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Una mostra al castello di Masnago racconta l’arte e il genio di Guttuso, attraverso l’archivio e i diari dell’amico Nino Marcobi, che per il Maestro era anche collaboratore, confidente, segretario, procacciatore di colori e di oggetti per dipingere e persino modello. Una preziosa testimonianza in grado di svelare particolari e dettagli della vita privata e professionale del pittore in quel di Velate

Ancora una mostra dedicata a Guttuso, che segue di pochi anni la rassegna di Villa Mirabello imperniata sulla collezione Pellin. Ma questa volta la rassegna si svolge al Castello di Masnago, sede museale delle opere di arte contemporanea, dal 17 giugno al 20 novembre, a cura di Serena Contini e di Fabio Carapezza Guttuso. La novità dell’evento, che si sposterà in seguito a Palermo, è nella possibilità di avvicinare il Maestro, svelando in sette sale molti aspetti inediti della ideazione e realizzazione di alcuni telieri, le opere su tela di vaste dimensioni nate nello studio velatese. Attraverso i fedeli diari, gli appunti e le fotografie di Nino Marcobi, amico vero. Di lui il Comune di Varese custodisce, per volontà della famiglia che ne ha fatto dono, l’archivio. “Gott Mit Uns” (1943), “Van Gogh porta l’orecchio tagliato al bordello di Arles” (1978), “Giocatori di scopone” (1981) e una riproduzione di “Vucciria” (1974) sono alcuni dei lavori in mostra. 

L’amicizia tra Guttuso e Marcobi era sbocciata all’inizio degli anni ‘60, nel corso di una serata organizzata dall’Anpi di Varese per commemorare il fratello di Nino, il partigiano Walter Marcobi, martire della resistenza varesina. Fu una delle importanti amicizie maturate nel Varesotto, dacché Renato e la moglie, Mimise Dotti, avevano scelto di far loro per sempre quella casa di Velate, da lei in parte ereditata. Che, acquistata in toto, divenne per l’artista “la casa più amata”, in un luogo di serenità e tranquillità. “Trovai che il posto era bello, il paesaggio completamente diverso da quello siciliano, così lontano dalle mie passioni, mi tranquillizzava, mi riconduceva a me stesso. Così ho incominciato a innamorarmi dei luoghi. La gente mi piaceva, i rapporti umani erano buoni, semplici, puliti”. Da allora i due amici furono ogni giorno presenti uno nella vita dell’altro, nelle pause estive da metà maggio a metà ottobre. “Difficile per i curatori definire il ruolo di Nino: amico, collaboratore, confidente, segretario, non ultimo procacciatore di colori e di oggetti per dipingere. E persino modello”.

Del celebre quadro “Giocatori di scopone”, il Marcobi, che ne fu modello con altri tre amici, racconta la genesi nei suoi appunti. Il 25 luglio 1981 Guttuso lo fece posare mentre teneva cinque carte in mano. Riferisce puntualmente Marcobi che l’artista incentrò la sua attenzione sulle mani e sul tavolo, ove pose il tre di denari e l’asso di bastoni. Poi gli scattò alcune foto, in quattro diverse posizioni. Riprese il 6 agosto e a posare furono altri tre amici, compagni di scopone. Erano Isidoro Canfarotta, un siciliano tuttofare che seguiva il Maestro nei suoi spostamenti tra lo studio di Roma, quello di Palermo e quello velatese, nonché procacciatore del pescato freschissimo utilizzato per l’opera “Vucciria”, il fotografo tarantino Pino Settanni, con cui il pittore realizzò alcuni libri fotografici e Nereo Chiarotto, un ricercatore in campo tessile. Per lui il pittore di Bagheria realizzò la copertina di un libro “Apparecchi e prove d’analisi. Microscopia tessile”. Tra il 6 e il 7 agosto Renato fece posare Nereo e Isidoro, dopo aver raccontato che la notte non aveva dormito. Alle 11 aveva già dipinto Isidoro e Pino e il tappeto del tavolo, mentre intorno, ricorda Marcobi, “c’era Michael (von Graffenried) che sparava foto (...). Poi Guttuso passò alla mia testa e nel frattempo declamò una filastrocca: testa pelada l’ha fa i tortei e ghe ne da mia ai so fradei..., ma non se la ricordava bene. E poi ancora passava dalla maglietta rossa di Pino a quella di Isidoro”. Gli appunti di Nino sul dipinto raccontano anche dell’inserimento, nel gruppo rappresentato, della figura della donna alata, chiara citazione di Dürer della Melanconia I. 

Non è il solo momento della mostra in cui si può percepire davvero l’idea di penetrare, grazie agli scritti di Marcobi, in quello studio e nella stessa opera, come in uno spettacolo di altissima regia: dove Guttuso è insieme protagonista, direttore artistico e primo spettatore di quella scena che gli si va animando intorno. Segno che l’insieme della rassegna concepita dai curatori è il risultato di un lavoro di scavo, di intuito e studio. Ma è anche gioco, lo stesso gioco magico che si anima al centro della scena rappresentata dal maestro, dove tutto sembra casuale ma tutto ha un senso ben definito. Solo per cogliere questa percezione che deriva dall’emozionante sequenza di segno e parola tracciata dai due amici, la mostra avrebbe una sua alta giustificazione. C’è qui tutto il senso di un cercare, di un frugare tra arte e vita, frutto dell’intelligenza dei due curatori Contini e Carapezza Guttuso. Di chi, giocando a propria volta contro le avversità di un momento non facile, scava con le unghie nel solco della vita: per scoprire sangue e viscere dell’arte e ritrovare quei protagonisti che ancora sono qui tra noi, vivi nelle loro amicizie, nei loro diversi destini, nelle loro ricerche di un’esistenza lieve ma insieme profonda. Grazie, dunque, di queste parole restituite, che accompagnano, attraverso i cartelli esplicativi, il percorso del visitatore, con tanta lucidità e volontà di esplorare tra le quinte. E mostrano Velate come un cenacolo di accoglienza, non solo delle “più intime rutilanti visioni” del Maestro, ma anche delle più sentite amicizie.

“Guttuso dipinge, corregge, ripassa, torna indietro mentalmente prima di metter giù i colori. Il numero delle persone che lo accudiscono prende posto dalle prime ore della giornata, per concludere a notte fonda il proprio animale tepore e fervore quando, svogliato di separarsi, il re abbraccia per l’ultima volta tutti, come Ciro le sue truppe. La città e dintorni sono già addormentati da un pezzo, ma presso di loro il sangue è vivo. Ciascuno, a malincuore, si dirige verso un sonno finalmente solitario”. Sono in mostra, accanto alle opere, anche le fotografie che svelano sottotraccia i ripensamenti dell’artista. Tra i più significativi sono proprio quelli del volto dell’amico Nereo nell’opera che abbiamo ora raccontato. Fu il ritratto che gli diede più da fare. Lo pensò prima del tutto visibile, poi solo in parte, infine lo ripropose nella sua integrità. Anche la figura di Pino fu portata in una diversa posizione rispetto al tavolo. Così come i capelli si fecero chiari da scuri, per virare infine al nero corvino. 

La notissima opera “Spes contra Spem”, capolavoro dipinto proprio in quel di Velate, ci racconta ancora di fondamentali ripensamenti. Inizialmente Guttuso aveva dipinto un drappo rosso in alto, al centro dell’opera, ispiratogli dalla “Resurrezione” di Matthias Grünewald. Lo scopo era di creare una cesura scenografica, importante, tra la parte dedicata alla notte e alla morte e quella dedicata all’alba e alla vita. Ma, recatosi a Colmar per valutare l’opera di persona, il Maestro si accorse che il suo drappo non era invece significante da un punto di vista artistico. Lo eliminò senza più dubbi. Anche di questo ripensamento il fedele Nino ha tenuto testimonianza, come la mostra rivela. E la sua vigile, paziente presenza è raccontata a sua volta proprio in “Spes contra Spem”, dove Guttuso lo ritrasse, pensoso e già minato dalla malattia, in piedi. Alle sue spalle sono Guttuso e Mimise. Lo scelse come primo modello, parole sue, in quel complesso quadro di riflessione sulla vita e sulla morte, sul passato e sul futuro. E sulle amicizie vere, di persone semplici.  

I TEMPI DELLA PITTURA
Cronografia di opere di Guttuso dipinte a Velate
L’archivio di Nino Marcobi

Museo arte Moderna e Contemporanea 
Castello di Masnago

Via Cola di Rienzo 40, Varese
Dal 17 giugno al 20 novembre 2022
Da martedì a domenica, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.00

 

Alcune delle opere in mostra



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