Il lockdown ha premiato la comunicazione (anche istituzionale) fatta su social network e strumenti digitali. La crescita di Facebook ne è un esempio. Un’opportunità anche per le imprese. A patto che...

“Sono uscito da Facebook: non lo sopporto”. Alzi la mano chi non ha sentito almeno una volta questa frase da parte di amici, conoscenti e colleghi. Tra chi lo ritiene una perdita di tempo e chi pieno di fuffa, pronunciato rigorosamente con l’h finale, la fuga dal social è stata una di quelle mode passeggere ma implacabili, un po’ come i colori fluo nell’estate 2019. È stata perché, complice il lockdown e la necessità di fare una pausa tra una serie di Netflix e una sessione di panificazione, il buon vecchio Signor FB si è rimesso in grande spolvero in pandemia. E non solo lui.

Un andamento che ha riguardato i social in generale: secondo diverse analisi (molto interessanti la lettura di Franz Russo o i dati di Sensemakers) si parla di una crescita generale del 30% e di un 120%, badate bene, nella fruizione di contenuti informativi. Non male se si pensa che questi contenuti non riguarderebbero, per causa di forza maggiore, lo sport, che almeno in Italia, è il top player un po’ in tutte le classifiche. Non male se si pensa che tra questi ci sono approfondimenti giornalistici veri e propri e siti di informazione tecnica (come il sito dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, tanto per non fare pubblicità): volente o nolente, la gente è tornata ad informarsi, tra l’esigenza di non soccombere a protocolli multipagina e la voglia di capire di più su una situazione che, in un giorno netto, ha cambiato la vita di tutti noi. Un cambio di rotta, dunque, che ha riguardato soprattutto l’informazione, privilegiando, per quanto riguarda i brand una comunicazione lucida, ragionata, completamente diversa da quella tesa a vendere biscotti o un paio di scarpe. Schemi nuovi, nuovo stile.

Del resto, basti pensare alle istituzioni: la diretta della ormai tradizionale conferenza stampa di Giuseppe Conte, all’ora della pizza del sabato sera, è stata sempre annunciata prima sulla pagina Facebook del Presidente, piuttosto che dall’Ansa. Non di poco conto per il mondo dell’informazione. Ma cosa cambia da qui in avanti? Difficile prevederlo, a meno di non avere la sfera di cristallo, ma una cosa è chiara per le imprese: non si possono negare i fenomeni, le sensibilità condivise e i dati. Se i dati confermano un andamento chiaro, come quello degli ultimi tre mesi, non si può far finta di niente.

Se i numeri – e qui è aurea l’analisi annuale di Wearesocial – segnano una crescita dei canali, dell’uso dello smartphone, dello streaming e del ricorso sempre maggiore a strumenti digitali per la salute personale e per la sicurezza, un’azienda, che produca plastica o formaggi, se vuole comunicare, non può non sapere leggere tra le righe (o, meglio, tra i quadretti) di questi dati. Che, non ce ne voglia l’Ufficio Studi Univa, non sono sempre avvincenti come le percezioni, ma di sicuro sono ormai la base per una strategia di comunicazione vincente.



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