In mostra nei musei di Rancate e Mendrisio il fascino della contessina Maraini Sommaruga e la gioiosa pittura di Amiet

Vittorio Corcos, celebre pittore, la ritrasse nel 1901 in tutta la sua giovanile bellezza, l’abito da sera di seta mauve ispirato alla moda parigina, strizzato sulla vita esilissima, guarnito di veli di tulle, di trine e ricami preziosi, la mantella, bordata di pelliccia abbandonata alle spalle, in atteggiamento regale. La fortunata, la biografia della sua lunga esistenza racconta che lo fu davvero, non solo per avvenenza e ricchezze, ma per pienezza di interessi e virtù dimostrate, si chiamava Carolina Maraini Sommaruga (1869-1959). 

Benestante ticinese di Lugano era andata sposa ventenne a un concittadino, maggiore di lei di diciassette anni, che seppe poi costruire un impero in Italia, grazie alle sue doti imprenditoriali.  Emilio Maraini (1853-1916), avo della scrittrice Dacia, fu infatti il primo a introdurre da noi la coltivazione intensiva della barbabietola da zucchero, con risultati importantissimi sia in patria che all’estero. Le sue attività manageriali, guidate dalla sede dello zuccherificio di Rieti, cittadina in cui si era trasferito con la moglie, e le numerose attività filantropiche, condivise nel tempo con lei, gli aprirono le porte del Parlamento italiano, dove fu deputato dal 1900 fino alla morte. 

Carolina Maraini Sommaruga sostenne col marito, idealmente e finanziariamente, asili, scuole, ospedali, istituzioni ricreative e culturali

Si deve alla Pinacoteca Zust di Rancate la riscoperta della felice avventura umana dei Maraini, grazie alla raffinata mostra curata da Mariangela Agliati Ruggia e da Sergio Rebora. è proprio Carolina, nella mostra “Divina creatura. La donna e la moda nelle arti del secondo Ottocento”, la Divina per eccellenza, l’icona indimenticabile, immortalata da Corcos, di un momento storico in cui la donna emerge non solo per merito della bellezza, ma per una nuova consapevolezza del ruolo positivo che può avere, anche al di fuori delle pareti domestiche. Carolina amò il marito dello stesso intenso, devoto affetto che lui le dimostrò fino alla morte, ma  rivelò altre positive doti nell’amore per il suo prossimo che ne fanno un nobile esempio di illuminata, lungimirante filantropia esercitata nel sociale, soprattutto in campo assistenziale ed educativo, che ancora oggi, grazie alle case e ai patrimoni lasciati dai Maraini - da Lugano a Roma - dà frutti importanti. Sostenne col marito, idealmente e finanziariamente, asili, scuole, ospedali, istituzioni ricreative e culturali. Un impegno che le valse il titolo di Contessa, assegnatole da casa Savoia. 
Rimasta sola, continuò nello stesso, generoso percorso. Fu, anche durante le due guerre mondiali, pronta ad offrire aiuto e asilo ai perseguitati.  Sua l’idea di insegnare alle giovani contadine di Rieti di avvalersi dell’antica arte del ricamo, famoso il suo “punto ombra”, per farne un’ attività artigianale indipendente e remunerativa.

La mostra presenta le donne e la moda attraverso un doppio percorso espositivo: seguendo il filo della buona pittura, e scultura (si vedano il bel ritratto di Boldini e anche l’altro in bronzo di Carolina, ormai in età avanzata, opera di Marino Marini)e anche quello, ravvicinato, di una sequenza di quindici preziosi abiti (1860-1905) curata con amore, e competenza grande, da Marialuisa Rizzini usciti dai migliori atelier, in testa la sartoria parigina Worth. Ma è anche, soprattutto, racconto palpabile dell’ evoluzione sociale attraversata dalla vita delle protagoniste: rivelata dai cambiamenti delle loro mises, imponenti e sontuose dapprima, via via sempre più sportive e pratiche col trascorrere degli anni. Fattesi quasi emulative nei tagli, sempre più maschili, degli antesignani tailleur degli inizi Novecento.   

Il racconto, dal tocco apparentemente frivolo, com’era nelle corde del tempo, supportato però da una ricerca attenta e appassionata, riscopre la vera bellezza del mondo femminile: che trova, proprio nel bello e nel buono che la donna da sempre sa seminare e coltivare, il  senso del suo cammino. 
Si veda la deliziosa ricostruzione di un piccolo interno, con mobili d’epoca originali di casa Maraini, dove a raccontare di Carolina  sono anche le vetrinette coi candidi pizzi e i ricami che tanto le importavano, opera delle mani delle donne di Rieti alle quali la sua intelligenza amica aveva aperto il cuore e gli occhi. Altri importanti ritratti, nelle loro ricercate vesti femminili, fanno ala in rassegna alla protagonista. Ne citiamo solo due, quello celebrato, e premiato da pubblico e critica nel 1874, di Mosè Bianchi per Elisabetta Ponti Sottocasa. Era rappresentante di una famiglia gallaratese in vista della borghesia dell’alto milanese, nota nel mondo della tessitura e nello stesso milieu imprenditoriale che ben conosceva, e frequentava, Carolina.  

Ester Piaggio Pastorino, prima moglie di Erasmo Piaggio, (1845-1932) armatore, banchiere e industriale italiano, eletto più volte alla Camera e al Senato, deceduta purtroppo in giovane età, è a sua volta ricordata per l’eleganza sobria esibita in un bel ritratto di Gerolamo Induno.  
Ma ci sono da scoprire a Rancate altre donne, altri abiti, altri nomi d’artista, tra cui De Nittis, Adolfo Feragutti Visconti, Luigi Rossi, e gli scultori Troubetzkoy e Vincenzo Vela, felici cantori dell’eleganza muliebre. Una particolare sezione della mostra rivela infine l’imperdibile parata di ventagli d’artista, che portano le firme di Giovanni Segantini, Gaetano Previati, Federico Zandomeneghi, Giuseppe De Nittis, Pompeo Mariani e Pietro Fragiacomo. 

Ma vogliamo raccontarvi in parallelo un’altra lunga vita, quella di un artista, che combacia quasi cronologicamente con quella di Carolina. Fu confortata da felicità, serenità e fortuna. E a sua volta accompagnata dal buon vivere fatto di bellezza e generosità. Non sappiamo se i due si incontrarono mai, ma potrebbe essere che nella importante casa bernese in cui visse per sempre, dove arrivarono tra glia altri Oscar Miller, Hermann Hesse, Paul Klee, persino Winston Churchill, in quello speciale paradiso anche la contessina Carolina avesse un giorno buttato uno sguardo e chiesto di entrare. L’appuntamento è ancora nel Canton Ticino, a Mendrisio, Museo dell’Arte, dove è in corso un’altra, ottima rassegna, la prima vasta retrospettiva di Amiet in terra svizzera e in area italiana curata da Simone Soldini, con Barbara Paltenghi Malacrida, Franz Muller, Aurora Scotti: sono una settantina di grafiche e altrettanti disegni (una sezione apposita, bella e ricca) e pitture del nostro protagonista comparate ad altre importanti opere pittoriche di artisti amici . 

Lui è il grande Cuno Amiet, grande, ancorché non del tutto conosciuto come dovrebbe. Ma è stato tra i padri della tradizione francese impressionista e postimpressionista in Svizzera. Nato a Soletta nel 1868 e morto a Oschwand nel 1961, è, con Hodler, che gli fu amico per un certo tratto di vita, tra le personalità più rappresentative dell’arte elvetica della prima metà del Novecento. 
Amico anche di Giovanni Giacometti - padre dello scultore Alberto - partì alla volta di Parigi e della Bretagna, sulle tracce di Gauguin, da lui prediletto. Gli “rubò” per sempre i più caldi cromatismi, restituendoli nella sua pittura in soggetti dai tratti naif, non di rado ispirati alla libera vita di Paul, come ben si evidenzia in “Nudo femminile disteso con fiori” (1912).

Fu tra i fondatori del gruppo “Die Brucke”, da cui originò l’espressionismo tedesco. La sua arte, che ne riflette pienamente la vita, è soprattutto conosciuta per il senso di serenità e armonia che trapela da paesaggi e nature morte e anche per quella “joie de vivre” che apprese guardando a Matisse, non solo tecnicamente, come si vede dal raffronto in mostra tra due loro opere “Nudo”( 1920-25) di Matisse e “Liette”(1932) di Cuno. 
La natura è per lui immagine del sublime, il suo giardino è paradiso con le persone amate: la moglie Anna, gli amici che arrivano da ogni dove - e che lui accoglie e riceve sempre - e le due figlie adottive. Gli restituiranno amore e serenità. E oggi il bisnipote Daniel Thalmann custodisce la memoria di Cuno con la devozione dovuta, attraverso una Fondazione che favorisce e sostiene il lavoro di giovani artisti desiderosi di migliorare la propria  arte.
Il seme gettato da Cuno, come quello gettato da Carolina Maraini, continua dunque a produrre i suoi buoni frutti. 
Quelli dipinti da lui, nei suoi tanti paradisi pittorici, resistono nei rossi e nei gialli tra il verde dei rami, nei lavori, bellissimi, in mostra a Mendrisio: dal primo paradiso degli inizi, a quelli terreni di Oschwand, dove Anna si china verso la terra per coltivare i suoi fiori, all’ultimo, dipinto dopo la morte di lei. 

A chiudere la rassegna è proprio il paradiso abbagliante di luce del ‘58, dove la fisicità dei corpi dei due amanti svapora e s’allinea verso l’alto, su su fino a toccare idealmente la fisionomia rarefatta e lieve, un po’ chagalliana, di un angelo. 

DIVINA CREATURA. LA DONNA E LA MODA NELLE ARTI DEL SECONDO OTTOCENTO
15 ottobre 2017 - 28 gennaio 2018
Pinacoteca cantonale Giovanni Zust
Rancate (Mendrisio), Svizzera

da martedì a venerdì: 9-12/14-18
sabato, domenica e festivi: 10-12/14-18
info +41(0)91 816 47 91

IL PARADISO DI CUNO AMIET. DA GAUGUIN A HODLER, DA KIRCHNER A MATISSE
22 ottobre 2017 - 28 gennaio 2018
Museo d’Arte Mendrisio
Piazzetta dei Serviti, Mendrisio, Svizzera

da martedì a venerdì: 10-12/14-17
sabato, domenica e festivi: 10-18
info: +41 58 688 33 50 - museo@mendrisio.ch



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