Una raccolta di oltre 1,5 miliardi di euro raccolti in poco meno di due mesi: partenza in discesa per i Piani Individuali di Risparmio

Partiti in sordina all’inizio del 2017, quasi con il timore dell’insuccesso, i Piani Individuali di Risparmio (Pir) sembrano aver colto nel segno. Una scelta economica, questa volta, nella giusta direzione per affrontare l’endemico problema italiano della disponibilità di risorse private nel sistema produttivo all’interno di una dinamica economica meno bancocentrica.

Anche il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che dei Pir è un pò il padre, ha parlato a proposito del successo di queste prime settimane di “risultati straordinari, non pensabili quando li abbiamo varati”.
Secondo alcuni analisti, sui Pir confluiranno, entro un anno, risorse per circa 10 miliardi di euro. E si tratta di un polmone finanziario rotativo, che non conclude la propria esistenza dopo 12 mesi ma che si ossigenerà, probabilmente con maggior vigore, ogni anno.

I Pir nascono dall’idea di dirottare una parte della considerevole massa dei risparmi (secondo il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco la ricchezza delle famiglie ammonta oggi a circa 4.000 miliardi di euro, di cui 1.300 miliardi parcheggiati su depositi e conti correnti bancari) verso l’economia reale, ed in particolare verso le imprese di piccola e media dimensione, per intenderci quelle con meno di 250 dipendenti e meno di 50 milioni di euro di fatturato.

I Pir sono nati a inizio anno per fare della ricchezza delle famiglie uno strumento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese

In sintesi, i Pir sono una forma di risparmio riservato ai privati e sono proposti e gestiti da investitori istituzionali. Gli investimenti devono essere indirizzati per almeno il 70% verso le Pmi (azioni, obbligazioni) italiane o appartenenti all’Unione Europea, con stabile organizzazione in Italia. Il rimanente 30% potrà essere investito in altri strumenti finanziari, ivi inclusi i conti correnti e i depositi bancari. Inoltre, all’interno del 70% sopra citato, non meno del 30% dello stesso dovrà essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE Mib di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati.

Ma quanto si può investire? Fino a un massimo di 30.000 euro annui e comunque non oltre il tetto di 150.000 euro per tutta la durata dell’investimento.
Uno dei motivi dell’attuale successo dei Pir sta nel fatto che gli utili e i proventi da essi derivanti, se mantenuti per almeno 5 anni in portafoglio, sono fiscalmente esenti (zero tasse sulle rendite finanziarie, zero imposte sui rendimenti e sul capital gain). Se invece vengono estinti anticipatamente la tassazione è quella ordinaria, pari al 12,5% su cedole e utili relativi a titoli di Stato e al 26% su azioni e obbligazioni. Inoltre i Pir sono esenti anche da imposte di successione e donazione.

Ma conviene investire nei Pir? La convenienza è data dal mercato e quindi dalla capacità del gestore del fondo di massimizzare i rendimenti tenendo conto che, come detto, godono già del vantaggio dell’esenzione fiscale. E’ un prodotto nuovo, e come tale non esiste una track record in proposito.  Certo è che sconta una rischiosità implicita, legata a variabili che però sono comuni ad altre forme di investimento del risparmio (a questo proposito un dato su tutti su cui meditare: le famiglie hanno in portafoglio, secondo Banca d’Italia, circa 150 miliardi di “obbligazioni bancarie, un quinto delle quali è nella forma, più rischiosa, di titoli subordinati”).

I Pir sono, ad ogni modo, un prodotto che andrebbe considerato nell’ambito della diversificazione degli investimenti. Ma con qualche precauzione. L’investitore deve avere la consapevolezza che stiamo parlando di “mercato allo stato puro”, cioè di risparmio che confluisce verso l’economia reale ma che di questa sconta anche un significativo livello di rischiosità dovuta al fatto che ai Pir, diversamente da altre forme di risparmio (Bot, Cct o altro), non è collegata nessuna garanzia specifica. Da qui l’importanza del livello di fiducia alla base del rapporto tra cliente e gestore del patrimonio personale. 

Inoltre sul rendimento effettivo, cioè sul guadagno reale, incidono, come sempre, i costi e le commissioni applicate. Questi costi variano a seconda dell’intermediario, ma possono arrivare a livelli importanti. Così come vanno tenute presenti, per il calcolo del rendimento finanziario dell’investimento, anche le commissioni di gestione e l’eventuale premio o commissione di risultato sulle performance dell’investimento. Insomma una serie di valori che non debbono limitare l’interesse ad investire in questi strumenti che, tra l’altro, potrebbero riservare, come pare che sia, importanti soddisfazioni a livello di risultato (sulla stampa si leggono ipotesi di rendimento fino al 7% annuo), ma che non debbono essere sottovalutate nella fase di approccio al prodotto.

Un ulteriore elemento di novità è rappresentato dal fatto che i Pir, come si è detto, investono per quota parte in società medio piccole, quotate e non. Il nostro sistema economico-produttivo è costituito, come noto, per la maggior parte da Pmi. Imprese che producono, si sviluppano e si aprono a nuovi mercati. Molte di queste, le più performanti, si affacciano anche ai mercati dei capitali ai quali i gestori possono attingere per investire. Sono investimenti che servono al Paese, che fanno parte di quel circolo virtuoso della finanza, dal risparmio all’economia reale, che deve rappresentare il futuro. Insomma: il risparmio diventa impresa.

Ed è appunto questo l’aspetto più intrigante. I Pir potenzialmente e per quota parte si rivolgono ad un mercato ancora da sviluppare, ma di grande potenzialità e interesse, legato a strumenti di finanza innovativa. I Minibond, per esempio. Emissioni obbligazionarie particolari che stanno, negli ultimi tempi, gradualmente raccogliendo il gradimento delle imprese di piccola e media dimensione che effettuano investimenti per la crescita. Non è possibile perdere l’occasione, data anche dai Pir, di costruire quel percorso virtuoso di cui da tempo si parla. Dirottare il risparmio verso l’economia reale, con vantaggi per tutti: per l’impresa di emettere carta di debito con conseguente parziale disintermediazione del sistema bancario, per i risparmiatori  la possibilità di puntare su rendimenti interessanti in un momento di tassi bassi. 

Il mondo del risparmio gestito si è ormai scatenato e molte Sgr (di emanazione bancaria o meno) hanno costituito fondi dedicati. Una cosa è certa: i Pir potrebbero avviare un percorso virtuoso che, se ben gestito, non potrà che portare benefici significativi alle nostre imprese e, conseguentemente, alla nostra economia con ricadute positive sia in termini di crescita industriale sia in termini di dinamiche occupazionali.



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