110 Confindustria.jpeg

Dalla fondazione a Torino nel 1910, fino all’approvazione del Piano Industria 4.0. In questi 110 anni le battaglie della Confederazione Italiana dell’Industria si sono intrecciate con le sfide del Paese. Tra anni bui e di piombo, “boom” economico e riposizionamento delle imprese sui mercati internazionali

‘‘Potremmo riassumere il lavoro svolto in questi oltre 100 anni con una frase: amore per il Paese e passione per il lavoro. Un viaggio tortuoso, a tratti in salita e, raramente, in discesa. Una storia complicata quella di Confindustria, che si intreccia con quella del nostro Paese. Oggi l’Associazione persegue una strategia economica di medio periodo che prevede investimenti nelle infrastrutture e nel terziario avanzato, nell’istruzione e nella ricerca, nel welfare integrativo, nello sviluppo inclusivo e nella sostenibilità ambientale, costruendo un percorso di politiche volte a sostenere gli investimenti delle imprese in innovazione e tecnologie cosi come si e concretizzato nel recente Piano Industria 4.0”. Che qualcuno, con poca lungimiranza, ha voluto smantellare aggiungiamo noi. E comunque con queste parole che il Presidente Vincenzo Boccia ricorda cos’e oggi Confindustria. Sono passati esattamente 11 decenni. Tra cambiamenti sociali, economici e politici. Celebrati in un recente evento a Torino.

Ma partiamo dal principio. Un luogo e una data di nascita: Torino, appunto, 1910. E proprio in quegli anni che nasce la Confederazione Italiana dell’Industria, con lo scopo di coordinare a livello nazionale, l’azione degli imprenditori. Un’unione che sente l’esigenza di portare l’Italia un passo avanti, verso la modernità. Una lotta che e filo conduttore della sua storia. Da Paese ancora acerbo e agricolo, a potenza manufatturiera. Dedizione e determinazione sono stati gli ingredienti per la buona riuscita dell’Associazione. Principi ai quali, Luigi Bonnefon, primo “capo locomotiva”, ha creduto fortemente. E nel 1919 che Confindustria si trasferisce a Roma. Il paese e in ginocchio per la guerra. La crisi economica dilaga senza freni. Ed e proprio in un clima cosi aspro e ostile che si consuma l’agonia dello stato liberale e si creano le condizioni per l’avvento del fascismo. Sono tempi bui. Autarchia, ruralismo e antiurbanesimo negano i principi stessi del capitalismo industriale. Ci sono tutti i presupposti per l’instaurazione di un regime dittatoriale. Nel 1925 viene sottoscritto il patto di palazzo Vidoni, tra Confindustria e la Confederazione delle corporazioni fasciste che, di fatto, elimino il sindacato libero.

È nel 1919 che Confindustria si trasferisce a Roma. Il paese è in ginocchio per la guerra. La crisi economica dilaga senza freni. Ed è proprio in un clima così aspro e ostile che si consuma l’agonia dello stato liberale e si creano le condizioni per
l’avvento del fascismo

Una policy del: “Tutto dentro allo Stato. Niente fuori dallo Stato”. La stagione storica fascista si chiude con la fine del secondo conflitto mondiale e con la caduta del regime. Nel dopoguerra l’Associazione degli Industriali ha un obiettivo chiaro e forte: risollevare il Paese dalle devastazioni belliche. Rinascere dalle ceneri non e certo un’impresa facile. E questa rinascita comincia con Angelo Costa, Presidente di Confindustria dal 1945 al 1955, la prima volta e dal 1966 al 1970, la seconda. “L’Italia e una startup di successo e Confindustria ne e il motore”. Cosi l’economista Innocenzo Cipolletta (Direttore Generale di Confindustria tra il 1990 e il 2000) chiosa il legame tra gli industriali e l’Italia. Negli anni centrali del secolo, l’Associazione si batte per la liberalizzazione degli scambi, per il ripristino dei meccanismi di mercato e per la valorizzazione dell’iniziativa privata. “Il Presidente Costa, nonostante i conflitti e le difficoltà, rimase alla guida e resistette. Prima le fabbriche, poi le case. Bisognava ripartire dalle industrie, per ricostruire il tessuto del Paese”, commenta lo storico Rosario Forlenza. Gli anni ‘50 e ‘60 dello scorso secolo sembrano portare una ventata di aria fresca in mezzo a tanto fumo. Entusiasmo e voglia di crederci ancora.

Grazie alle aziende del Nord Ovest, l’Italia inizia a camminare o meglio a correre, verso la giusta direzione. Il Pil, tra il 1958 e il 1963, cresce a un tasso medio annuo del 6,5%. Una spinta in avanti che deve sicuramente tanto alla politica del libero scambio, alla pressione fiscale sostenibile ma anche al basso livello dei salari. Confindustria, segue da vicino queste vicende e sostiene il “boom” degli anni d’oro contrapponendosi, pero, alle decisioni politiche di programmazione economica della coalizione di centro-sinistra. Politiche che portano, nel 1962, alla nazionalizzazione dell’energia elettrica. E se da un lato la prosperità si prende un piccolo posto nel capitolo italiano, contemporaneamente la classe operaia e mossa da agitazioni. Malumori che non si arrestano neanche davanti al varo dello Statuto dei Lavoratori nel 1970. Si apre un decennio amaro, che deve far fronte a continue e nuove difficoltà. Sequestri, attentati, gambizzazioni, omicidi e stragi. Questo e il nuovo scenario che travolge letteralmente l’Italia. Anni duri, “anni di piombo”. “Confindustria in quella fase storica cerca di mantenere un equilibrio, ma le tensioni sono alte. Gli imprenditori vengono attaccati da una vera e propria cultura antindustriale”, ricorda lo storico Forlenza. Il vento ha cambiato rotta già da un po’.

Alla guida della macchina confindustriale arriva, nel 1976, Guido Carli, fino a poco prima governatore della Banca di Italia. Un cambio di direzione decisivo. Non un imprenditore, non un industriale. Un uomo di spessore che ha saputo rappresentare una categoria sotto accusa. Riaffermandone il ruolo nella società e traghettandola verso il nuovo millennio. Ce lo ricorda anche il politologo Marc Lazar nel balzo storico che ci porta agli anni ‘90: “Il ruolo di Confindustria nell’ultimo decennio del secolo e fondamentale. In particolare, due le partite da giocare: l’adozione della moneta unica da una parte e il problema dell’invecchiamento della popolazione italiana da governare dall’altra”. Ma che risultati e riuscita a portare a casa questa nuova Confindustria? Sicuramente una riorganizzazione generale dal punto di vista dell’economia, del mercato e anche della politica. Una nuova era, fatta di trasformazioni e innovazioni. Protagoniste le informazioni e le competenze. Grazie all’export e al rinnovo tecnologico, specialmente nel settore dell’automotive. Le Pmi si affermano sempre più come spina dorsale del Paese. Confindustria ribadisce cosi con forza il principio di centralità d’impresa. Il nuovo millennio si apre all’insegna dell’introduzione della flessibilità nelle relazioni industriali. Ma nonostante l’entusiasmo, il sistema economico italiano soffre. Tra contrattazione e confronto politico, la Confederazione si impegna a modellare la struttura organizzativa, a partire da se stessa. Servono agilità, stabilita ma soprattutto competitività. Sboccia il concetto della difesa del made in Italy, come asset strategico per il sistema produttivo italiano.

Il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: “Potremmo riassumere il lavoro svolto in questi oltre 100 anni con una frase: amore per il Paese e passione per il lavoro. Un viaggio tortuoso, a tratti in salita e, raramente, in discesa”

La Confindustria di oggi, come ricorda Vincenzo Boccia, e quella della digitalizzazione, degli investimenti, della sostenibilità ambientale e della formazione. Ma quale sarà il futuro degli industriali? E soprattutto quale la mission del prossimo decennio? Sicuramente bisogna riprendere a tessere una tela che presenta diversi buchi. Ma non solo. “Rispettare lo sviluppo e la crescita ambientale e ricostruire la fiducia. Perche senza fiducia non c’e ripresa. E poi lo sguardo costante al futuro e alle innovazioni”, suggerisce Marc Lazar. Il linguaggio degli imprenditori e da sempre forte ma moderato al tempo stesso. Un linguaggio lineare e rispettoso degli altri. “Non e questione di stile, ma di responsabilità”, continua il Presidente Boccia. “Più crescita e meno debiti. Il lavoro al centro. Non dimenticandoci mai di ascoltare, comprendere e dialogare. Essere i protagonisti senza protagonismo”: questa la mission. Ripercorrendo la storia di Confindustria, raccontata dalle voci dei Past President, raccolte nei video realizzati in collaborazione con Rai Storia, ci si rende conto che le parole di decenni fa non sono poi cosi lontane. Cosa ci dice questo? Che il pensiero di Confindustria sui propri valori non e mai cambiato. Gli industriali della prima, seconda, terza e dell’attuale quarta rivoluzione sono quelli di sempre. Alimentare il cuore manufatturiero. Partendo dalle persone e dalle aziende e passando per le infrastrutture e i territori. Nell’interesse generale di un Paese la cui storia si intreccia con quella delle sue imprese.



Articolo precedente Articolo successivo
Edit