Le prime sculture in legno ottenute a colpi di ascia, il minimalismo stilizzato e ficcante dei graffitismi, l’innovativa pittura monumentale. In Svizzera, al Museo d’Arte di Mendrisio, la prima retrospettiva in territorio italofono dedicata a A. R. Penck, uno dei massimi artisti tedeschi del secondo Novecento 

Cosa mai si nascondeva dietro la rappresentazione ancestrale delle sue prime sculture in legno ottenute a colpi di ascia, o il minimalismo stilizzato e ficcante dei graffitismi, o la innovativa pittura monumentale, nutrita dalle parallele e molteplici esperienze artistiche dell’eclettico lavoro? A svelarlo ci prova anche il museo svizzero di Mendrisio, che per la prima volta porta in territorio italofono, fino al 13 febbraio, una ricca e originale retrospettiva dedicata all’artista A. R. Penck, pseudonimo di Ralf Winkler, (1939-2017) uno dei più importanti artisti tedeschi della seconda metà del Novecento. Accanto ad altri pittori amici, spiegano i curatori della mostra - Simone Soldini, Ulf Jensen, Barbara Paltenghi Malacrida - Penck ha raccontato le contraddizioni della Germania post-nazista e del conflitto Est-Ovest. I colleghi si chiamavano Baselitz, Lupertz, Polche, Richter, Immendorff, Kiefer. Ma tanti altri nomi hanno accompagnato il suo intenso e lungo cammino, di artista cosmopolita, che si è allargato al mondo intero. 

Nato a Dresda, cresciuto in un modesto quartiere da una madre separata, ha saputo lavorare con coscienza critica e impegno civile in una realtà esistenziale, e soprattutto storica, non facile: dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale prima, al socialismo autoritario della DDR dopo. Nel 1963 Penck presenta un provocatorio dipinto murale sulla divisione della Germania. Nonostante la precocità artistica iniziata a dieci anni col disegno e la pittura, mai esporrà da lì in avanti nella DDR. Lo farà in seguito, con grande consenso per le sue opere, in Svizzera, Paesi Bassi e Canada, e nel 1972 anche a documenta 5 di Kassel, chiamato da Szeemann. 

Seguiranno rassegne fondamentali della pittura moderna “A new spirit in painting” a Londra e Zeitgeist a Berlino. Nel 1980, data in cui viene espulso dalla Stasi, inizia una nuova avventura a Colonia. Dove si tiene una sua prima retrospettiva e conosce nuovi artisti. Nel 1982 trova dimora a Londra in una semplice ma deliziosa casetta con giardino. Successiva, e desiderata tappa, sarà poi New York. È ormai qui apprezzato da Jean Michel Basquiat e Keith Haring per la sua pittura monumentale. Piacciono di questa la capacità di delineare la complessità del mondo con la spontaneità e l’immediatezza del graffitista. Saranno infine la Biennale di Venezia nel 1984 e la Neue Nationalgalerie di Berlino nell’88 a consacrarlo definitivamente. Ma Penck non si fermerà mai. Esporrà finalmente a Dresda, dopo la caduta del muro, e poi a Parigi, Francoforte, Saint Paul de Vence con tre fondamentali retrospettive. Risiede per qualche tempo anche a Carrara, dove esegue opere in marmo, e infine in Irlanda. Che sembrerebbe essere la sua definitiva patria. Ma la morte lo coglie a Zurigo, nel 2017.

A Mendrisio sono esposti quaranta dipinti in grande formato (olio, acrilico, o tecniche miste), più venti sculture in bronzo, cartone e feltro, accanto a circa settanta tra opere su carta e libri d’artista. Una produzione d’arte che spazia in ogni campo possibile. Il percorso pittorico di Penck, iniziato negli anni Sessanta, è ben delineato in mostra. Dove si parte dalla figura “Standart”, “rappresentazione progettuale e monumentale dell’autocoscienza dell’artista”, in linea con le idee del Bauhaus: la trasformazione della società moderna secondo criteri estetici. Le sue conoscenze dell’arte, della filosofia, dell’informatica, e anche della musica - era appassionato di Jazz - sembrano incontrarsi in un dotto scambio che conduce alla riflessione e al divertimento creativo. Lo dimostrano i capolavori in mostra di grandi dimensioni come “Cosmic Blue” (1981), “English Head” (1987) “Ich 88” (1988), o “How it Works” (1989), che evidenziano, nell’intreccio colto di archetipi simbolici e ancestrali, di graffitismi e colorismo acceso, quel suo attingere a atmosfere o soggetti che sono anche di artisti universalmente riconosciuti come Malevich e Kandinsky, Picasso e Duchamp, Picabia e Dalì. Ma incanta pure la magia evocatrice dei libri d’arte, o la scultura essenziale che rimanda a Giacometti.

La scultura è stata tra gli assoluti amori del giovane Penk. La sua prima opera significativa fu un gruppo plastico realizzato in materiale povero. In legno sarà la produzione degli anni Settanta. Solo dal 1984 inizierà a concentrarsi sulla tecnica di fusione in bronzo, passando dal piccolo formato a sempre più monumentali lavori. Una sua grande opera in bronzo è collocata nel chiostro del Museo di Mendrisio, antica sede dei Padri Serviti. L’ampia rassegna testimonia l’ecletticità di Penck e la voglia sempre nuova di conoscere, sperimentare e confrontarsi col mondo, anche come musicista, regista, scrittore. Da artista libero e cosmopolita. Forse perché quel mondo, diviso in due da un muro, lo aveva persuaso dell’universalità della cultura e dell’arte. 

A. R. Penck

Museo d’Arte
Mendrisio, Piazza dei Serviti 1 (museo@mendrisio.ch)
Dal 24 ottobre 2021 al 13 febbraio 2022
Dal martedi al venerdì 10-12 / 14-17
Sabato, domenica e festivi 10-18

 



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