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La gestione delle criptovalute come i Bitcoin, il controllo delle tracciabilità e autenticità dei prodotti, l’organizzazione delle supply chain, la diffusione delle opere d’arte. Il campo di applicazione delle blockchain si sta ampliando a macchia d’olio e il termine è sempre di più sulla bocca di tutti, anche se a volte a sproposito. Ma di cosa stiamo parlando? In cosa consiste questa tecnologia? 

Quando pensiamo a un database, siamo soliti immaginare un registro, una lista, o anche una grande tabella, in cui inseriamo e organizziamo delle informazioni, allo scopo di ritrovarle e riutilizzarle in un secondo momento. “Nome cliente, data dell’acquisto e descrizione dell’acquisto”: questa serie di informazioni potrebbe essere una riga, o un “record”, del nostro database. “Latte, pane, yogurt”: questi, invece, tre elementi di un database comunemente chiamato “lista della spesa”. I database sono un componente fondamentale per il funzionamento di tutte le applicazioni che usiamo oggi: le app con cui ci mandiamo i messaggi, quelle con cui facciamo la spesa fino a quelle con cui vediamo le serie tv. Le aziende che sviluppano queste applicazioni controllano e mantengono questi database funzionanti; ci assicurano un servizio mentre al tempo stesso custodiscono i dati in esso contenuti. Ci sono casi, però, dove la natura dei dati da organizzare richiede che non esista un solo custode - per ragioni di sicurezza o di fiducia - e che le informazioni siano trasparenti, ossia consultabili da tutti e non a uso privato di un singolo “guardiano”. In questi casi, si usa un diverso tipo di database, distribuito tra più custodi, chiamato blockchain. Una specie di registro pubblico, senza un unico gestore.

La blockchain - o catena di blocchi - abbandona il concetto di “libro mastro” o “registro unico” di dati, per adottare un sistema dove ci sono tanti registri identici, solitamente con altrettanti custodi - chiamati nodi - i quali, attraverso un sistema di “confronto reciproco”, garantiscono la correttezza e la trasparenza delle informazioni al loro interno. Questi registri, per funzionare, non possono cancellare in alcun modo i dati scritti in precedenza, con la sola possibilità di aggiungere nuove informazioni (nuovi blocchi). Da qui il termine “blockchain”, un registro incancellabile (catena) a cui si continuano ad aggiungere nuovi dati (blocchi). I nodi confrontano continuamente tra di loro i propri registri, usando la regola che le uniche informazioni corrette siano quelle riportate dalla maggioranza (il 51%) dei registri esistenti: in questo modo, laddove uno o più custodi di questi registri dovesse riportare informazioni inesatte - per errore o per manipolazione - il confronto ristabilisce rapidamente la verità, sostituendo il registro che risultava essere inesatto con una copia di quello corretto. Questo tipo di database nasce negli anni Novanta ma è diventato celebre dopo il 2010 quando viene adottato come tecnologia fondamentale per le monete virtuali o criptovalute (per esempio i Bitcoin) che, così di fatto decentralizzate, funzionano senza l’esistenza di una banca centrale che le gestisca e controlli, nel bene e nel male.

Ci sono casi dove la natura dei dati da organizzare richiede che non esista un solo custode - per ragioni di sicurezza o di fiducia - e che le informazioni siano trasparenti, ossia consultabili da tutti e non a uso privato di un singolo “guardiano”: in questo caso il classico database si trasforma in blockchain

In alcuni Paesi del mondo si parla di mettere su blockchain i registri catastali, atti notarili e diverse altre informazioni, tipicamente ad uso della pubblica amministrazione, permettendo a ogni cittadino di consultare e verificare, senza dover più fare affidamento a vecchi registri cartacei in luoghi dove la correttezza di questi registri non poteva essere garantita. Gli aspetti “democratizzanti” e la forte adozione in ambito monetario hanno generato molta attenzione attorno a questa tecnologia, ispirando applicazioni negli ambiti più svariati, grazie anche all’utilizzo di contratti virtuali - programmi software insiti nella blockchain - chiamati “smart contract” che, di fronte all’adempimento di condizioni prestabilite tra le parti, scrivono in modo indelebile nel database gli effetti del contratto: compravendita di beni, trasferimenti di somme di denaro, certificati di proprietà, e molto altro. Negli ultimi anni sono nate blockchain per il controllo della tracciabilità e autenticità dei prodotti, blockchain per la sostenibilità ambientale, blockchain per gestire le supply chain interaziendali, blockchain per la diffusione di opere d’autore e beni collezionabili. Se da un lato è interessante vedere come l’innovazione e la creatività spingano verso nuove soluzioni e modelli di business, dall’altro però sta emergendo molta disinformazione su quello che questa tecnologia sia realmente in grado di fare, o su quali siano gli effettivi benefici rispetto ad altre forme di database più comunemente utilizzate.

Per fare un esempio, quando si usa la blockchain per tipologie di informazione che non hanno beneficio nell’essere distribuite e pubbliche (gli elementi a magazzino di un’azienda) o, all’opposto, si accentra la gestione di tutti i registri sotto lo stesso custode, la blockchain perde i benefici di integrità e trasparenza e non differisce nell’utilizzo rispetto a un database tradizionale, con l’effetto indesiderato di essere prestazionalmente più costosa e inefficiente. Una blockchain, per la sua natura immutabile e in continua espansione per via dei dati che vengono scritti al suo interno, richiede progressivamente più risorse per essere utilizzata. La lettura dei dati dentro questi registri sempre più estesi, sia da parte degli utenti finali sia dai nodi che devono confrontarsi, richiede potenze di calcolo in continuo aumento, al punto da sollevare dubbi sulla sostenibilità ambientale a lungo termine di questo tipo di soluzione.

Tra i casi più famosi possiamo citare Elon Musk, il fondatore di Tesla che, dopo aver aperto all’utilizzo di Bitcoin per l’acquisto delle sue auto elettriche, si scusa e ritira la decisione proprio per i preoccupanti dati relativi al consumo energetico richiesto dall’utilizzo della criptovaluta. Per fortuna ci sono molti sviluppi attorno a questa tecnologia, che potrebbero rendere più pratico il suo utilizzo nei prossimi anni. Per adesso ricordiamoci che la blockchain, come ogni tecnologia, è portata per risolvere determinati problemi, mentre i suoi benefici possono svanire (e generare nuovi problemi) se questa viene usata nel contesto sbagliato.  



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