A quasi quattro anni dal suo lancio, il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), l’accordo preferenziale di libero scambio in corso di negoziazione tra Unione Europea (Ue) e Stati Uniti, sembra destinato a non vedere la luce, almeno nel breve periodo. Al recente vertice di Bratislava i 27 paesi della Ue si sono presentati con posizioni diverse. Da un lato Francia e Germania hanno fatto pressione sugli altri paesi per fermare tutti i negoziati e chiedere al Parlamento europeo un nuovo mandato, il che implica ripartire da zero. Per il momento questa posizione è risultata minoritaria ed i negoziati con gli Stati Uniti andranno avanti grazie alla spinta di una dozzina di paesi, tra cui Italia, Finlandia, Svezia, Spagna e Regno Unito. Ma cosa sta succedendo? Andiamo con ordine.

Da una parte il colpo di freno di Germania e Francia, dall’altra l’accelerazione che vorrebbero dare altri Stati europei, tra cui l’Italia. Ecco la vera posta in gioco nelle trattative con gli Usa sul Ttip. Con il rischio di un fallimento che isolerebbe economicamente più la Ue che gli Stati Uniti

La Ue, seguendo le indicazioni di tutti i paesi membri, ha sempre perseguito una politica commerciale volta attivamente a migliorare l’accesso ai mercati internazionali delle imprese europee. A questo fine, è stato dato notevole peso sia ai negoziati commerciali multilaterali in ambito Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), sia ai negoziati bilaterali con singoli paesi o gruppi di paesi, e infatti nel 2014 l’Ue risultava avere in essere accordi preferenziali con oltre trenta partner. In risposta allo stallo dei negoziati multilaterali dell’Omc, vari paesi negli ultimi quindici anni hanno negoziato ed in alcuni casi concluso accordi preferenziali di liberalizzazione commerciale. I più recenti sono stati definiti mega-accordi per via della dimensione economica globale dei paesi coinvolti e dell’estensione dei temi negoziali. Ne sono un esempio il già concluso, ma non ancora ratificato, Trans-Pacific Partnership (Tpp) tra dodici paesi dell’area pacifica che include Giappone e Stati Uniti e la risposta cinese, la Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep),  tra sedici paesi asiatici, ancora in negoziazione. Tra questi rientra anche il Ttip. Caratteristica comune a questi accordi di liberalizzazione è che l’oggetto negoziale va ben oltre la riduzione dei dazi doganali per comprendere le barriere non-tariffarie, che in buona parte sono “behind the borders”. Sono cioè, differenti regolamentazioni tra nazioni che alzano i costi del commercio per le imprese. E’ un terreno negoziale nuovo, già in parte sperimentato solo tra i paesi dell’Unione Europea durante gli anni Ottanta e Novanta col completamento del Mercato Unico.

Negli aspetti più consueti della politica commerciale, il Ttip non risulta problematico: sia l’Ue che gli Usa sono economie piuttosto aperte per quanto riguarda le tradizionali barriere agli scambi commerciali, come ad esempio i dazi. Il livello medio dei dazi applicati agli scambi transatlantici è intorno al 3%, anche se esistono tutt’ora settori specifici con picchi tariffari tutt’altro che trascurabili. Tuttavia tra le due aree esistono ancora oggi molte barriere “behind the borders” che impediscono o rendono difficili gli investimenti diretti esteri da parte di imprese europee in USA e americane in UE, differenze di regolamentazione che complicano l’accesso ai mercati dei servizi, modalità di organizzazione delle gare negli appalti pubblici che rendono costoso o in alcuni casi completamente escluso (come per la maggior parte dei trasporti pubblici interni negli Usa) l’accesso per le imprese estere. Queste barriere “nascoste”, anziché abbassarsi nel corso del tempo, come è avvenuto per i dazi, sono diventate sempre più rilevanti, sia perché la complessità delle regolamentazioni è aumentata sia in Ue che negli Usa, sia perché l’importanza dei settori investiti da queste barriere è cresciuta molto soprattutto in questi stessi paesi, ed è parallelamente aumentato il peso degli scambi in questi settori.

Anche nel caso delle merci, molte delle barriere rimaste sono di tipo non tradizionale. Infatti, nonostante il basso livello medio dei dazi, gli ostacoli allo scambio che molte imprese identificano vengono dalle differenti misure fito-sanitarie applicate ai prodotti agricoli (per esempio le regolamentazioni diverse in materia di utilizzo di organismi geneticamente modificati, piuttosto che di ormoni nelle carni), dalle regole sulla tracciabilità dei prodotti, o da altre regolamentazioni tecniche applicate a molti prodotti di consumo o industriali. La vera questione dunque non riguarda cambiamenti alle dogane, ma quello che avviene oltre le frontiere, sui mercati coinvolti. Questo rende i negoziati molto complessi, assai più di quelli svolti in passato.

Qualora firmato ed implementato, il Ttip porterà guadagni economici per entrambe le sponde dell’Atlantico attraverso i tradizionali canali della liberalizzazione economica. Inoltre, e quasi più importante, se Stati Uniti ed Ue riescono ad accordarsi sulle regolamentazioni adottate e sul riconoscimento degli standards, questo potrebbe creare un precedente di notevole importanza anche per altri futuri accordi internazionali, ed aprire la strada ad una nuova generazione di negoziazioni tra paesi anche a livello multilaterale. In altre parole, è molto probabile che le regole negoziate dalle due aree economicamente più forti al mondo diventino quelle di riferimento anche per altri negoziati. Al contrario, se il negoziato non andrà in porto, gli Stati Uniti molto probabilmente si giocheranno questa partita nell’area pacifica con il Tpp, la Cina con il Rcep e alla Ue non rimarrà che consolarsi a tentare di rivitalizzare l’Omc e nel frattempo osservare passivamente la formazione di nuovi standard e regolamentazioni  a livello mondiale.

Per gli Usa l’accordo con l’Europa non è la sola opzione: già concluso, ma non ancora ratificato, un Trattato tra dodici paesi dell’area pacifica che include il Giappone

Se questi sono i guadagni, come mai si nota una forte presenza di oppositori al Ttip che, negli ultimi tempi, ha portato alcuni paesi a raffreddarsi o ad essere addirittura contro la continuazione dei negoziati? Da un alto è normale: sempre di fronte ad un processo di apertura commerciale accanto ai vincenti, ci sono i perdenti e le lobby di questi ultimi fanno il loro lavoro di ostacolo alla liberalizzazione. Ma non è tutto. I negoziati del Ttip avvengono in un periodo particolare in cui parte dell’opinione pubblica è contraria a questi processi di integrazione commerciale (la cosiddetta globalizzazione) e non vuole cedere ulteriori spazi di sovranità nazionale. La forte crisi economica degli ultimi anni aiuta in parte a spiegare questa opposizione, di cui le affollate manifestazioni di protesta avvenute in Germania sono un esempio. Si sono diffusi luoghi comuni difficili da estirpare. Ne è un esempio la diffusa generalizzazione che la tutela del consumatore sia inferiore negli Stati Uniti rispetto alla Ue e che col Ttip noi europei andremo a ridurre i nostri standard sulla tutela della salute. Per fare un esempio, non si capisce se l’usanza negli Stati Uniti di lavare la carne di pollo col cloro che ha creato scandalo tra alcuni oppositori del Ttip, tuteli meno la salute del consumatore della possibilità in Ue di dare antibiotici ai polli vivi. La Commissione Europea su questi temi insiste in modo chiaro che questo accordo con gli Usa non sarà una corsa al ribasso, dato che per l’Europa la tutela della sicurezza dei propri cittadini (come consumatori e come lavoratori) e dell’ambiente sono priorità assolute e quindi l’accordo non deve rischiare di abbassare queste tutele.

Inoltre, i negoziati del Ttip sono stati accusati di non essere “trasparenti”. Questa accusa appare fuori luogo. Dei negoziati, per loro natura, non prevedono che le due parti in gioco rivelino tutte le loro carte, a qualsiasi livello il negoziato stia avvenendo (azienda, città, governo). Ma soprattutto, in questo caso la Commissione ha fatto uno sforzo di informazione inusuale creando un sito web dedicato ai negoziati, con presentate in modo dettagliato le varie posizioni e con gran parte dei testi negoziali.

Un altro punto che ha sollevato forti opposizioni è il meccanismo di soluzione delle controversie sugli investimenti fra Stati e imprese estere (Isds, Investor-State Dispute Settlement) che la Ue ha già adottato in molti dei suoi accordi commerciali già firmati. Per il Ttip la Commissione propone dei cambiamenti rispetto al passato che lasciano ampi spazi agli Stati di tutelare i loro obiettivi di pubblico interesse (per esempio, protezione dell’ambiente e dei consumatori).

Il Ttip è un negoziato internazionale di nuova generazione. Una eventuale rinuncia a continuare il negoziato porterà certamente a mancati guadagni economici, ma anche ad un processo di progressivo isolamento economico della Ue in un mondo che con Tpp e Rcep vede formarsi blocchi di integrazione economica che diventeranno sempre più rilevanti. Questo processo potrà essere interrotto solo da strategie di accordi commerciali della Ue in altre direzioni che si riveleranno più complesse di quelle attualmente in corso con gli Stati Uniti.



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