E' una visione di lungo termine quella che serve per non perdere il treno dell’Alptransit. Quando sarà pronto il corridoio che da Anversa e Rotterdam arriverà a Genova, la provincia di Varese sarà protagonista. Ma per fare in modo che quel treno faccia tappa anche su questo territorio, servono investimenti. è uno studio dell’Università Bocconi di Milano firmato da Lanfranco Senn e Oliviero Baccelli con Francesco Barontini e Raffaele Galdi a sottolineare quanto sia necessario investire per non lasciarsi scappare un’occasione difficilmente ripetibile. La considerazione in questo settore è semplice: se aumenta la capacità del trasporto ferroviario, deve aumentare anche la capacità della sua gestione. Ma di quanto? E come? è solo rispondendo a queste domande che il treno dell’Alptransit sarà una vera opportunità per il territorio.

Senza investimenti sulle infrastrutture e sui terminal il territorio rischia di perdere una grande occasione ambientale ed economica: quella della crescita del trasporto su rotaia derivante dal corridoio Rotterdam-Genova. 

Il ruolo delle attività terminalistiche nel nuovo corridoio multimodale è infatti fondamentale e dovrà essere potenziato. Già oggi il 63% del traffico ferroviario in Italia riguarda volumi di merce movimentata su tratte internazionali e di questo circa il 55% dei traffici ferroviari con l’estero riguarda i valichi svizzeri del San Gottardo e del Sempione. Due tratte fondamentali attraverso le quali nel 2015 sono transitate quasi 27 milioni di tonnellate di merci, segnando una crescita del 3,3% rispetto al 2014. Dati positivi a cui è seguito addirittura un +7,7% nel primo semestre dello scorso anno.

E se già oggi i dati sono incoraggianti, anche nel futuro il segno più la fa da padrone. La tendenza è infatti quella di un forte sviluppo della quota di mercato del trasporto ferroviario sul totale dei traffici transalpini via Svizzera, che è passata dal 62,6% del 2010 al 71,2% del primo semestre 2016. In questo settore viene prevista anche una grande crescita del traffico combinato non accompagnato (TCNA), quello cioè delle spedizioni che effettuano un primo tratto del loro viaggio su gomma, vengono poi caricate su un treno e finiscono il loro viaggio di nuovo su un camion che porta il container a destinazione. Questo tipo di spedizione rappresenta la tipologia di trasporto ferroviario prevalente sulla direttrice e dal 2000 al 2016 ha registrato un tasso di crescita annuo del 4,5% passando dai 9 milioni di tonnellate trasportati nel 2000 ai 17,2 milioni del 2015, con una market share che è dunque passata dal 46% al 63%.  

Ma tutta questa crescita rischia di bloccarsi se non verranno prese iniziative precise. Dal quadro elaborato dalla Bocconi emerge quindi la necessità di nuova offerta terminalistica che faccia fronte allo sviluppo previsto. Fra il 2016 e il 2030 si prevede di passare da un traffico di 1,578 milioni di spedizioni (di cui il 77,6% su direttrici internazionali) ad uno di 2,644 milioni (di cui il 69,5% di tipo internazionale). In questo senso si evidenzia uno sviluppo complessivo del 68,8% pari a 1,066 mila invii aggiuntivi, con un tasso di crescita medio del 3,8% annuo. 

L’attuale rete sarebbe in grado di assorbire i flussi fino al 2020, ma dopo quella data tutta la rete diventerebbe così congestionata che viene prevista una inversione della tendenza con i container che passeranno dalla rotaia alla gomma. Una situazione che causerebbe enormi danni economici a tutto il sistema economico locale. La Bocconi ha anche stimato il valore dell’off-shore economic footprint di questo scenario, cioè dell’impatto economico che migrerebbe dal territorio. E si parla di centinaia di milioni di euro. Una politica di mancato adeguamento alle esigenze della domanda fra il 2020 e il 2030 avrebbe infatti un impatto economico negativo pari a quasi mezzo miliardo di euro. Le previsioni prevedono quindi che nel 2020 verrebbero perse poco meno di 123.000 spedizioni su rotaia per un valore di circa 27 milioni di euro. Dati che anno dopo anno peggioreranno, fino a sfiorare le 350.000 spedizioni mancate nel 2030 per un valore di 77 milioni di euro. Col tempo, quindi, la somma delle spedizioni deviate dall’intermodale ferroviario alla gomma raggiungerà quota 2.107.605 per un totale di 469.574.465 euro.

Una montagna di soldi che rischia di scivolare via, andando in altre tasche. Secondo i ricercatori, infatti, sarebbero due le realtà ad avvantaggiarsi da un’assenza di investimenti: i paesi produttori di petrolio e numerosi stati dell’Europa Centro Orientale. E' in questi Stati che sono localizzate circa la metà delle imprese che sarebbero pronte a sostituire i servizi di trasporto intermodale, con inevitabili svantaggi fiscali, occupazionali e di indotto per questi territori. E' proprio per questo che secondo gli analisti le policy per lo sviluppo dei terminal non devono essere considerate solo per i loro aspetti positivi sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale del sistema dei trasporti per l’intera Europa. Ciò che deve essere compreso è che permettono di evitare che una quota del valore economico dei servizi di trasporto sia sostanzialmente delocalizzato off-shore. Detto in altri termini: il costo di perdere il treno dell’Alptransit è alto, mezzo miliardo di euro.



Articolo precedente Articolo successivo
Edit