano qualificato (accentuata dalla forte migrazione di talenti all’estero) e di investimenti puntando su coesione sociale, export, innovazione”. Varese, così come il resto del Pentagono, hanno insomma indici economici vicini ai più sviluppati territori tedeschi e austriaci e superiori a quelli di altre regioni fortemente industrializzate di Francia e Gran Bretagna. Ma non ci sono solo gli indici economici a fare la differenza nel Pentagono. La sostenibilità è un altro elemento dirimente. E anche qui Varese, con una raccolta differenziata che si attesta tra il 53% e il 66% sul totale dei rifiuti urbani, è su livelli ben superiori a quelli che nell’immaginario collettivo sono i Paesi patria dell’economia circolare: quelli scandinavi. E invece, udite udite, la loro media nazionale di rifiuti riciclati è la metà di quella varesina. Ecco un altro punto di forza troppo poco preso in considerazione da una Varese che spesso si pone allo specchio con uno sguardo ingeneroso.

Certo, non va tutto bene. Margini di miglioramento ce ne sono. Per esempio, sul fronte degli investimenti fissi lordi che, con una forchetta tra il 16,3 e il 18,4%, sono sotto di 10 punti percentuali rispetto ai motori economici europei. Stesso gap lo si vede nella quota di popolazione con una laurea che è tra il 18 e il 22%. Troppo basso rispetto, per esempio, al 40% dei Lander più industrializzati della Germania. Eppure, come spiega ancora nella sua analisi di illustrazione dello studio della Fondazione Nord-Est, il professore Carlo Carraro, il comune denominatore della resilienza dei territori che sono usciti dalla “loro crisi” sembra proprio essere “la presenza di una forte rete di centri di ricerca e università che hanno saputo integrarsi col tessuto produttivo. Un’osservazione importante per capire come costruire un futuro resiliente per le regioni del Pentagono”.

E dunque, continua Carraro, “se questa ipotesi fosse confermata, la città di Milano sarebbe ben posizionata con 10 tra università e accademie”. E che dire allora di un territorio come Varese più piccolo e con ancor meno abitanti che conta ben 2 atenei, uno dei quali, quello della LIUC – Università Cattaneo, nato proprio per volontà del sistema produttivo?
Le 2 Università: la LIUC da una parte, l’Insubria dall’altra. Ecco, dunque, la leva su cui le imprese e il territorio possono far forza per affrontare le sfide che il contesto pone ai primati economici varesini. È una vera e propria onda d’urto quella che dovrà essere affrontata nel prossimo decennio. A parte la fibrillazione politica che da sempre caratterizza l’Italia, ci sono anche le partite da giocare a livello europeo con il Green New Deal lanciato dalla nuova Commissione europea appena insediatasi; la Brexit che pone al di fuori della Ue una Gran Bretagna che è il quinto mercato di sbocco del made in Varese; la frenata della Germania, primo partner commerciale dell’industria varesina. E poi ancora c’è il livello mondiale: con la sfida ormai aperta che lancia la Cina al primato tecnologico e industriale occidentale; con la politica commerciale di chiusura degli Usa, attraverso i dazi; con la frenata del commercio internazionale. 

Si riparte da qui. Rimanere nel Pentagono non sarà facile, ma non è una missione impossibile. “Dobbiamo puntare su innovazione, internazionalizzazione e sostenibilità”, è la chiosa di Grassi.



Articolo precedente Articolo successivo
Edit