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La piazza è un po’ l’essenza della città di provincia italiana, con i palazzi Liberty e l’immancabile sguardo di Garibaldi a dominare sulle auto in sosta. Dietro un’insegna essenziale, sulla facciata di asburgica sobrietà di una casa settecentesca, si apre però un angolo dove si respira a pieni polmoni l’aria degli Stati Uniti: sono i pochi metri quadri del negozio Carù Dischi, che Paolo Carù - da cinquant’anni dietro al bancone - ha trasformato in un punto di riferimento per generazioni di appassionati di musica a stelle strisce.

Le segnalazioni sulla stampa internazionale, le citazioni nella letteratura, i cultori che arrivano a Gallarate da tutta Italia e non solo. Carù Dischi è qualcosa di più di un negozio, una vera istituzione culturale che va ben oltre la sfera locale

I clienti vengono ormai da mezzo Nord Italia (a partire da Milano) e sono una comunità che si ritrova, si riconosce, discute: è “il negozio dove c’è un dialogo vero tra venditore e acquirente”, spiega Paolo Carù, dietro le storiche scansie in legno che custodiscono i preziosi dischi in vinile. “Si viene qui per parlare di musica: a volte sono i clienti che danno un’idea, suggeriscono nomi nuovi”.
Un vero negozio indipendente, di quelli sempre più rari, già nel 2000 ritratti con un filo di nostalgia in un film come Alta Fedeltà, dall’omonimo romanzo di Nick Hornby. Nel 2014 il quotidiano inglese The Guardian - tra i più apprezzati media digitali al mondo, molto letto anche in Usa e Australia - ha censito i migliori “indie record shops” al mondo: accanto a molti negozi dell’area anglosassone c’era anche Carù, unico italiano e dell’Europa del Sud. “Ha pile di dischi e Cd ovunque e un delizioso aroma di cappuccino fumante nell’aria”, spiegava il quotidiano inglese. “Promuovono la musica indipendente e ospitano concerti gratuiti nel cortile interno. Anche se non comprate nulla, ve ne andrete sentendovi arricchiti”.

Paolo Carù: “Si viene qui per parlare di musica: a volte sono i clienti che danno un’idea, suggeriscono nomi nuovi. Musica di qualità, una musica dietro a cui c’è qualcosa”

Dal raccolto cortile lombardo sul retro a volte i concerti finiscono anche in piazza, a rimarcare il ruolo non solo economico ma anche culturale del negozio (e della libreria Carù, guidata da Anna, moglie di Paolo) per la vita della cittadina del Basso Varesotto. Come suggerisce il riconoscimento del Guardian, però, il nome di Carù va ben oltre i confini della provincia: ogni giorno in piazza Garibaldi arriva qualche acquirente da Milano o oltre. Per qualcuno è un rito, tanto che il nome di Carù - spesso senza essere nominato direttamente, quasi fosse un segreto da custodire - è finito non solo sui giornali o in radio, ma anche nelle pagine dei libri. L’ultima citazione - in ordine di tempo - è nel libro di Alessandro Robecchi “Torto marcio”, in un passaggio in cui il protagonista va alla caccia di un raro concerto di Bob Dylan a Santiago del Cile, ma prima di cedere alle lusinghe degli acquisti online opta per la breve trasferta da Milano in piazza Garibaldi: “Gallarate, mezz’oretta se non c’è traffico, così può cercare qualche altra chicca e fare due chiacchiere col padrone del negozio, uno che la sa lunga e gli può dire se ci sono altri arrivi interessanti”.

È di pochi mesi fa un altro riferimento a Carù, ben nascosto e allo stesso tempo squisitamente pop: il nome di Gallarate compare infatti - con scelta apparentemente inspiegabile - sul numero 3187 di Topolino, in una vignetta con un tabellone meteo, su cui la città dei due galli viene accostata a New York, Sidney, Parigi e Mosca. Gallarate capitale globale? La scelta curiosa è un omaggio dello sceneggiatore, Riccardo Secchi: “Carù dischi è un’istituzione culturale”, ha raccontato al quotidiano La Prealpina. Una passione nata nell’adolescenza: “Eravamo un gruppetto di due o tre disperati. Avevamo una grande passione e ci alternavamo gli acquisti. Appena avevamo qualche risparmio, da Milano andavamo a Gallarate perché nessun negozio era altrettanto completo”. 

Il passaggio in “Torto marcio” di Alessandro Robecchi: “... cercare qualche altra chicca e fare due chiacchiere col padrone del negozio, uno che la sa lunga e gli può dire se ci sono altri arrivi interessanti”

Il segreto di Carù forse sta anche in questa comunità che si trova a casa e che va a caccia del più amato dei formati di musica: il disco in vinile, che negli anni Novanta sembrava destinato all’estinzione e che invece è stato custodito dagli appassionati. “Il vinile è l’oggetto principe se si parla di musica”, spiega ancora Paolo Carù, circondato da nuove uscite stampate in 33 giri e vecchi titoli introvabili (altrove). È una nicchia, certo, ma capace di sostenere un mercato di qualità assorbendo l’impatto della rivoluzione digitale applicata alla musica (nel 2015 il digitale copriva il 41% della musica distribuita in Italia). “Certo l’aumento delle vendite del vinile non ha coperto la riduzione dei Cd, il gap esiste lo stesso”. 

Dalle pianure polverose di Johnny Cash ai classici del jazz, dall’aspra voce metropolitana di Bob Dylan alla provincia dei cantautori come Steve Earle, dai mostri sacri del rock anni Settanta all’esuberante folk e blues di Nathaniel Rateliff (per citare un nome contemporaneo che Carù ha contribuito a far conoscere): nei pochi metri quadri del negozio si scopre un intero universo legato alla musica a stelle e strisce. C’è sempre un disco che gira sul piatto e c’è sempre, sul bancone, l’ultima copia di Buscadero, la rivista nata nel 1980 e che ha in Carù uno dei fondatori e principali autori. Su queste pagine si scoprono autori e gruppi prima ancora che diventino famosi nel circuito indie globale. Spesso destinati a diventare long seller, titoli e nomi che vendono sul lungo periodo, senza esaurirsi come un fuoco di paglia nel giro di poche stagioni. “Musica di qualità, una musica dietro a cui c’è qualcosa”. 



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