Non c’è provincia italiana in cui oggi non si affermi di voler realizzare una Silicon Valley casereccia; e questo non succede solo da noi, ma ormai in tutto il mondo.
In effetti non si riflette abbastanza sul fatto che per “costruire” la Silicon Valley nella contea di Santa Clara a sud di San Francisco ci sono voluti quasi cento anni (siamo ormai alla quarta generazione di imprenditori che hanno scelto quella striscia di terra per fondare la propria azienda) e si è inizialmente sviluppata proprio lì per l’eccezionale concentrazione di 23 Università, fra cui alcune delle più prestigiose al mondo, importanti centri di ricerca, grandi banche e cospicui finanziamenti pubblici a programmi di ricerca. A questo si aggiunga, fattore assolutamente non trascurabile, la piacevolezza dell’ambiente e del clima, che trattiene i ricercatori e i professionisti nella valle, e il cosiddetto melting pot, ovvero quella straordinaria concentrazione di tecnici molto qualificati di tutte le etnie e provenienti da tutto il mondo. Un ecosistema formidabile racchiuso in un’area di circa 50 x 5 chilometri che ha prodotto il grande sviluppo mondiale delle alte tecnologie della seconda metà del secolo scorso e che è stato definito con la celebre espressione: “Se un hardware, un software, un tool di comunicazione, una competenza, un finanziamento è rintracciabile in qualche parte del mondo, lo si può trovare anche in Silicon Valley, cioè entro pochi chilometri”.

Per costruire la Silicon Valley nella contea di Santa Clara a sud di San Francisco ci sono voluti quasi cento anni. Tutto è partito dall’eccezionale concentrazione di 23 Università
Mentors, Venture Capital, Angel Investors, incubatori: attorno ai giovani imprenditori si è consolidato un network enorme che rende possibile “tentare l’avventura”
Fondamentale è anche l’enorme offerta di servizi che facilitano la creazione e lo sviluppo delle startup. Innanzitutto i co-working space

Oggi una affermazione del genere sembrerebbe di poco senso vista la pervasività del mondo web, ma non è così. La prima condizione che pone un finanziatore di startup è che questa abbia sede a non più di un’ora di auto dai suoi uffici. E almeno il 50% di tali finanziatori sono proprio in Silicon Valley.

Ma che cosa è questo ecosistema di cui va tanto orgogliosa la Silicon Valley? Oltre ad essere la sede di moltissime aziende globali “affamate” di prodotti e servizi al massimo livello di innovazione e delle infrastrutture scientifiche e finanziarie, attorno ai giovani imprenditori si è consolidato un network di network enorme che rende concretamente possibile di “tentare l’avventura” (mentors di grande esperienza, aziende di Venture Capital, Angel Investors, incubatori e acceleratori, servizi di ogni tipo sempre estremamente efficienti, ecc.). Non si dimentichi che la maggioranza degli startupper sono giovanissimi (anche meno di 20 anni), spesso hanno abbandonato la scuola e provengono da molto lontano, anche da zone a basso livello di istruzione.
Mentre è abbastanza chiaro il compito delle società di Venture Capital è opportuno spendere qualche parola per descrivere i mentors e gli angels.
I mentors (termine derivato da Mentore, il personaggio omerico a cui Ulisse prima di lasciare Itaca per la guerra di Troia affidò il figlio Telemaco) sono professionisti che normalmente hanno già sperimentato direttamente i successi e i fallimenti nel lancio di una o più startup e che mettono a disposizione dei giovani startupper la loro esperienza e il loro network di contatti (con finanziatori professionisti, potenziali clienti, banche). Non richiedono di norma un compenso, anche perché di solito il giovane startupper è squattrinato, ma azioni (o più spesso stock options). C’è uno slogan che si sente spesso in Silicon Valley e che riassume il ruolo chiave del mentor: “No mentor-no money raised when needed to scale”.
In questo senso la figura del mentor si avvicina a quella più tradizionale dell’angel che però ha soprattutto la funzione di mettere a disposizione i suoi soldi (e quindi si differenzia dal Venture Capitalist che invece investe soldi altrui) per quella fase dello sviluppo della startup che precede l’accesso ai fondi strutturati, dei Venture Capital appunto. Peraltro anche l’angel non fa mancare buoni consigli, competenze, contatti ed anche la richiesta di una partecipazione nella compagine azionaria. A seconda della tipologia di intervento, gli angels vengono distinti in “time only” “money-time” “money only”.

In Silicon Valley c’è poi una enorme offerta di servizi che facilitano la creazione e lo sviluppo delle startup. Innanzitutto i co-working space che mettono a disposizione degli startupper posti di lavoro ben attrezzati e connessi; qui si trovano anche opportunità di formazione a costi contenuti (soprattutto di notte e nel weekend), mentorse possibilità di incontrare investitori. Anche se è un fenomeno abbastanza recente, fra San Francisco e la Silicon Valley ci sono ormai almeno un centinaio di co-working space. Alcuni di questi hanno tariffe molto basse e gli startupper vi possono anche dormire alla meglio (sacchi a pelo sotto i tavoli/scrivanie). Visitando questi edifici, a volte fatiscenti, si comprende immediatamente quale livello di sacrifici gli aspiranti startupper sono disposti ad affrontare pur di tentare la loro avventura.

Quasi sempre i co-working space svolgono anche la funzione dei più tradizionali incubatori e/o acceleratori. Questi si distinguono perché i primi privilegiano la fornitura di spazi di lavoro (soprattutto nella fase di “incubazione” della startup), mentre gli acceleratori permettono alla startup di arrivare alla maturità in tempi molto ristretti ed evitare che altri arrivino prima.
Una importantissima, ed unica, opportunità della Silicon Valley è la possibilità per gli startupper di avere ogni giorno decine di occasioni per condividere la propria “business idea” con tantissime persone competenti al riguardo, ascoltare le loro considerazioni, aggiustare il tiro magari modificandola sostanzialmente e creare una rete di potenziali utenti del loro prodotto/servizio e testimonials ed anche coinvolgere opinion leader. Ci sono decine di siti, come ad esempio Founders Space, dove ogni giorno si trovano decine di inviti ad eventi studiati proprio con questo scopo, normalmente accompagnati da cene e ricevimenti molto vivaci. Fra questi vanno ricordati in particolare i pitch, riunioni informali in cui gli startupper hanno 5 minuti per presentare con 5 slides la loro business idea a investitori e rappresentanti di grandi aziende allo scopo di trovare interesse e/o finanziamenti. I pitch seguono un modello ben definito e complesso: la cosa più importante è creare nell’ascoltatore una solida fiducia nello startupper e nel suo team. Spesso si parla di elevator pitch per significare che l’interesse dell’investitore va catturato nello spazio di un viaggio in ascensore con lo startupper. Il termine nacque quando il visionario Steve Jobs richiedeva ai suoi collaboratori di focalizzare il valore aggiunto che stavano portando nella Apple durante un percorso in ascensore (e gli edifici nella valle sono sempre di pochissimi piani).

Ecco perché, dunque, di Silicon Valley ce n’è una sola. Anche riuscire a replicare tutti questi fattori in un’altra parte del mondo non sarebbe sufficiente. Perché in ogni caso non si riuscirebbe a costruire quella cultura che in Silicon Valley si è consolidata nei 100 anni della sua storia e che è software. Qualche esempio fra i più evidenti: la convinzione che le startup sono un settore industriale, l’imprenditorialità è una professione, l’imprenditore non può che essere crazy, la consapevolezza che dopo tre anni di lavoro presso un’azienda si deve assolutamente cambiare (per il bene del lavoratore, dell’azienda che lascia e di quella in cui approda), prendersi rischi è parte essenziale dell’impegno professionale ed è bello, il fallimento della propria impresa è definita esperienza ed è un titolo di merito nel proprio curriculum e tale è riconosciuto…



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