Una rassegna di opere a cura di Elisa Favilli e Cristina Renso, con l’intervento di Diego Furgeri, che offre l’occasione di incontrare l’arte di Furio Cavallini. Un pittore molto noto nella metà del secolo scorso, che ha intensamente lavorato tra Toscana e Lombardia realizzando numerose opere, tra cui un'interessante serie di disegni dedicati alla condizione purgatoriale dei malati mentali.

Nel 700° anniversario della morte di Dante, l'Associazione Flangini, in collaborazione con l'Assessorato alla Cultura di Saronno, inaugura “Purgatorio. I sospesi”, una mostra di opere a olio e di disegni di Furio Cavallini dedicata ai 10 anni dalla sua morte. Si tratta di una rassegna di opere a cura di Elisa Favilli e Cristina Renso, con l’intervento di Diego Furgeri, che offre l’occasione di incontrare l’arte di Furio Cavallini. Un pittore molto noto nella metà del secolo scorso, che ha intensamente lavorato tra Toscana e Lombardia realizzando numerose opere, tra cui un'interessante serie di disegni dedicati alla condizione purgatoriale dei malati mentali.

L’artista è nato a Piombino (Livorno) nel 1929; è il primo di tre fratelli di una famiglia operaia che nel 1941, a causa della guerra, si trasferisce a Riparbella (Pisa), paese natale del padre, nelle colline dell’alta Maremma, tra Cecina e Volterra. Lavora con il padre al taglio del bosco fino al 1945, in un periodo drammatico contrassegnato dallo scontro bellico tra le armate tedesche e americane. Nel 1946 la famiglia ritorna a Piombino e anche Furio, come il padre, va a fare l’operaio metalmeccanico nella grande industria. La sua visione della realtà si concretizza nel bisogno di ritrarre le cose e le persone. Inizia così a frequentare saltuariamente l’Accademia delle Belle Arti di Firenze, città in cui si trasferisce nel 1952. Nel 1953 va a vivere a Milano, frequenta l’Accademia di Brera e partecipa alla vita culturale dell’epoca, fino a che nel 1956 è costretto a ricoverarsi in sanatorio, a Firenze, per una grave crisi polmonare, ma qua, contemporaneamente, espone con successo le sue opere del periodo milanese. Vive così l’esperienza dell’isolamento e da questa nascono i ritratti a schizzi veloci dei pazienti ricoverati, fino a che, negli anni Sessanta, con la sua vena provocatoria, coglie le contraddizioni dello sviluppo economico, “capace di portare l’uomo sino all’alienazione, alla sua estenuazione fisica e alla malattia”. Come afferma la curatrice della mostra, Elisa Favilli, “Furio descrive senza parole la fugacità del tempo e la bellezza dell’anima”. Come nei ritratti, anche nelle nature morte e nelle architetture si avverte un senso di abbandono; una natura disabitata che si contrappone alla realtà milanese contemporanea e allo sviluppo di quegli anni dell’ottimismo economico. Un tema fondamentale della sua arte che nasce dall’amicizia e dalla sintonia di pensiero con lo scrittore Luciano Bianciardi. Cavallini si riprende presto dalla malattia ma, a causa delle gravi difficoltà familiari, deve tornare a Piombino dove continua a lavorare, sempre come impiegato e pittore. Nel 1960 poi conosce Deanna, la compagna della sua vita, con cui ha due figli; nel 1966 decide di andare a vivere con la famiglia a Firenze dove realizza mostre di successo. L’anno seguente viene chiamato a insegnare come assistente al liceo artistico. L’insegnamento e la pittura lo assorbono completamente, ma il ricordo della metropoli lombarda lo spinge a trasferirsi di nuovo a Milano nel 1973 e così diventa titolare della cattedra di Figura disegnata al Liceo Artistico di Busto Arsizio. Nel 1977 però abbandona l’insegnamento dedicandosi completamente alla pittura e allestendo mostre sia in Italia che all’estero. Ma a seguito di una crisi creativa, nel 1987 fugge nuovamente, da una Milano borghese si rifugia negli spazi dell’ex-manicomio di Trieste, dove trasferisce anche la sua arte e il suo studio. In neanche un anno, realizza numerosi dipinti e disegni che ritraggono gli ospiti con cui divide il suo tempo, “sospesi tra una vita malata e una vita normale”. Ed è proprio sulla realtà all’interno del manicomio, situato nel parco di San Giovanni a Trieste, e sui malati psichiatrici che la mostra dell’Associazione Flangini dedica un’intera sezione; “una realtà dove anche i rami degli alberi diventano sbarre che li escludono da quella vita che scorre poco lontano, nel parco diventato pubblico”. L’artista è poi ritornato con la moglie a Riparbella, il paese della sua adolescenza, nel 1997. Fino a che, pochi anni dopo, nel 2004, si sposta nuovamente per trasferirsi a Cecina, località in cui ha vissuto sino alla sua morte nel 2012.

La mostra dedicata ai dieci anni dalla scomparsa dell’artista si terrà dal 10 al 24 ottobre, nella Sala Nevera di Casa Morandi, (Saronno), a ingresso libero. All’inaugurazione, in programma sabato 9 ottobre, alle 16, saranno presenti alcuni giovani della compagnia teatrale Accademia del Profondo, per una breve dimostrazione del loro recente lavoro sull’Inferno di Dante, e la figlia dell’artista, Giulia Cavallini, che offrirà la testimonianza dell’esperienza vissuta dal padre nell’ex-manicomio di Trieste dove, tra l’altro, ha lavorato, fino alla chiusura dell’Ospedale, il famoso neuropsichiatra Franco Basaglia. Saranno, inoltre, letti alcuni testi degli scrittori Luciano Bianciardi, Carlo Cassola e Mauro Furgeri, amici di Furio Cavallini.



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