Apparentemente la notizia sembra di quelle positive e sicuramente non è negativa in assoluto. Tuttavia ci sono elementi che devono far riflettere. Per comprendere al meglio i chiari e scuri di quel che ha recentemente pubblicato l’Annuario dell’Agricoltura Italiana partiamo dai dati: la superficie dell’area boscata italiana è parti a 109.000 chilometri quadrati, circa un terzo della penisola italiana. Dal 2005 ad oggi la superficie forestale è aumentata del 5,8%. Con l’attuale estensione l’Italia risulta al sesto posto nella classifica dei Paesi europei, escludendo la Russia, con la maggiore estensione forestale. I boschi italiani costituiscono il 5% della superficie forestale europea. “Cosa c’è di meglio?”, verrebbe da dire, visto che il “verde” è alla base di un mondo più pulito. Ed in effetti il dato in sé ci deve far sorridere. Quel che è meno positivo in questo quadro è il fatto che solo 17 chilometri quadrati di foreste sono legate ad un rimboschimento voluto, il resto è il risultato dell’espansione naturale dei boschi legato al progressivo abbandono delle attività agro-silvo-pastorali. In altre parole le foreste italiane si allargano da un lato prendendo possesso dei prati dove non c’è più allevamento di mucche e i terreni sono del tutto abbandonati, dall’altro delle aree un tempo coltivate con opere di terrazzamento che richiese generazioni di lavori e che anch’esse sono sempre più abbandonate. C’è poi un altro dato non particolarmente positivo e riguarda la quantità di massa legnosa che viene utilizzata rispetto a quella che si potrebbe sfruttare. Risulta infatti, che la quantità di legno prodotta dai boschi italiani si aggiri attorno ai 30 milioni di metri cubi all’anno, ma di questi se ne utilizzi solo il 30%, contro il 60% dei Paesi europei. E così l’industria italiana dei prodotti legnosi importa oltre l’80% delle materie prime dall’estero con una spesa che si aggira attorno ai 10 miliardi di euro. Importiamo legna dall’Austria, dalla Francia, dalla Slovenia, dalla Svizzera e da altri Paesi dove i costi di gestione e del personale non sono di certo inferiori a quelli italiani. E questo vale anche per il legno da ardere. Negli ultimi anni vi è stato un aumento di quasi il 20% delle importazioni, tanto da assegnarci il primo posto a livello mondiale tra i Paesi che importano legno che poi viene bruciato.

Altro che foreste in ordinata crescita, quelle italiane sembrano più delle giungle in espansione a causa dell’incuria. Ecco perché l’aumento del 5,8% negli ultimi dieci anni della superficie boschiva non è un dato positivo per il Paese. Tra conseguenze economiche sull’industria del legno e l’aumento del rischio incendi

Le problematiche delle nuove foreste non sono solo la scomparsa dell’agricoltura e dell’allevamento, causa prima della loro espansione, ma anche una gestione poco corretta dei nuovi boschi che vengono a formarsi. Fino agli anni Sessanta dello scorso secolo, la legna era quasi indispensabile in numerosissime famiglie italiane e dunque i boschi erano ripuliti dalle piante che morivano o dai rami che cadevano anno dopo anno. Ora invece, questa risorsa non è più richiesta e dunque il bosco cresce in modo selvaggio, assomiglia più ad una giungla che non ad una foresta. Quando ci sono forti bufere gli alberi troppo vicini tra loro possono abbattersi in una sorta di effetto domino. L’enorme quantità di legna che si produce viene quasi sempre abbandonata e spesso, tra l’altro, leggi di protezione impediscono al privato di poter intervenire. Questo fa sì che quando si crea un incendio l’enorme quantità di legna secca presente li renda incontrollabili, come quelli successi in Canada e in Russia nei mesi scorsi, perché impedisce l’avanzata da terra dei vigili del fuoco. Situazioni del genere si sono già avute in Sardegna, in Calabria e in Puglia. L’unico mezzo che può essere utilizzato per combatterli sono gli aerei o gli elicotteri, ma anch’essi non sempre sono in grado di affrontare quelli di più vaste proporzioni. Gli errori di gestione delle foreste tuttavia, non risalgono solo agli ultimi anni, ma addirittura al dopoguerra quando si vollero rimboschire alcune aree d’Italia senza far distinzione tra la vegetazione autoctona, quella cioè, originaria del luogo e quella che sembrava potesse crescere più velocemente senza tener conto però di eventuali contrasti con l’originaria.

La quantità di legno prodotta dai boschi italiani si aggira attorno ai 30 milioni di metri cubi all’anno, ma di questi se ne utilizza solo il 30 per cento, contro il 60 per cento dei Paesi europei

In questo quadro, non certamente idilliaco, vanno sottolineati esempi di gestione positiva di alcune foreste italiane che le rendono luoghi di grande valore naturalistico e paesaggistico. Un caso è la foresta del Cansiglio, un altopiano prealpino che si snoda tra le province di Belluno, Treviso e Pordenone. Della sua esistenza si hanno testimonianze che risalgono al 900 dopo Cristo, ma assunse un valore unico nel XV secolo, quando l’area passò sotto la protezione della Repubblica di Venezia.  Essa venne particolarmente protetta perché dal suo legno si ottenevano remi per le navi, legna da ardere e carbone. Con la nascita del regno d’Italia nel 1871, il Governo dichiarò il Cansiglio Foresta Demaniale Inalienabile. In Lombardia, entra tra le 10 foreste italiane più rinomate, quella del Bosco Fontana, che si trova in Provincia di Mantova nel Comune di Marmirolo. Si estende per circa 235 ettari e al suo interno sono state censite 470 specie vegetali di cui 60 considerate rare nella Pianura Padana.



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