“Una semplice influenza”: la frase riecheggia ancora. Poi i dati, il dramma, la pandemia. Ma non è vero che all’inizio dell’emergenza Coronavirus la comunità scientifica fosse divisa. Le conclusioni affrettate di pochi “bastian contrari”, alimentate da alcuni media, non hanno mai scalfito la certezza diffusa nella gran parte della comunità scientifica che non bisognasse sottovalutare Covid-19

Soprattutto all’inizio dello scoppio dell’emergenza sanitaria ha aleggiato una domanda nell’opinione pubblica: perchè stavolta la scienza si è divisa? Ora, però, a mente più fredda, sarebbe meglio riformulare il quesito: sul Coronavirus la scienza si è davvero divisa? No, la scienza non si è divisa. Si sono divisi gli scienziati. Ma come a volte succede fa più “rumore” la voce di un “contrario” che 1.000 voci comuni su una medesima linea. Prima di capire cosa è successo con Covid-19, facciamo un esempio molto attuale che riguarda il clima. La quantità di anidride carbonica che negli ultimi decenni stiamo immettendo nell’atmosfera non ha precedenti negli ultimi 800.000 anni. È un dato di fatto inequivocabile. Mentre le variazioni di anidride carbonica nell’atmosfera non hanno mai superato le 5 parti per milione al secolo (come valore massimo, ma la media è di 2 parti per milione) negli ultimi 100 anni vi è stato un incremento di 120 parti per milione. Come avrebbe potuto ciò non far aumentare la temperatura terrestre visto che l’anidride carbonica è un gas serra? Ed infatti, la temperatura è cresciuta di oltre un grado. Questi sono dati indubbi, con altrettante ricadute inequivocabili: fusione dei ghiacci, aumento dell’energia nell’atmosfera e altri fenomeni che tutti conosciamo e sperimentiamo. Eppure, ci sono “scienziati” che trovano appigli per “dimostrare” che tutto ciò non è vero, che non sta in piedi. Affermazioni che vengono categoricamente smentite dalla maggior parte degli scienziati con dati alla mano. Ma un’affermazione dei “bastian contrari” fa molto rumore, soprattutto se qualche giornalista (inesperto in materia) fa da gran cassa.

Cosa è successo con Covid-19? Fin dalle prime avvisaglie dalla Cina arrivavano notizie e appelli su come comportarsi. Si sapeva che questo coronavirus non sarebbe stato come una semplice influenza, perché contro di esso l’uomo non ha alcuna difesa. Si sapeva che la sua capacità di diffondersi era molto forte. I numeri dalla Cina lo dicevano senza ombra di dubbio. Si sapeva inoltre, che attaccando corpi deboli, anziani o con patologie pregresse, portava le persone alla sala di rianimazione. Lo si sapeva benissimo, perché era sufficiente fare una telefonata in un ospedale cinese per riceve queste indicazioni che non venivano nascoste a nessuno. Ma cosa è successo in Italia per far sembrare che la scienza si fosse divisa? Molto semplice: qualche virologo ha pensato bene di sottovalutare la forza del virus e di affiancare a Covid-19 l’idea che fosse una semplice influenza, “certo da non sottovalutare”, diceva, ma influenza e nulla più. Tutti gli altri virologi invece, consci della reale situazione, erano d’accordo su una linea ben diversa, quella che aveva alle spalle ciò che era già accaduto in Cina e che alcuni articoli scientifici dimostravano. Lì c’era stato “l’esperimento” (non voluto) di quel che poteva causare la diffusione del virus.

Una cosa è il caso mediatico, un’altra è il metodo scientifico: fare un’ipotesi, sperimentare, trarre conclusioni. Da subito è stato chiaro alla scienza la capacità del virus di diffondersi molto velocemente: i numeri dalla Cina lo mostravano senza ombra di dubbio

E si sa, la scienza ha bisogno di esperimenti per avere conferme e non di semplici idee o pensieri propri.  La scienza sperimentale diceva che, se si fosse voluto bloccare la diffusione del virus, sarebbe stato necessario isolare le persone, bloccare le attività, impedire i contatti, fermare tutto. Si levò, però, la parola di pochi che incoraggiarono l’idea che “questa emergenza è una follia, si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale” (venne detto da alcuni ricercatori il 23 febbraio); oppure: “non voglio sminuire il Coronavirus, ma la sua problematica rimane appena superiore all’influenza stagionale” (venne detto l’1 marzo). Ma no, la scienza, nonostante queste sporadiche affermazioni amplificate da alcuni media, non si è divisa. La scienza ha percorso un cammino preciso. Possiamo dire che all’inizio gli scienziati possono non essersi resi conto immediatamente della gravità della situazione, ma poi i dati e le ricadute sono stati tali da non lasciare adito ad ipotesi alternative. Ma qualcuno ha pensato di trarre conclusioni affrettate. Forse per protagonismo? Di certo c’è solo che è passata l’idea che la scienza si sia divisa, che la parola di pochi potesse valere quella di molti.

Ma le opinioni non valgano quanto i dati. No, la scienza non si è divisa. Si sono divisi gli scienziati. La scienza si è trovata di fronte a qualcosa di inusuale che ha faticato a capire e a comprendere, mentre alcuni “scienziati” hanno scelto di trarre subito delle conclusioni senza sottostare a quel che la scienza chiede sempre: fare un’ipotesi, sperimentare, trarre conclusioni. Chi ha seguito questa strada, ad esempio sequenziando coronavirus 2019-nCoV ha confermato la sua origine nei pipistrelli e ha mostrato che il virus è poco mutabile. Al tempo stesso è stato però individuato un punto di elevata variabilità nelle proteine del virus, con l’esistenza di 2 sottotipi virali.

Lo studio, pubblicato sul Journal of Medical Virology, è stato guidato da Federico Giorgi, ricercatore di bioinformatica al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna. I ricercatori hanno confermato la probabile origine del Coronavirus da una variante animale: il parente più stretto dei virus isolati corrisponde infatti, alla sequenza EPI_ISL_402131 di un coronavirus di Rhinolophus affinis, un pipistrello asiatico di medie dimensioni, rinvenuto nella provincia dello Yunnan (Cina). Il genoma del nuovo coronavirus umano condivide almeno il 96,2% di identità con il suo probabile progenitore nel pipistrello, mentre si discosta molto di più dal genoma del virus umano responsabile della Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome), con una somiglianza dell’80,3%. Questa è scienza, le opinioni no.  

 

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