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Alla scoperta di una città elegante, ma mai barocca. Come la sua storia industriale che ha indelebilmente segnato la bellezza di vie, chiese e architetture urbane. Tutto qui nasce e ritorna a quei telai che ne hanno scandito la crescita, non solo economica

Città di mare anche se qui in pianura il mare non c’è. Devota, da sempre, soprattutto alla Madonna e al lavoro, tanto che ancor oggi, la città è ricca di testimonianze che certificano sia la fede, sia la laboriosità della sua gente. Busto Arsizio, città che contende a Varese il primato per numero di abitanti nella provincia, non rientra certamente tra le canoniche rotte turistiche. Eppure, dal nucleo originario dell’antico borgo, un pugno di case nel cuore del centro cittadino, che si stringono quasi a protezione del bellissimo santuario di Santa Maria di Piazza, fino a ciò che ancor resta delle campagne e della brughiera, si possono toccare con mano e vedere chiese, ville, palazzi, corti e cortili, ciminiere, officine e cotonifici, che silenziosi resistono al tempo che passa e certificano quanta storia sia passata da qui, da questa città che ha saputo (e sa ancora) tradurre in manufatti, non solo tessili, ma anche artistici e architettonici, la potenza alimentata dal soldo e la lungimiranza di una classe imprenditoriale illuminata, amante del bello, del signorile, dell’elegante, ma mai dell’eccesso, dello sfarzo e del ridondante barocchismo.

Il turista che vuole cogliere al volo l’essenza di Busto Arsizio, per poi gustare, passo dopo passo, cosa gli riserverà la visita alla città non può che partire da piazza Santa Maria

Mare, profumo di mare  
Il turista che vuole cogliere al volo l’essenza di Busto Arsizio, per poi gustare, passo dopo passo, cosa gli riserverà la visita alla città non può che partire da piazza Santa Maria. Ed è qui che tutto ebbe inizio. Le ipotesi storiche più accreditate dicono che il primo nucleo cittadino fu abitato dai liguri e l’originario borgo, che non si spingeva oltre la vicinissima piazza San Giovanni, ancor oggi lo si può percorrere in tutto il suo periplo in pochissimi minuti, tra strette vie delimitate da case basse e all’ombra del cupolone del Santuario. 
All’interno della chiesa, la cui prima pietra venne posata nel 1517, esattamente 500 anni fa, vi sono opere di Bernardino Luini, un polittico di Gaudenzio Ferrari e una statua della Madonna dell’Aiuto con Bambino, raffigurata anche in un bassorilievo che racconta la processione del 1630, durante la quale, secondo la tradizione, la statua alzò la mano per arrestare la tremenda pestilenza che colpì Busto. I liguri, oltre al culto per la dea madre terra, che con l’avvento del cristianesimo si tramutò nella devozione per la Madonna e al dialetto locale, che conta molte parole che terminano con la “u” e l’assenza della “r” tra vocali, molto probabilmente hanno lasciato nel dna della città salsedine e voglia di navigare. Forse, infatti, non è un caso che la storia dell’export nazionale nasca proprio a Busto Arsizio grazie a Enrico Dell’Acqua, imprenditore tessile attivo proprio in città nella seconda metà dell’Ottocento e medaglia d’oro “per lo sviluppo grandioso da lui dato al commercio e all’industria tessile dell’America latina”. A lui è dedicata una maestosa statua equestre, posizionata al centro di piazza Volontari della Libertà, proprio di fronte alla stazione delle Ferrovie dello Stato, nella quale l’imprenditore in sella al suo destriero si sporge e sembra scrutare l’orizzonte e segnare la direzione da seguire.

Ora et labora
Busto non ha monasteri eppure la sua storia l’avvicina al motto benedettino. La fede, testimoniata dalle tante chiese, molte proprio dedicate a Maria come la Madonna in Prato, un cameo incastonato alla confluenza delle vie Donizzetti e Sella e dove si può vedere la mano artistica di Biagio Bellotti o le due piccole chiese campestri conosciute come Madonna in Veroncora e Madonna in Campagna; o ancora la Basilica di San Giovanni, con affreschi del Bellotti e la chiesa di San Michele. Due edifici religiosi questi che raccontano della presenza longobarda. 
Ma accanto alla preghiera, il lavoro: nelle case, dove, prima dell’avvento delle industrie, in ognuna batteva un telaio. La leggenda racconta che le abitazioni dei bustocchi venivano edificate proprio attorno al telaio, piazzato prima ancora di iniziare a costruire la dimora. Non è scientificamente certo che le cose stessero proprio in questo modo, ma di sicuro questo strumento di lavoro ha segnato il modo di costruire le case. Le più antiche, alcune delle quali si possono ancora vedere in certe vie secondarie del centro storico, hanno tutte gradini che sembrano portare in un seminterrato. I grandi telai, infatti, in genere stavano più in basso rispetto il livello della strada, poiché i tessuti, secondo il racconto dello storico Luigi Giavini, si potevano lavorare meglio nei locali dove c’era la giusta umidità.

Trama e ordito su scala industriale
Busto Arsizio è stata a lungo una delle capitali mondiali dei settori tessile, manifatturiero e meccano-tessile. E l’intero tessuto urbano è ancor oggi un grande museo a cielo aperto di archeologia industriale, dove delle cento e passa ciminiere, ne rimangono pochissime unità e come gli ultimi esemplari delle specie estinte stanno in un parco. Alte, verticali, come campanili senza orologi né campane per scandire il tempo della produzione, restano ancora visibili quelle del cotonificio Milani, oggi inseriti nell’omonimo parchetto compreso tra le vie Ponchielli e Bandiera. Ma per scoprire, apprezzare e immaginare cos’era la Busto del tessile occorrono scarpe comode e voglia di percorrere le tante strade appena fuori il centro storico, dove ancor oggi si possono “leggere” sulle facciate di quelli che un tempo erano i cotonifici, le varie epoche produttive, ma soprattutto intuire l’osmosi tra la parte produttiva e la vita di tutti i giorni, poiché accanto alle costruzioni in mattoncini rossi, che ricordano l’Inghilterra industriale, un tempo come oggi, si trovano le abitazioni delle grandi famiglie cotoniere. Belle ville padronali, dove le linee di un liberty elegante, essenziale e mai eccessivo nei fregi e nei decori, accarezzano l’occhio osservatore e trasmettono quel marchio di fabbrica che gli storici locali ancor oggi chiamano “bustocchità” e che con parole più moderne si può tradurre in “made in Busto”. Ed è bello soffermarsi davanti alle facciate del Castellanza e Borri all’angolo tra le via Canova e D’Azeglio, del cotonificio Giovanni Milani e nipoti in via XX Settembre, del Venzaghi in via Cairoli, fin quasi a sentir il rumore di quei telai, non più domestici ma ormai industrializzati, tessere filati, produrre tessuti, dar vita al commercio. Rumore, atmosfere e sensazioni che diventano anche colori, filati e macchine quando si entra in quello che un tempo era il cotonificio bustese e oggi è conosciuto come il Museo del tessile, dove per chiudere in bellezza si possono ammirare lì vicino le ville Ottolini Tosi e Ottolini Tovaglieri, prima di far ritorno in centro e concedersi un caffè seduti ai tavoli di una delle pasticcerie o dei bar che animano via Milano, piazza San Giovanni e piazza Santa Maria, punto di partenza e di arrivo della visita. 

La chiesa della pace

Uno dei segni per comprendere come la città sia cambiata e cresciuta dal 1700 a oggi è certamente il Tempio civico. La sua costruzione risale al 1710 e nel corso di tre secoli, da chiesa di campagna è diventata chiesa di città. Non tanto per le dimensioni, che sono rimaste ridotte, ma perché l’urbanizzazione ha “sfondato” i confini del borgo al punto che la chiesa oggi sorge in a due passi dal centro, proprio di fronte a Palazzo Gilardoni, sede del municipio. Il Tempio civico, conosciuto anche come chiesa di Sant’Anna e intitolato alla Beata Vergine delle Grazie, ha oggi un enorme valore simbolico poiché dedicato anche a tutti i caduti delle guerre senza distinzioni di parte. Qui non si commemorano vinti o vincitori, ma i caduti e per questo motivo è considerato un luogo di pacificazione e di pace.

Il volto segreto dei viali

Non sono stati creati dalla mano di un artista, ma da quella di uno (o più) urbanisti. Di certo sono un segno che danno “nobiltà” alla città e meriterebbero una citazione, se non tra i monumenti da vedere, almeno tra le opere da percorrere. Stiamo parlando dei viali cittadini, alcuni dei quali così lunghi da attraversare l’intera città, pur cambiando nome di tratto in tratto. E la loro bellezza non sta certo nei volumi di traffico che pompano in entrata e in uscita, bensì nei colori, meravigliosi, che prendono ad ogni stagione i filari di alberi che li costeggiano e che in autunno fanno vivere a chi li cammina un suggestivo foliage urbano, in estate donano ombra negli assolati pomeriggi cittadini, in inverno spogliandosi ti restituiscono l’essenzialità delle cose e in primavera, quando tornano verdi e rigogliosi, sono come una bella metafora sulla vita che torna a sprizzare energia. 

In un libro i 500 anni di Santa Maria di Piazza

“Chiesa di moltissima divotione et fabrica non meno bella che vaga.” Un importante anniversario come il cinquecentesimo compleanno di Santa Maria di Piazza viene celebrato con un volume curato da Pietro Cesare Marani ed edito da Nomos. Un libro, arricchito da un pregevole apparato iconografico, che sottolinea la rilevanza storico-artistica della chiesa cittadina, che si intreccia con la storia della devozione e della pietà dei bustocchi. Focus in particolare sull’architettura nei suoi dettagli costruttivi e stilistici, il ricco apporto scultoreo, la decorazione ad affresco della cupola e della chiesa, il Polittico dell’Assunta di Gaudenzio Ferrari, il dibattito critico sulle più recenti attribuzioni e la collocazione dell’edificio nella corona ideale dei santuari dedicati alla Vergine in Lombardia occidentale.



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